Relazione presentata da Giovanni Bensi al Convegno annuale di Asiac 2014 sulla diffusione della corruzione e complicità di famiglie e di clan in Daghestan
Il Daghestan ("Paese delle Montagne”, in turco) è la maggiore delle repubbliche autonome del Nord-Caucaso facenti parte della Federazione Russa. Nell’ultimo periodo di vita dell’URSS era stato elevato al rango di RSS (“Repubblica Socialista Sovietica”).
Il Daghestan ha una superficie di 50.300 km² e due milioni e mezzo circa di abitanti. La popolazione è divisa in numerose etnie con lingue in parte ibero-caucasiche e in parte turche. La religione prevalente è l’islam, al quale aderisce circa il 95% dei daghestani. Di questi l’assoluta maggioranza appartiene alla confessione sunnita (ca 1% di sciiti). In campo sunnita esiste un conflitto fra i tradizionalisti, fedeli all’islam “sufico” organizzato nelle confraternite, quali la Naqshbandiyyah, e l’islam estremistico prevalentemente “wahhabita” di origine arabo-saudita. L’appoggio ufficiale va solo all’islam sufico.
Le élites daghestane tradizionalmente hanno governato la repubblica secondo le regole claniche. In centinaia d’anni, senza escludere neppure il periodo sovietico, si sono formati due grandi gruppi di clan daghestani, un proprio sistema di rapporti reciproci, di tradizioni. Vi è una quantità di sub-etnos, ognuno dei quali ha i propri leader. Alcuni posseggono una rigida gerarchia verticale, altri solo organi collegiali informali che regolano i rapporti all’interno del sub-etnos e le sue relazioni con gli altri sub-etnos e col potere.
Il Daghestan in questi ultimi anni è teatro di un’intensa attività terroristica a sfondo etnico-religioso alla quale le autorità russe oppongono una repressione non meno brutale. Nella repubblica esiste anche una diffusa corruzione basata in notevole misura su complicità di famiglie e di clan.
Nell’intento di migliorare la situazione, il presidente russo Vladimir Putin ha nominato a capo del Daghestan il politico russo di origini locali Ramazan Abdulatipov.
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