Elisa Rainolter 15 marzo 2016

Il due marzo scorso il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) ha ufficializzato che ai prossimi giochi olimpici di Rio parteciperà una squadra formata interamente da atleti rifugiati. E' la prima volta che avviene

Il "Team Refugees Olympic Athletes" porterà la bandiera Olimpica e sarà la penultima squadra a sfilare durante la cerimonia di inaugurazione, appena prima del Brasile che è il paese ospitante.

Ad oggi il CIO ha identificato 43 atleti che stanno ricevendo degli aiuti per poter portare a termine gli allenamenti. Tra loro una nuotatrice siriana attualmente in Germania, un lottatore di judo congolese che si trova in Brasile ed un'atleta di taekwondo iraniana che è in Belgio.

Nel giugno prossimo, il CIO ufficializzerà i nomi di cinque/dieci atleti che parteciperanno effettivamente ai Giochi di Rio. La scelta, è stato specificato, avverrà in base alla preparazione tecnica ma anche al riconoscimento ufficiale dello status di rifugiato. Il CIO coprirà i costi e le spese di partecipazione ai Giochi dei membri della squadra che in ogni caso verrà trattata in egual modo rispetto a tutte le altre.

La notizia arriva a pochi giorni di distanza dalla visita del tedesco Thomas Bach, il presidente del CIO, al centro rifugiati di Eleonas ad Atene dove il comitato olimpico ha da poco inaugurato un campo da basket e donato delle scarpe da ginnastica adatte alla corsa. In quell' occasione Bach ha anticipato che la fiamma olimpica passerà attraverso il campo di Eleonas e che sarà proprio un rifugiato a portarla.

"In questo modo vogliamo rivolgere l'attenzione del mondo verso il problema dei rifugiati" ha affermato Bach. Non è la prima volta che il CIO si mostra attento a temi simili. Alle Olimpiadi invernali di Lillehammer del '94, ad esempio, fu costante il richiamo all'assedio di Sarajevo che era in corso. In quell'occasione il CIO lavorò per permettere la partecipazione degli atleti bosniaci ai Giochi organizzati per il febbraio 1994. A partire dal 1993, alcuni atleti lasciarono la Bosnia per potersi preparare al meglio alle Olimpiadi invernali. Gli sciatori furono inviatati a Lillehammer dal Comitato Olimpico Norvegese. Furono i primi ad avere accesso al villaggio olimpico già nel marzo 1993. La squadra di bob, invece, lasciò Sarajevo solamente a fine gennaio 1994. Dei 25 atleti che si prepararono all'evento, solo dieci riuscirono a qualificarsi: Enis Bećirbegović e Arijana Boras nello sci alpino, Zdravko Stojnić, Zoran Sokolović, Izet Haračić, Nizar Zaciragić e Igor Boras per il bob, Bekim Babić, che fu anche portabandiera, per il fondo e Nedžad Lomigora e Verona Marjanović per lo slittino. Tra di loro musulmani, croati e serbi.

Nizar Zaciragić, allora venticinquenne, raccontò in seguito che la sua squadra una volta arrivata a Lillehammer non aveva un bob con il quale gareggiare. Lo fece presente in conferenza stampa. Poche ore dopo, alcuni atleti dei Paesi Bassi li contattarono e offrirono loro un bob. Tornarono in Olanda per prenderlo: era logoro e polveroso ma era stato utilizzato dagli olandesi ai Giochi Olimpici di Sarajevo. Non era un bob propriamente sicuro con cui gareggiare ma il team decise di competere ugualmente. “Scherzavamo tra di noi, chiedendoci se dovessimo indossare vestiti puliti nel caso fossimo finiti in ospedale”, aggiunse Zaciragić.

Una volta terminata la guerra il CIO finanziò la ricostruzione del complesso sportivo “Zetra” di Sarajevo, andato in fuoco il 21 maggio 1992 a seguito di un attacco dei serbo-bosniaci. Il luogo che aveva ospitato la cerimonia di chiusura dei Giochi venne nuovamente aperto al pubblico nel 1999, nel quindicesimo anniversario di “Sarajevo 1984”.