Istanbul, Pixabay

Istanbul, Pixabay

Questa tesi analizza e decostruisce il processo di europeizzazione in rapporto al discorso sui diritti umani e in particolare sulle libertà di espressione. L’analisi si concentra sul caso della Turchia, prima e dopo l’avvento al potere di Erdoğan. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

16/12/2016 -  Elisa Pavanello

L’Europa, che fin dalla sua istituzione si è presentata come modello di valori e norme positive da esportare, non è mai stata tanto in crisi a riguardo quanto oggigiorno.

L’Europeizzazione, è stata studiata da vari accademici, sia quale tecnica di esportazione di valori europei nei paesi membri che viceversa verso l’apparato istituzionale europeo. Negli ultimi anni la letteratura ha deciso di aprirsi allo studio del fenomeno anche verso quei paesi che non possiedono ufficialmente la membership europea, ma con i quali l’Europa intrattiene degli scambi commerciali. Tuttavia, molteplici ricerche hanno dimostrato come la capacità di esportare i valori democratici sia strettamente legata alla presenza di interessi economici, e quindi fallace soprattutto per quanto concerne l’area dei diritti umani. Questa difficoltà, sommata a cambiamenti politici e sociali, ha portato allo sviluppo progressivo di una controtendenza, chiamata De-Europeizzazione, nello sviluppo di varie politiche pubbliche a livello nazionale.

Il caso studio della Turchia non è stato scelto casualmente. Dopo un’esperienza di sei mesi ad Izmir, infatti, tutte le contraddizioni che caratterizzano la penisola anatolica emergono e diventano ottime lenti di ingrandimento per analizzare l’ipocrisia che ha caratterizzato la politica europea e le relazioni con Ankara, soprattutto riguardo le politiche di allargamento. Fin dalla sua istituzione negli anni ‘20 la Turchia ha cercato di approcciarsi al vecchio continente come parte di questo: già l’impero Ottomano aveva provato ad “europeizzarsi” e la volontà è rimasta anche nella leadership della nuova repubblica. Il modello di modernizzazione adottato è stato associato in toto all’idea di Europeizzazione e di essere loro stessi europei.

Al momento della conferenza di Helsinki, quando alla Turchia è stato riconosciuto lo stato di “paese candidato”, la situazione nazionale delle libertà d’espressione si presentava drammatica, segnata da anni di governi militari e forti contrapposizioni interne. Le riforme necessarie vennero portate avanti con successo in nome degli imminenti negoziati europei e con la volontà di soddisfare i criteri di Copenaghen. Questo processo è continuato con poche interruzioni fino al 2007, quando la politica turca verso l’Europa ha subito una lieve virata, portando l’alleato anatolico ad allontanarsi. I fatti e le proteste del 2013 a Gezi Park hanno reso evidente all’opinione pubblica che qualcosa stava cambiando nel modus operandi del governo, e che anche il miglioramento dello standard delle libertà nel paese stava virando.

Dopo una breve analisi storica delle riforme che si sono susseguite negli anni “europeizzati”, l’ultima parte della tesi si concentra sull’attuale situazione e sulle ragioni che hanno mosso questa controtendenza.

Questo lavoro è frutto anche di incontri con accademici turchi (per motivi di privacy e sicurezza preferisco non riportare i nomi) che, attraverso i loro racconti nelle aule universitarie, e dopo, hanno fornito moltissimi spunti di analisi grazie alla loro esperienza personale.


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