Ziya Pir - foto di Anna Pazos

Ziya Pir dopo una vita in Germania ha deciso di rientrare a Diyarbakır, Turchia, e candidarsi per le politiche tra le fila dell'HDP. La sua visione sulla Turchia

24/06/2015 -  Dimitri Bettoni Diyarbakır

Dopo oltre 35 anni trascorsi in Germania, una carriera di successo, una clinica dentale ben avviata, Ziya Pir molla tutto e si candida nelle fila dell’HDP nella circoscrizione di Diyarbakır - o Amed, come preferiscono chiamarla i curdi. Lui curdo non è, ma turco e con una storia familiare del tutto speciale: è infatti nipote di quel Kemal Pir che, insieme al più famoso Abdullah Öcalan e ad altri studenti universitari, diede vita alla fine degli anni ‘70 al Partito Curdo dei Lavoratori, meglio noto come PKK. Kemal Pir morì nel 1982 in un carcere di Diyarbakır a causa dello sciopero della fame iniziato con altri militanti.

L’esito elettorale del 7 giugno le ha sorriso. Può dirsi contento della sua scelta di vita?

Non lo so, è ancora tutto nuovo per me. Quando mi contattarono per la prima volta per propormi la candidatura, quattro anni or sono, la mia risposta fu “no”. E “no” fu anche l’anno scorso, quando si ripresentarono alla mia porta. Ci vollero sei ore di colloquio ininterrotto per farmi cambiare idea, e un appello alla memoria di mio zio. Ero dubbioso, so che il mio cognome pesa, qui. La gente guarda me, vede mio zio e da me si aspetta le stesse cose. Ma la verità è che sono esistiti tanti Kemal Pir, il guerrigliero, l’intellettuale, l’uomo di famiglia, io a quale dovrei somigliare? Io posso e voglio soltanto essere me stesso, proporre le mie idee, che sono quelle dell’HDP.

Perché l’HDP?

Per quanto abbia trascorso molti anni in Inghilterra e in Germania, non sono estraneo alla vita politica di questo paese. Conosco Erdoğan, per esempio, e lui conosce me. L’AKP ha per certi versi fatto un grande lavoro, potenziando economia e infrastrutture, intervenendo con riforme che erano necessarie. Ma negli ultimi anni la gente ha cominciato a chiedere qualcosa di diverso, qualcosa che l’AKP non è in grado di offrire. Libertà di espressione, diritti individuali e collettivi, ecologismo, beni immateriali, ma dal grande impatto sociale. L’HDP sarà in grado di dare una risposta migliore a questi nuovi bisogni della gente.

Anche l’AKP aveva cominciato come coalizione, riunendo diversi gruppi accomunati dalle medesime esigenze e dando ad esse una struttura. Così è per l’HDP, che ospita gruppi con più di venti background diversi. Rispetto al precedente partito curdo BDP, la base elettorale è a mio avviso decisamente più moderata. Inoltre, tra noi ci sono molti credenti, io stesso lo sono, ma a differenza di altri non facciamo della religione uno strumento di promozione politica. La libertà di fede non può essere messa in discussione, ma è necessario che religione e politica rispettino ciascuna le proprie sfere di pertinenza.

Puntavamo a superare la soglia del 10% ed entrare in parlamento come partito per la prima volta nella storia della Repubblica turca: ci siamo riusciti. Sarebbe sbagliato però pensar di essere arrivati a destinazione, questo partito deve ambire ad ottenere il 20% dei consensi alla prossima tornata elettorale.

L’HDP ha dovuto combattere contro lo scetticismo dell’elettorato turco, alimentato anche dalla campagna elettorale degli avversari. Come avete convinto parte di questo elettorato che l’HDP non è più un partito solamente curdo?

L’HDP deve continuare a migliorare sotto il profilo comunicativo, che è stato senz’altro la chiave del nostro successo lo scorso 7 giugno. Siamo riusciti a parlare ai curdi conservatori così come ai turchi di orientamento liberale, che in precedenza non riuscivamo a raggiungere. Anche il ringiovanimento dell’elettorato ci ha aiutati: i giovani che in queste elezioni hanno votato per la loro prima volta sono più vicini alle nostre idee.

