Jens Woelk

Jens Woelk

La data suggestiva del 2014 non era pensata come una scommessa reale. Piuttosto come provocazione per ottenere (più) attenzione dell’Unione europea. Come scommessa sarebbe purtroppo persa di partenza, almeno oggi; probabilmente non sarebbe così, se fosse stata dichiarata come obiettivo soltanto cinque anni fa e poi presa sul serio...

28/06/2010 -  Jens Woelk

Sembra essere questo il problema dei Balcani: tutto arriva sempre in ritardo. Per questo era stata fatta la provocazione, ben colta in alcuni commenti, come “è il momento di mandare un segnale chiaro ai Balcani.” Questo segnale è necessario e deve essere politico, univoco e concreto allo stesso tempo per chiarire i rapporti fra l’Unione europea e gli Stati dei Balcani. Si deve andare oltre la tecnicità del processo attuale.

È giusto chiedere una “condizionalità forte” in quanto né l’Unione dovrebbe permettersi un abbassamento dei propri standard necessari per garantire un minimo di uniformità fra i membri in un mercato unico senza confini (e, anzi, dovrebbe cogliere l’occasione per rimuovere alcuni doppi standard ancora esistenti) né dovrebbero essere fatti degli “sconti” alla preparazione tecnica e amministrativa dei paesi entranti perché essa è il presupposto per la loro partecipazione effettiva e come membri di pari dignità. Non serve l’inclusione come Stati di “serie B”. Ma rinviare la prospettiva di adesione dei paesi balcanici sine die significa togliere gli incentivi per fare progressi concreti oggi e rende pertanto debole la condizionalità. È già passato quasi un decennio dalle prime promesse di futura adesione nei confronti degli Stati dei Balcani occidentali; per ora solo la Croazia si è avvicinata all’obiettivo dell’inclusione (la quale rimane comunque condizionata da fattori politici). Più lunga sarà l’attesa, meno credibile saremo come Unione. Inoltre si mettono a rischio i progressi e la stabilità finora raggiunti nella regione.

“I Balcani vanno motivati a crescere” è stato commentato. Ma come motivarli, soprattutto in tempi di “fatica di allargamento” e di crisi economica? Dobbiamo stare attenti che la motivazione dovuta alla prospettiva dell’adesione non vada persa ma continui a sostenere il processo di avvicinamento fino all’inclusione, a maggior ragione, se questo processo durerà tanto. Non va dimenticato che obiettivi a medio-lungo termine difficilmente costituiscono degli incentivi attraenti per chi viene eletto per una (breve) legislatura. Dobbiamo garantire benefici e vantaggi concreti – per cittadini e politici – per instaurare e mantenere un circolo virtuoso di progresso; è necessario un percorso definito e articolato con tappe intermedie e prevedibili che promettono un valore aggiunto rispetto allo status quo. Così, la trasparenza delle condizioni e dei risultati può trasformare la competizione interregionale in una sana pressione sui politici che dovranno giustificare le loro scelte e azioni di fronte al raggiungimento o meno di obiettivi intermedi e concreti e non soltanto rispetto all’obiettivo generico della futura adesione in tempi (troppo) lontani. Le dinamiche positive della liberalizzazione dei visti possono servire come esempio.

Serve quindi un approccio diverso con gli strumenti attuali (è poco probabile che l’UE possa cambiare radicalmente) utilizzandoli più efficacemente: se non si può conferire lo status formale di candidato a tutti, si potrebbe mandare a tutti i paesi subito il famoso questionario sulle istituzioni, sulle politiche e sulle infrastrutture. Con questo segnale politico a tutta la regione si aprirebbe il dialogo tecnico approfondito rafforzato dall’anticipo del monitoraggio che finora segue la candidatura ufficiale.1 Questo anticipo dei tempi servirebbe ad entrambi: l’Unione otterrebbe ulteriori e dettagliate informazioni sui singoli paesi e creerebbe un nuovo momentum politico per il processo di preparazione attraverso la trasparenza; i paesi confrontati con le loro debolezze avrebbero maggiori incentivi politici per costruire le capacità amministrative necessarie per superarli presto e per raggiungere le varie tappe intermedie.

Così si può far (ri-)partire tutti sullo stesso percorso, segnato da obiettivi intermedi chiari, sulla base di un esercizio di bilancio individuale e di valutazione comparativa, per procedere poi, secondo le esigenze e il progresso individuali, premiando la cooperazione che è corollario all’interdipendenza dei paesi (balcanici e degli Stati membri). Attraverso l’intensificazione del processo si può contrastare l’incertezza creatasi nell’ultimo periodo. Ma per intensificare ci vuole un segnale chiaro. Politico. E coraggio, per dimostrare che il nuovo secolo europeo sarà finalmente iniziato.

 

1 Così la recente proposta dell’European Council on Foreign Relations: Heather Grabbe, Gerald Knaus, Daniel Korski, Beyond Wait-And-See: The Way Forward for EU Balkan Policy, Policy Brief, May 2010 (www.ecfr.eu).


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