Mostar è il posto più prossimo alla schizofrenia in cui sia mai stato. E’ una città tanto pacifica, calma, consapevole, quant’è silenziosamente tesa, elettrica, dimentica delle lezioni del passato. Una tesi di master. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

27/04/2010 -  Andrea Luchetta

Mostar è il passato che non passa” ha scritto Antonella Pocecco nel 2007. E in effetti, camminando per le strade della città, è impossibile allontanare la sensazione che qualcosa sia rimasto sospeso, latente. Mostar è il posto più prossimo alla schizofrenia in cui sia mai stato. E’ una città tanto pacifica, calma, consapevole, quant’è silenziosamente tesa, elettrica, dimentica delle lezioni del passato. E’ “congelata in un tempo immemoriale”, benché, contemporaneamente, il peso dei suoi ricordi le impedisca di ritrovare una dimensione unitaria.

Ho scelto di dividere le due ultime decadi della storia cittadina in tre periodi principali. Il primo capitolo (1990-1994) si concentra sulla realtà pre-bellica del capoluogo erzegovese e sulla sua distruzione. Generalmente, la Mostar del periodo precedente al conflitto è descritta come il luogo più integrato dell’intera ex Jugoslavia, al punto che si tende a credere che la città sia stata in qualche modo “trascinata” dentro la guerra. Buona parte di questa rappresentazione è coerente. Tuttavia- come evidenziato dalle elezioni del 1990- una simile visione trascura in parte le tensioni inter-nazionali comunque esistenti nel centro cittadino, per tacere della frattura silenziosa sviluppatasi fra il cuore cosmopolita di Mostar e le sue periferie, in larga parte nazionaliste.

Il secondo capitolo (1994-1999) è dedicato ai primi anni del dopoguerra, durante i quali Mostar rimase più divisa che mai. Tale condizione favorì il radicamento di due sistemi di potere paralleli, nei quali risiedeva l’essenza del comando cittadino. Le numerose elezioni post-belliche garantirono una sorta di legittimazione incontestabile alle elite nazionaliste, che avevano il più grande interesse economico e politico ad alimentare la divisione della città.

L’ultimo capitolo (1999- giugno 2009) si apre nel novembre 1999, con la morte di Franjo Tudjman. Nonostante il momento di profonda difficoltà, gli oltranzisti croati riuscirono a sopravvivere alla scomparsa del loro mentore. La riunificazione amministrativa della città- imposta per decreto nel 2004- si risolse quindi in un passaggio per lo più formale, dal momento che i problemi di fondo erano rimasti irrisolti. In aggiunta, la crisi costituzionale in cui la Bosnia è precipitata dal 2005-2006 ha ulteriormente ingarbugliato la situazione politica locale.

La conclusione è dedicata all’analisi dell’evoluzione del ruolo di Mostar per la Bosnia-Erzegovina. A grandi linee, la città è passata dall’essere un laboratorio inter-etnico (1945-1991) alla condizione di specchio dell’apparentemente irreparabile divisione del paese. Al momento attuale, Mostar costituisce sia una metafora calzante dell’impasse nazionale che un pericoloso focolaio di nuove tensioni inter-etniche, oltre che un punto di equilibrio cruciale per la tenuta dell’intero stato. Ed è inevitabile, quindi, che il futuro della città appaia come minimo enigmatico, se non apertamente oscuro.


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