Una tesi di laurea va ad analizzare la questione del traffico di organi umani. Con un focus particolare sulla normativa internazionale vigente. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

21/01/2013 -  Elena Gabrielli

Il traffico di organi umani è un argomento ad oggi ancora poco studiato: ricerche accademiche, testate giornalistiche e mass media ne parlano di rado e, quand’anche ciò avviene, lo fanno con termini generici e suggestivi, senza verificare che gli interlocutori comprendano di cosa realmente si stia discutendo. Non a caso, l’opinione pubblica riconduce tale forma di criminalità a rapimenti e assassinii a fini di espianto, furti da cadavere, oppure a storie di giovani vacanzieri che si risvegliano dopo una notte di alcol e divertimenti in una vasca colma di ghiaccio con una cicatrice sanguinante sul lato inferiore dell’addome e trovano un post-it che li invita a chiamare un’ambulanza perché è stato loro asportato un rene.

Dell’incertezza circa la natura e la reale portata del fenomeno risentono anche le istituzioni internazionali, che nei documenti ufficiali lo confondono con la tratta di persone a scopo di rimozione di organi, un crimine affine, ma profondamente diverso nei presupposti che lo caratterizzano e generano così una grande confusione etimologica, che si traduce in strumenti di prevenzione e di repressione poco efficaci.

Tracciare una linea di confine fra i due illeciti risulta dunque fondamentale in un’ottica di contrasto alla criminalità internazionale specializzata in espianti illegali ed è il primo obiettivo che si prefigge l’elaborato.

La seconda parte della tesi è dedicata ad un approfondimento criminologico del traffico di organi, con l’individuazione delle cause e degli scopi di esso, nonché dei suoi protagonisti: da un lato ricchi beneficiari del Nord del mondo, che pagano diverse migliaia di dollari per la speranza di un futuro, dall’altra giovani “venditori”, che vivono in contesti disagiati, sono poveri, quasi analfabeti, ricevono un salario bassissimo ed hanno contratto pesanti debiti, per ottemperare i quali si lasciano ingannare da pubblicità fallaci e scambiano un rene per una misera cifra, manifestando un consenso all’espianto del tutto disinformato circa gli effetti e le conseguenze che l’operazione avrà sulla loro salute e, in generale, sulle loro condizioni sociali.

Nel mezzo, intermediari criminali che instaurano un business altamente redditizio e sfruttano la connivenza di medici ed ospedali e la complicità di un gran numero di altri soggetti per realizzare indisturbati i propri profitti.

Numerosi sono i Paesi colpiti da questa piaga, che spesso si intensifica in occasione di guerre e conflitti (come è avvenuto nel 1999 in Kosovo), non altrettanto numerose le risposte normative per prevenirla e reprimerla.

A livello internazionale e regionale, infatti, i documenti che prendono posizione contro il traffico peccano di eccessiva genericità e si riducono a mere dichiarazioni di principio.

A livello nazionale muta la situazione ma non il risultato: i Paesi di origine dei venditori presentano un sistema penale rigido, con norme ferree e punitive per tutti i soggetti potenzialmente implicati, norme che rimangono tuttavia per lo più inapplicate. Gli Stati del Nord del mondo (da dove provengono i beneficiari degli organi espiantati), invece, sanzionano penalmente solo il contratto bilaterale di compravendita di parti umane, lasciando impunita ogni attività di intermediazione, ossia trascurando di prevedere delle pene severe per i veri responsabili del commercio.

Quali allora gli strumenti per affrontare un crimine così macabro ed efferato?

Taluni propendono per l’esportazione del cosiddetto modello iraniano, un sistema in cui vendere un rene per scopi lucrativi è legale, purché lo scambio avvenga sotto il controllo di un’agenzia governativa, ma ciò genera diverse perplessità e contrasta con i principi universali di tutela della persona e dell’integrità del corpo umano.

L’elaborato qui presentato, invece, propone e riflette su possibili strumenti che eliminino o quanto meno riducano le occasioni di profitto per i trafficanti attraverso un’azione coordinata, che insista su legislazione, criminologia e cooperazione giudiziaria.

Solo riducendo le opportunità criminali tramite interventi specifici, mirati a ciascuno degli attori coinvolti e stimolando il collegamento delle indagini, lo scambio di informazioni e la cooperazione giudiziaria internazionale, infatti, si potranno ottenere dei risultati concreti nella lotta al traffico di organi umani.


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