(Maritè Toledo/flickr)

La storia al femminile di una famiglia ebraica sefardita, tra Sarajevo e Belgrado. Una recensione

13/04/2016 -  Diego Zandel

Romanzo fiume, “Il profumo della pioggia nei Balcani” della serba Gordana Kuić, edito in Italia da Bollati Boringhieri per la traduzione di Dunja Badnjević e Manuela Orazi, è la storia al femminile di una famiglia ebraica sefardita, la Salom, che si svolge tra Sarajevo e Belgrado e attraversa in pratica il Novecento. Storia al femminile, perché i personaggi principali sono le cinque figlie Laura, detta Buka, Nina, Klara, e in particolare Blanka e Riki, le cui vite maggiormente dettano le svolte più significative del romanzo. Ci sono anche due fratelli maschi che però poco contano nell’economia della storia, mentre, seppur secondari rispetto alle protagoniste, grande rilievo avranno i loro uomini.

L’operazione narrativa messa in atto dall’autrice è propria di quei romanzi storici che affidano lo scorrere del tempo alla vita privata, personale, dei personaggi, la quale vita privata s’incrocia poi con i grandi eventi della Storia, il primo dei quali è l’assassino a Sarajevo dell’arciduca Ferdinando per arrivare agli anni della seconda guerra mondiale, la lotta popolare e la Jugoslavia di Tito.

Il grande terreno di scontro e confronto, sia per il tempo di guerra che per quello più lungo di pace, sono i Balcani, anche se ci sono momenti in cui la vicenda si sposta o, comunque, guarda all’Europa, Parigi o Londra, come Roma o Barcellona, con quel forte sentimento di provincia, peraltro anche un po’ primitiva, avvertito proprio delle classi borghesi e piccolo borghesi, comunque colte, che rappresentano il punto di osservazione della storia. C’è anche molto Adriatico, la costa dalmata con le sue città di Spalato e Ragusa, quale ideale luogo di villeggiatura.

D’altra parte, per soffermarci solo sulle due maggiori protagoniste del libro, cioè Blanka, che verremo a sapere è ispirata alla figura della madre dell’autrice, e Riki, vedremo che, nonostante le ristrettezze della famiglia, gli ambienti in cui si troveranno a muoversi saranno sempre quelli delle classi medie e alte. Blanka sarà a lungo, seppur con alti e bassi, fidanzata di Marko, un ricco uomo d’affari serbo, proprietario anche del quotidiano di Sarajevo, mentre Riki, ballerina, etoile del teatro prima di Sarajevo e poi di Belgrado, a un certo momento ricercata perfino da impresari di Londra, non potrà che essere attorniata se non da persone di una certa levatura, amanti della musica e del teatro. Le altre sorelle, pur con diversi destini, non tutti fortunati, come del resto anche quello di Riki, non sono da meno.

Va sottolineato comunque a riguardo, che altri elementi entrano in circolo nelle vicende che le riguardano, la principale delle quali sarà l’appartenenza religiosa, profonda e identitaria, della famiglia Salom, ebrea sefardita che per parlare usano il ladino originario della loro provenienza spagnola. Un padre e una madre che mal tollereranno gli amori e i successivi matrimoni delle figlie con uomini non in linea con la tradizione religiosa famigliare. I cattolici oppure gli ortodossi che entrano a far parte delle vite delle protagoniste, rappresentano un elemento di rottura che a fatica, solo per il forte affetto che lega i singoli componenti della famiglia tra loro, viene superato, in particolare della madre, a causa anche della prematura morte del padre, che impedirà a quest’ultimo di vivere fino in fondo quella che sostanzialmente è la trasformazione del mondo, un adeguarsi ai tempi. E questo, è importante sottolinearlo, in una città come Sarajevo in cui la convivenza tra le diverse fedi religiose era pacifica e ben accetta da tutti.

Lo sguardo dell’autrice, molto affettuoso nei confronti dei suoi personaggi con punte di nostalgia per un mondo scomparso, è rivolto alle piccole cose della vita, ciononostante riesce a trasmettere il senso della Storia, gli eventi che questa trascina con se travolgendo quel mondo all’apparenza immobile.

“Il profumo della pioggia dei Balcani”, lettura prettamente al femminile, è uno di quei romanzi che è sempre più raro trovare e ci riporta, felicemente, l’eco dei grandi classici ottocenteschi, pur con il piglio stilistico di una scrittura d’interni che ricorda le grandi telenovelas, per una delle quali il romanzo si presterebbe.

 


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