Alba sul Bosforo (Foto James West, Flickr)

Alba sul Bosforo (Foto James West, Flickr )

Nel centenario del genocidio, alcune importanti iniziative segnalano la vitalità della minoranza armena in Turchia. La lotta per Kamp Armen e la partecipazione di candidati armeni al voto di domenica prossima

04/06/2015 -  Simone Zoppellaro Yerevan

In questo 2015, anno del centenario del genocidio, stiamo assistendo a un altro evento importante: il risveglio politico degli armeni di Turchia. Certo, non si tratta di una cosa del tutto nuova: sono stati diversi i segni e le avvisaglie – negli ultimi anni – di una presa di coscienza da parte di questa minoranza, a partire almeno dai funerali del giornalista Hrant Dink, ucciso da un ultra-nazionalista  nel 2007. Eppure, in tutta franchezza, era difficile immaginare di vedere la comunità armena mobilitarsi e assumere un ruolo da protagonista, come sta avvenendo nelle ultime settimane.

I cripto armeni

Un risveglio che parte da lontano. In molti casi, si è trattato di una vera e propria riscoperta – avvenuta in un clima politico meno impregnato dal nazionalismo e quindi più favorevole al pluralismo – della propria identità etnica e religiosa. A questo proposito, aveva fatto discutere un convegno tenutosi all’università Boğaziçi di Istanbul nel 2013 in cui si faceva luce sui cosiddetti “cripto-armeni”, cioè coloro che dopo il genocidio dichiararono la propria conversione all’islam o nascosero la loro identità per lungo tempo. Un fenomeno, questo, che ha riguardato soprattutto l’Anatolia orientale – terra che fu teatro principale del genocidio del 1915 – ma che grazie all’immigrazione ha investito anche Istanbul e il resto del paese.

Se per alcuni questa riscoperta ha inaugurato un percorso che è sfociato nella ridefinizione della propria identità e persino nella conversione, per altri ha portato alla presa di coscienza e alla valorizzazione di un’origine familiare armena oppure mista: scoprendo di avere un antenato armeno, un nonno o una nonna, ad esempio. Un fenomeno di proporzioni notevoli, come mi è stato possibile rilevare personalmente a Istanbul, dove ho incontrato diversi turchi (e curdi) desiderosi di raccontarmi il loro background familiare e capaci, in alcuni casi, anche di pronunciare alcune parole in armeno.

Che si tratti di una riscoperta recente o di un’identità già consolidata, gli armeni – come detto – hanno dato prova di una notevole vitalità negli ultimi mesi a Istanbul. A partire dalla commemorazione del genocidio, ad aprile, dove la comunità si è resa protagonista di una serie di eventi culminati in una “marcia del ricordo” che ha attraversato il quartiere di Sultanahmet, in pieno centro storico. Ancora una volta, come al già ricordato funerale di Dink, non solo gli armeni, ma anche molti turchi e curdi hanno voluto partecipare in segno di solidarietà, e a testimonianza che – grazie anche al sacrificio del giornalista, assassinato di fronte agli uffici del giornale bilingue da lui diretto, Agos – la società civile turca sta cambiando profondamente.

Salviamo Kamp Armen

Se però la commemorazione del 24 aprile non è cosa nuova a Istanbul, nelle ultime settimane si è assistito a qualcosa di completamente inedito: ci riferiamo alla protesta nata per salvare l’orfanotrofio di Kamp Armen. Situato nella parte orientale di Istanbul, nel sobborgo di Tuzla, Kamp Armen è uno dei luoghi simbolo dell’identità armena nella città. Nato su una proprietà acquistata nel 1962 dalla Fondazione della Chiesa Armena Protestante di Gedikpaşa, fu costruito l’anno seguente e ha ospitato più di 1.500 bambini armeni, ai quali – in anni oscuri e difficili per questa comunità – fu possibile dare una dignità, insegnare la lingua e la cultura armena. Fra loro, anche Hrant Dink e sua moglie Rakel, che proprio qui si erano conosciuti e innamorati. In seguito, l’orfanotrofio fu chiuso negli anni ottanta e il terreno confiscato a causa di una sentenza di anni prima che imponeva alle fondazioni presiedute da minoranze di restituire i loro terreni ai loro precedenti proprietari.

Dopo un lungo periodo di abbandono e vari passaggi di mano – e nonostante un decreto del 2011 imponesse la restituzione delle proprietà sottratte alle fondazioni delle varie comunità – il terreno di Kamp Armen è giunto al suo ultimo proprietario, il milionario Fatih Ulusoy. Risale a lui la decisione di abbattere il tutto per edificarvi una serie di ville. Arriviamo così alle 10 del mattino del 6 maggio, quando le ruspe si apprestano a demolire l’orfanotrofio. A impedire che ciò avvenga, troviamo però un gruppo di attivisti, determinati a interrompere lo scempio, un ulteriore “assassinio”, come lo ha definito la vedova di Hrant Dink, Rakel, che si sta battendo con determinazione per questa causa. All’origine della protesta, si distinguono politici come Garo Paylan e Sezin Uçar, candidati al parlamento turco nelle fine del Partito democratico dei popoli (HDP) e Ali Çelik, alla guida, a Tuzla, di un’altra forza d’opposizione, il Partito Popolare Repubblicano (CHP). Un ruolo di primo piano nella mobilitazione spetta a Nor Zartonk, gruppo di iniziativa degli armeni di Turchia creato con l’obiettivo di opporsi ad ogni forma di discriminazione, attivo insieme ad altre associazioni.

Il voto di domenica in Turchia

Grazie anche a un uso sapiente dei social media, e facendo ricorso in particolar modo alla lingua turca, gli attivisti sono riusciti a sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto alla loro causa e a raccogliere attorno a sé il supporto di molti. La loro protesta è sfociata quindi in una lunga occupazione, che non si è ancora conclusa, nonostante la promessa del proprietario – avvenuta in seguito a un intervento del Primo ministro turco Ahmet Davutoğlu – di una pronta restituzione del terreno. Gli attivisti ora attendono che si passi dalle parole ai fatti, prima di concludere l’occupazione. Nel frattempo Krikor Ağabaloğlu, pastore della Chiesa Protestante di Gedikpaşa, ha annunciato che dopo la restituzione verrà creato a Kamp Armen un nuovo orfanotrofio che ospiterà “bambini di tutte le nazioni”, e non solo più armeni.

Ma non c’è solo Kamp Armen: anche le elezioni parlamentari turche del 7 giugno rappresentano uno sviluppo importante per la comunità armena. Per la prima volta, infatti, ci saranno – in liste diverse – tre candidati appartenenti a questa minoranza. Il primo è il già ricordato Garo Paylan, protagonista della protesta, che ha ricordato in una recente intervista come risalga agli anni sessanta l’ultimo caso di un armeno eletto al Parlamento turco. Un altro è la giovane avvocatessa Selina Doğan, nelle fila del Partito Popolare Repubblicano, principale forza d’opposizione del paese. Non manca infine un candidato anche nel partito al potere, quello del presidente Erdoğan: si tratta del noto giornalista Markar Esayan. Una rappresentanza politica trasversale, come visto, e che rappresenta a maggior ragione un segno di cambiamento importante nella società turca.


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