Io credo che il voto a favore dell’HDP possa essere diviso in due gruppi. Un voto attivo, che sostiene il partito e le sue idee, e che ritengo sia in prevalenza curdo. E un voto di opposizione, usato come strumento per punire le politiche sbagliate dell’AKP, quali ad esempio la riforma presidenziale, o le dichiarazioni di Erdoğan su Kobane, che hanno alienato all’AKP le simpatie di quella parte di mondo curdo che finora li sosteneva con convinzione.

Credo che il voto curdo sia per noi ormai consolidato. Invece il voto turco no, ha per noi carattere più volatile e potrebbe svanire nel momento in cui la figura polarizzante di Erdoğan e le sue ambizioni dovessero finire in secondo piano. Per ambire a quel 20% di cui parlavo, dobbiamo individuare quei votanti che possono considerare l’HDP appetibile, ma che ancora non abbiamo convinto. Penso ad esempio agli aleviti, che sono un gruppo numeroso, o a quei curdi che hanno scelto di sostenere ancora il partito di Erdoğan. Quelli sono i voti a cui dobbiamo puntare per rafforzarci.

Che progetti ha in mente l’HDP per questo paese?

Sicuramente questo paese ha bisogno di una nuova costituzione, più inclusiva verso le minoranze, etniche e religiose, in cui ciascuno possa rispecchiarsi. La lotta a favore delle libertà individuali è un’altra priorità del partito. Il diritto di protesta, ad esempio. La gente deve avere la possibilità di contestare il governo senza il timore di ritorsioni e violenze. Da questo punto di vista, Gezi park è stato esemplare e ha consolidato il sostegno dell’opinione pubblica attorno al diritto di libertà d’espressione. A me personalmente poi sta molto a cuore il tema dell’ecologismo, su cui c’è ancora tanto da lavorare qui in Turchia. Venendo dalla Germania, si nota subito.

Come risponde alle accuse per cui l’HDP sarebbe legato al PKK, o addirittura ne sarebbe succube? Molti elettori vi sono sfuggiti proprio per questo timore.

L’HDP è un partito formato su basi legali, secondo tutti i crismi della legge turca. Non esiste alcun collegamento tra l’HDP e il PKK. Certo il nostro elettorato curdo è simbolicamente e sentimentalmente legato all’organizzazione e in particolare ad Öcalan, li considera parte del proprio patrimonio e della propria storia. Noi non possiamo imporre ai nostri elettori una diversa visione della storia politica recente. Quello che possiamo fare è mantenere e potenziare il ruolo di mediatori tra le parti che ci siamo costruiti, mettendoci a disposizione di un percorso politico partecipato che ambisca ad offrire una soluzione democratica ai problemi che affliggono la società e lo stato turco.

L’HDP si fa quindi garante di mediazione affinché non si inneschi una nuova fase di violenze?

Se verranno meno le ragioni e i problemi per cui la lotta armata è sorta, ed essi saranno affrontati e risolti in ambito democratico e condiviso, è naturale che anche la lotta armata non avrà più ragione di esistere. Non posso chiedere al PKK di abbandonare le armi, ma se realizziamo il nostro programma, allora anche il PKK avrà esaurito la sua funzione e non avrà più ragione per proseguire la lotta. Ci sono motivi per cui queste persone hanno imbracciato le armi e vivono sulle montagne.

Di sicuro c’è stato negli ultimi anni un cambiamento forte nella gente. Guardiamo al caso di Ağrı: il governo e l’esercito, proprio a ridosso delle elezioni e con il processo di pace in corso, hanno avviato un’operazione militare contro il PKK al solo scopo di mettere in pericolo i soldati, hanno cercato il ferito o peggio il morto per creare un precedente da sfruttare nelle elezioni. Ma la gente questo l’ha capito e ha protetto i soldati, evitando un bagno di sangue. È nostro dovere proteggere anche i soldati dall’abuso sconsiderato a fini di provocazione.

