Un ritratto di Alberto Sartori - foto di Davide Sighele

Alberto Sartori - foto di Davide Sighele

Alberto Sartori è da anni punto di riferimento in Albania per i progetti di Volontari nel Mondo RTM. Lo abbiamo incontrato

21/12/2022 -  Davide Sighele

Per conto di Volontari nel Mondo RTM hai seguito in Albania tre progetti, tutti nell’ambito dello sviluppo rurale, quale il filo rosso che li unisce?

Credo che la componente principale degli interventi fatti sia un’approfondita analisi dei bisogni sul territorio, territori dove negli anni abbiamo imparato a lavorare a stretto contatto con partner locali che si occupano di temi quali sviluppo rurale, empowerment femminile, sviluppo economico sostenibile attento ai diritti e ai bisogni delle persone più marginalizzate. Cerchiamo di mettere in relazione due realtà, la nostra di provenienza e quella dove operiamo, traendo il meglio delle risorse presenti, evitando di imporre modelli, ma cercando di mettersi a disposizione per arrivare ad uno scambio concreto che risponde alle priorità di chi abita nel territorio. 

In che aree dell’Albania state lavorando? 

C’è stata una progressiva estensione della zona di lavoro. Siamo partiti dal comune di Vau Dejës. È l’area dove RTM è arrivata nel ‘99 a sostegno dei rifugiati del Kosovo; nel 2013/14 abbiamo riaperto un ufficio e siamo ripartiti con progetti di cooperazione nelle aree montane di Vau Dejës, Pukë e Fushë Arrëz. Dal 2020 abbiamo poi ampliato alla regione di Kukës e Dibra, quindi al nord-est del paese, coprendo così gran parte del nord dell’Albania. Sono zone montane spesso marginali e marginalizzate, non solo a livello geografico. 

Avete puntato molto, come accennavi prima, sull’idea di scambio e relazioni tra territori. Puoi farci un esempio di alcuni soggetti che nell’ambito dello sviluppo rurale avete coinvolto nel territorio italiano? 

Siamo sempre stati attenti a valorizzare le risorse del nostro territorio. Si è lavorato ad esempio con l’Università di Modena e Reggio Emilia per il sostegno della filiera della zootecnia, poi c’è stata la collaborazione con la regione Emilia Romagna per quanto riguarda i marchi geografici di qualità, dal 2020 si è messa in moto una collaborazione molto proficua con la CIA - Agricoltori Italiani con la quale, nel recente progetto RurAlbania finanziato da Aics , abbiamo avviato un dialogo rivolto al miglioramento dei servizi di assistenza agricola a cui possono accedere agricoltori e produttori del nord dell’Albania. 

Dal punto di vista dello sviluppo agricolo in molte zone dell’Albania parliamo di proprietà frammentate, con spostamenti tra un luogo e l’altro spesso molto difficili, aree colpite anche da forte emigrazione. Ma quali le potenzialità? 

Il progetto è fortemente volto a valorizzare gli asset presenti sul territorio. Oltre alle persone che lavorano sul territorio, le filiere identificate come prioritarie sono quelle dei frutti di bosco e del miele nella zona di Pukë e Fushë Arrëz, l’ovicaprino nella regione di Kukës, e le filiere degli alberi da frutto nella zona di Dibra.

Per massimizzare l’impatto del nostro intervento si è data priorità a queste filiere specifiche, a sostegno delle quali si va a creare tutto un percorso con il supporto degli esperti tecnici CIA per il rafforzamento dei servizi dell’assistenza agricola tramite la creazione di Centri di assistenza agricola e rurale sui territori, lo sviluppo di curriculum per ‘formare i formatori’, e formazione e investimenti sotto varie forme per le piccole imprese agricole. Interveniamo anche sul piano dell’accesso al mercato con la ristrutturazione del mercato cittadino di Pukë, alcune latterie mobili nella zona di Kukës e una linea di lavorazione ciliegie a Dibër. La priorità è quindi data alle produzioni tipiche e si cerca di seguire il percorso nella sua interezza, sostenendo in particolare l’imprenditoria femminile, la cooperazione tra produttori, le persone che hanno esperienza di migrazione all’estero e che sono tornate, interessate ad investire il know-how acquisito all’estero nel loro paese, ed infine i giovani.

Dal tuo punto di vista privilegiato ti sembra che sia cambiata la percezione in Albania del mondo rurale? 

Si nota ancora un ampio divario tra centri urbani e il mondo rurale, caratteristica che spesso si ritrova in altri paesi dei Balcani occidentali. Si inizia però a notare, a mio avviso, una tendenza a valorizzare un po’ di più l’ambito rurale e montano, a riscoprire il valore della genuinità delle produzioni. Il rischio resta ancora quello di stereotipare la realtà rurale albanese, descrivendola come idilliaca o terribile. Quindi sicuramente c’è un orientamento che sta andando nella direzione giusta, forse piano piano stereotipi prettamente negativi possono essere superati, ma occorre lavorare in maniera realistica, non dobbiamo dare un’immagine idilliaca dei posti rurali perché altrimenti si perde il bisogno di lavorare ancora per cercare di renderli non dei parchi giochi domenicali, ma posti in cui la gente possa restare e vivere. 

In ottobre avete promosso una visita studio in Emilia Romagna per un gruppo di persone in Albania coinvolte nello sviluppo rurale. C’è qualcosa che ti ha stupito nella reazione del gruppo alle attività proposte? 

Una delle cose che è stata vincente è stato il fatto di aver trovato degli esempi utili anche per il contesto albanese. È il grande merito di chi dall’Italia ha lavorato per organizzare questa visita, in particolare il CIA dell’Emilia Romagna. Abbiamo visitato aziende che sono riuscite a restare e investire in territori da cui invece molti se ne vanno. Di ispirazione sono state ad esempio l’azienda agricola Varo , quella delle Fattorie di Athena oppure l’apicoltura Zambelli . Il rapporto con giovani che hanno creduto e investito nel potenziale dei propri territori, anche se marginali, credo abbia toccato delle corde che hanno risuonato bene tra i partecipanti. 

 

Intervista realizzata nell'ambito del Progetto RURALBANIA , finanziato dall'AICS-Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo


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