Il 6 maggio a Dragash, foto di Jonas Kako/Kosovo 2.0

Anche quest'anno, ad inizi maggio, la comunità dei gorani si è riunita ai piedi dei monti Sharr, nel sud del Kosovo, per celebrare un giorno di festa dedicato alle proprie tradizioni

30/05/2017 -  Dafina Halili

(Pubblicato originariamente da Kosovo 2.0 il 9 maggio 2017)

Pendija e Zumret Ahmed non perdono mai occasione di andare a Dragash il 6 di maggio. Se ne stanno seduti su un telo colorato, sotto i rami di un albero su cui si notano le nuove foglie appena cresciute: il posto scelto assicura loro di cogliere appieno l'atmosfera della festa annuale del giorno dei gorani che si sta animando di fronte a loro. La piana del Vlaska vicino al paese di Vraniste ai piedi dei monti Sharr, è affollata da migliaia di persone in festa.

Nonostante in tempi lontani le celebrazioni marcassero la giornata di San Giorgio e il passaggio dall'inverno all'estate, nei tempi moderni, per la maggior parte dei gorani del Kosovo, questa giornata ha perso la sua connotazione religiosa. Oggi, è ufficialmente riconosciuta dalla Repubblica del Kosovo come il Giorno dei gorani.

“Questa tradizione di riunirsi qui si tramanda da secoli” dice Zumret. “Tutti i gorani vengono qui questo giorno dell'anno. E' una tradizione che non è scomparsa e che non scomparirà  mai. Più che Djurdjevdan (il giorno di San Giorgio) è una celebrazione del popolo gorano, una possibilità di incontrarci e vederci”.

La stretta strada che porta nel bel mezzo delle celebrazioni e che continua a risalire la montagna, è costeggiata da persone su entrambi i lati: una processione costante di altre persone scendono e salgono, salutando facce familiari lungo il cammino.

Il 6 maggio è anche un giorno proficuo per gli affari: gorani, albanesi e quasi tutte le etnie presenti in Kosovo sono rappresentati da venditori ambulanti che vendono cibo, bevande, stoffe, giocattoli per i bambini e che gestiscono le giostre portate per l'occasione.

Nel mezzo del campo, al suono delle tupans (percussioni) e dei kaval (strumenti a fiato), le persone ballano i passi della danza tradizionale a due tempi, il kolo, mentre gli altri in piedi rimangono a guardare. Tutt'intorno famiglie sedute fanno pic nic, mentre altri girovagano, incontrando familiari e amici.

“Guarda là! Quella giovane donna probabilmente si è appena fidanzata”, dice la 57enne Pendija, puntando il dito verso una donna che balla la danza kolo; la giovane ragazza, probabilmente ventenne, veste un abito bianco e ricamato, tradizionale dei gorani, con un copricapo pieno di liras (antiche monete d'oro), contrastate da un fiore bianco dietro l'orecchio. Secondo la tradizione gorana, le giovani donne non sposate devono indossare il bianco jelek (gilè), per distinguersi dal jelek nero con ricami indossato dalle donne sposate.

“Guarda questo, è tutto fatto a mano” dice Pendija mentre mostra con orgoglio il suo gilè nero. “Ma ora indosso solo una semplice sciarpa, non sono più giovane da mettere quelle colorate”.

Nonostante vivano a Belgrado da quarant'anni, sentirsi gorani ed essere originari delle montagne del Kosovo nel profondo sud del paese, è importante per l'identità della coppia. “Vedi là” dice Zumret, gesticolando verso le montagne, “c'è Kukulan, il mio paese. Volgio sempre essere qui il 6 di maggio e pure durante l'estate. Mio nipote ha 6 anni, è nato a Belgrado, non vede l'ora di venire qui. Questo posto ci attira spontaneamente”.

La comunità dei gorani è una comunità slavo-musulmana della regione del Gora, nel triangolo montagnoso tra Kosovo, Albania e Macedonia; la sezione del Kosovo è la più popolata delle tre, con la maggior parte degli 11.000 gorani concentrati nella cittadina di Dragash e nei paesini circostanti. Ma a causa di un'emigrazione massiccia avvenuta lungo tutto il ventesimo secolo, con migliaia di persone che hanno lasciato la regione per trovare lavoro altrove, ad oggi, la popolazione dei paesini dei gorani è per lo più composta da anziani, le cui famiglie sono per la maggior parte all'estero.

Le targhe testimoniano che le macchine che riempiono la piccola strada di montagna provengono da Serbia, Macedonia, Albania e diversi paesi dell'UE. I gorani affermano che l'80% di chi partecipa alla festa fa parte della diaspora.

Jasmin Redzepovic, è una ragazza gorana di 28 anni che è venuta dalla Svizzera per festeggiare questo giorno assieme ai membri della sua comunità.

“Questo giorno ha questo effetto sui giovani, in particolar modo per quelli che vivono all'estero, ci permette di conoscerci”, dice Jasmin in lingua gorana Nasinski ("la nostra lingua"'), un dialetto slavo del sud non standardizzato. “E' più che un giorno di festa per noi giovani. Ed è stupendo che si possa vedere tutto in un giorno. La famiglia e le persone che conosci sono tutte in un solo posto. In più, c'è la musica e tanta gioia, tutto in uno”.

Successivamente alle celebrazioni a Vlaska, si prosegue la sera con musica e danze in villaggi limitrofi, con uno schema simile che si ripete in altri posti nei giorni successivi.

In quanto sarto di Dragash che confeziona gilè da sposa, Aslani Sukrija è una figura ben conosciuta alle celebrazioni. Aslani dice che la gente ha iniziato a riunirsi nella radura del Vlaska prima della Seconda guerra mondiale, quando le famiglie si riunivano per salutare i propri cari che emigravano. “Prima, le famiglie venivano qui per accompagnare le loro famiglie”, dice Aslani, “ e rimanevano finché le sagome dei loro cari non scomparivano dalla loro vista”.

Il sarto non è però contento del fatto che la maggior parte delle donne non vesta l'abito tradizionale dei gorani. “Prima, tutte le donne indossavano l'abito tradizionale” dice Aslan “ma ora è in corso un processo di assimilazione per le persone che vivono all'estero e vestono secondo i gusti occidentali”.

Considerati i tanti giovani della diaspora che provengono da comunità gorane, Aslani è speranzoso che la cultura e le tradizioni gorane siano preservate grazie alle generazioni a venire. “Sono molto felice che le persone siano disposte a pagare così tanto solo per questo e questa tradizione deve continuare”, dice. “La cultura e la lingua di una comunità devono essere preservate. Sono una ricchezza ovunque, per ogni società”.


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