La stessa cosa è accaduta a Diyarbakır, con le due bombe esplose durante il comizio due giorni prima delle elezioni. Io quel giorno ero sul palco, intimidito perché il mio discorso parlava di fratellanza tra turchi e curdi e non potevo sapere quale sarebbe stata la reazione di una piazza tradizionalmente molto schierata. Eppure i loro applausi e i canti di sostegno mi hanno fatto capire che la gente qui desidera davvero la pace. Ecco, l’HDP deve impegnarsi per far arrivare questo desiderio di pace all’ovest del paese. Io sono stato il primo a parlare, ma di undici oratori previsti in scaletta soltanto cinque sono riusciti ad avere parola, perché poi sono scoppiate le bombe. Prima una, poi la seconda, e in molti tra noi si aspettavano la terza, sotto il palco.

A quel punto, tra il fumo e le grida, la polizia ha schierato una cinquantina di agenti in assetto antisommossa, che hanno tentato di sgomberare la piazza. C’erano migliaia di persone, la tensione alle stelle, la folla scossa dal panico e dalla rabbia, a cosa servivano realmente cinquanta agenti in un tale contesto? Erano soltanto vittime sacrificali, mandati nella speranza che la situazione degenerasse e fossero linciati. Esattamente come ad Ağrı. Eppure anche in questo caso, nonostante quattro morti e centinaia di feriti, la gente ha dato nuovamente prova di cercare realmente la pace.

Dopo le elezioni è salita la tensione tra militanti HDP e i sostenitori dell’Huda Par, formazione ultraconservatrice nota anche come l’Hizbullah curdo. A Diyarbakır si sono verificati scontri e ci sono stati morti. Questa spaccatura interna alla società curda è destinata ad allargarsi? Ci saranno nuove violenze?

Io credo che anche questo episodio debba essere letto all’interno della strategia della tensione governativa. L’Huda Par è un piccolo gruppo con un sostegno minimo e, come alcuni militanti dell’ISIS, sono soltanto uno strumento del governo, il vero artefice di queste macchinazioni. Che il governo Erdoğan abbia stretti collegamenti con il fanatismo islamico ed i gruppi estremisti impegnati in Siria è ormai un fatto accertato. Ora alcuni sostenitori legati all’Huda Par hanno dichiarato che intendono eliminare alcuni deputati HDP, io stesso in questo periodo evito di usare il trasporto pubblico e non è certo ciò in cui speravo quando sono venuto qui dalla Germania.

Ora che avete incassato il risultato elettorale è tempo di coalizione, l’argomento che sta tenendo l’intero paese e la scena internazionale con il fiato sospeso. Quale futuro per l’HDP?

Faremo opposizione. Di sicuro non ci sarà alcuna coalizione con l’AKP. In passato abbiamo collaborato con loro sul tema del processo di pace turco-curdo, ma una coalizione avrebbe risvolti politici negativi, perché l’AKP potrebbe riconquistare nuovamente quei voti curdi che noi gli abbiamo sottratto.

Per noi, un governo AKP-CHP rappresenta in questo momento la soluzione ottimale: ci consentirebbe di appoggiare esternamente quelle iniziative che sono compatibili con il nostro manifesto politico, mentre allo stesso tempo avremmo le mani libere per fare opposizione dura quando necessario. Di certo non molleremo un centimetro sul processo di pacificazione curdo-turco, che resta in cima alla nostra agenda politica. Lo scenario peggiore sarebbe un governo monocolore AKP. È vero che secondo il risultato delle elezioni questo non è possibile, ma all’AKP mancano solamente 18 seggi per realizzarlo. Io temo che nei prossimi mesi assisteremo ad una corte serratissima in questo senso.

Öcalan è in carcere dal 1999. Ora che siete in parlamento, cercherete di ottenerne la scarcerazione?

No, Öcalan stesso ha personalmente dichiarato che questo non è tra gli obiettivi. Non lo è nemmeno per l’HDP. È più importante che lui possa continuare a scrivere e parlare alla sua gente.


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