Janez Janša - © Alexandros Michailidis/Shutterstocks

Janez Janša - © Alexandros Michailidis/Shutterstocks

Con una sentenza arrivata il Venerdì Santo, la magistratura slovena ha assolto il carismatico leader del centrodestra Janez Janša da accuse di corruzione. I suoi sostenitori sono in festa, il centrosinistra parla di vuoto vittimismo di un personaggio ingombrante e controverso

24/04/2025 -  Stefano Lusa Capodistria

Bisogna avere poco rispetto per le tradizioni - ed ancor meno delle implicazioni politiche - per emettere una sentenza a carico di un politico nel giorno in cui i cristiani celebrano la passione e la crocefissione di Cristo.

A maggior ragione se l’imputato è il leader del centrodestra e se da decenni oramai va predicando di una magistratura in mano alla sinistra e di tribunali usati dalle toghe rosse per far politica e per perseguitarlo.

Alla vigilia tutto faceva presagire ad un martirio, che alla fine però non c’è stato. I giudici hanno stabilito che Janez Janša è innocente. Se ne riparlerà in appello, visto che la procura ha già annunciato che intende fare ricorso.

Ma andiamo con ordine. La vicenda risale oramai a più vent’anni fa, quando il padre padrone del centrodestra sloveno aveva ceduto una sua proprietà nel parco nazionale del Tricorno. Secondo la procura l’avrebbe comprata per poco e rivenduta per molto. In sintesi, un caso di corruzione bello e buono messo in piedi all’epoca in cui era capo del governo con aziende compiacenti.

La richiesta era di due anni di carcere. Per Janša ed i suoi difensori null’altro che il solito processo farsa, orchestrato da una magistratura ad orologeria, pronta a mettere nuovamente fuori gioco il più probabile vincitore delle elezioni in programma il prossimo anno.

Dal centrosinistra dicono che questa volta a Janša è andata male e che non potrà giocare per l’ennesima volta il ruolo della vittima perseguitata dal vecchio regime. Per i suoi detrattori non è altro che un uomo corrotto, implicato in tutta una serie di scandali, a partire dalle vicende legate al traffico d’armi all’epoca delle guerre jugoslave.

Alla lettura della sentenza, comunque, frotte di suoi sostenitori hanno festeggiato con lui e non hanno mancato di lanciare strali contro i magistrati e lo spreco di danaro pubblico per perseguitare un politico innocente.

Janša per la sinistra resta un pericoloso principe delle tenebre, l’uomo che vorrebbe portare la Slovenia verso una democrazia autoritaria di tipo ungherese, a cui piacerebbe governare emulando Trump, non facendosi scrupoli di mettere in atto un repulisti generale.

Per i suoi sostenitori, invece, gli uomini ancora legati al vecchio regime, inseriti in tutti i gangli della società, starebbero facendo di tutto per non perdere le loro rendite di posizione e non si farebbero nemmeno scrupolo di usare ogni mezzo lecito ed illecito.

Il leader del centrodestra può contare su una schiera di fedelissimi sostenitori, tanto che alcuni parlano del suo partito come di una “setta” composta da fedelissimi adepti, pronti ad immolarsi per la causa.

Lui non è privo di carisma, del resto è l’eroe della “guerra” d’indipendenza. Da ministro della Difesa seppe opporsi con le armi ai tentativi dell’armata federale di far desistere Lubiana dai suoi propositi secessionistici.

Fu oggettivamente bravo ed efficiente, anche troppo, tanto che in Slovenia c’è chi sostiene che sia stato necessario fermare in tempo l’irruento giovanotto per non fare degenerare il conflitto ed arrivare ad una ritirata dei soldati di Belgrado relativamente incruenta, limitando le vittime e preservando il paese da inutili distruzioni.

Nella sua faretra Janša ha comunque anche l’aureola di martire per la Slovenia indipendente. Nella seconda metà degli anni Ottanta un tribunale militare lo condannò a 18 mesi di carcere.

Il paese si mobilitò in suo favore e quella vicenda fece crescere in Slovenia la consapevolezza che era necessario andarsene dalla Jugoslavia socialista.

Il leader del centrodestra, in carcere ci tornò nel giugno del 2014. I giudici lo condannarono in via definitiva a due anni di reclusione. Sulla via che lo riportava nella prigione in cui era stato rinchiuso al tempo della Jugoslavia lo accompagnarono migliaia di sostenitori e una giovane moglie in lacrime.

Si era alla vigilia delle elezioni politiche, dove il suo partito sarebbe stato sconfitto, ma lui avrebbe fatto la spola tra il parlamento ed il carcere.

Era finito tra le sbarre per una vicenda iniziata nel 2008, portata a galla dalla TV pubblica finlandese trasmise un documentario in cui si accusava Janša di aver intascato tangenti nella vicenda della fornitura di blindati per l’esercito sloveno.

L’ex premier venne rinviato a giudizio nell’ottobre del 2010. All’epoca si era alla vigilia delle elezioni amministrative. La sentenza definitiva arrivò sei anni più tardi. Ci pensò la Corte costituzionale ad annullare tutto constatando che non gli era stato garantito un processo equo.

Lui chiese che il processo si rifacesse da capo, i giudici non gli diedero ascolto e chiusero il caso per decorrenza dei termini.

Adesso, dopo quasi quindici anni di dibattimenti sulla sua proprietà venduta nel parco nazionale del Tricorno, anche questa vicenda potrebbe finire così: senza una condanna, ma anche senza una sentenza definitiva.

Così una parte della società sarà convinta di avere a che fare con un martire, vittima della Jugoslavia prima e di una ingrata Slovenia poi; mentre per gli altri anche nel Venerdì Santo di quest’anno è stato liberato Barabba.