Milutin Mitrović (Archivio privato)

Milutin Mitrović (Archivio privato)

Un lungo viaggio attraverso l'Italia, i suoi pilastri culturali, politici e sociali, e rimandi continui - come in uno specchio - all'altro lato dell'Adriatico, alla Serbia e all'ex-Jugoslavia. È Italija – Bel Paese dello scomparso Milutin Mitrović, analista economico e giornalista brillante. Una recensione

18/04/2025 -  Božidar Stanišić

Scrivo questa recensione della raccolta di articoli sull’Italia di Milutin Mitrović (per gli amici Džive) spinto da una domanda retorica: Ha senso scrivere di libri che tendiamo a scartare tra “le vecchie” edizioni?

Il libro è stato pubblicato quasi tre anni fa (curato da Marija L. Mitrović, moglie dell’autore). Per quanto io ne sappia – e Internet è affidabile in questo senso – ad oggi in Italia, nonostante la presenza di una nutrita diaspora ex jugoslava, tra cui molti italianisti e slavisti, nessuno ha dedicato attenzione a questo libro.

La ricezione del libro in Serbia? (Come nel resto nella regione post-jugoslava, anche in Serbia la recensione, come forma di critica letteraria, è quasi scomparsa, fatta eccezione per le recensioni commissionate ed elogiative.)

Pochi commenti appropriati, scritti perlopiù da amici, quindi, com’è comprensibile, caratterizzati da toni affabili. Di articoli seri però ne ho letti solo due, entrambi firmati da Sinan Gudžević. Per chi fosse interessato, ecco i link al primo e al secondo . Vale la pena leggerli.

Italija – Bel Paese è una raccolta di saggi unica e insolita di un giornalista e analista economico che per anni ha scritto per giornali e portali serbi concentrandosi sull’economia, la politica, la cultura e le tradizioni di un paese che solo le persone superficiali possono considerare un territorio omogeneo.

Per Mitrović, giornalista serio (che, come vedremo, scriveva meglio di molti di quelli che oggi si vantano di essere bravi scrittori), l’Italia era qualcosa di più di un semplice paese con la sua società contemporanea: da cittadino (ha vissuto a Trieste per venticinque anni), viaggiatore e osservatore, percepiva l’Italia prima di tutto come una civiltà.

Se ci chiedessimo – seguendo la classificazione dei viaggiatori, abbastanza oggettiva, seppur ironica, proposta da Sterne nel suo Viaggio sentimentale (1768) – che tipo di viaggiatore fosse Mitrović (ordinario, ozioso, falso, curioso, arrogante, vanitoso, burbero...), saremmo portati a definirlo serio, modesto, acuto nel giudicare fenomeni negativi, incline all’utilizzo di toni teneri parlando del bello e del buono, propenso a tracciare parallelismi costruttivi tra la Serbia (e la Jugoslavia) da una parte e l’Italia dall’altra.

Sarebbe sbagliato paragonare Mitrović a quegli scrittori italiani, e in generale occidentali, che hanno ritenuto (e continuano a ritenere) sufficiente leggere una manciata di articoli e percorrere in fretta l’ex Jugoslavia per… scrivere libri su quei territori! (libri in cui è inutile cercare dubbi e interrogativi). Mitrović si contraddistingue anche dalla maggior parte degli scrittori di viaggio serbi contemporanei, che spesso si fermano a guardare il proprio ombelico, senza andare né avanti né indietro. Torniamo però al nostro libro.

Nella sua sintetica prefazione, Damir Grubiša considera il libro di Mitrović un vero e proprio “specchio dell’Italia”, citando il pensiero del grande scrittore polacco Henryk Sienkiewicz, secondo cui “ogni uomo ha due patrie: la prima è quella in cui è nato, e la seconda è l’Italia”.

I nove capitoli di questo “specchio dell’Italia” (Politica, Economia, Fiat, Mafia, Calcio, Vita quotidiana, Istituzioni, Ritratti, Noi e loro) possono essere letti come racconti a sé stanti, così come gli articoli (cinquantacinque in tutto) pubblicati nel periodo 2002-2020.

Con questo libro, Mitrović scardina la tesi per cui i giornali vivono un giorno solo. Ciò che vale resta. Nello specifico, quasi tutti gli articoli di Mitrović dedicati all’Italia, soprattutto quelli che oscillano tra saggi e narrazioni, restano attuali, schietti e onesti, anche quando lo sguardo dell’autore è implacabilmente ironico.

Come ad esempio nelle sue osservazioni sui “tre pilastri dell’Italia”, vale a dire la Chiesa, il calcio e la politica. (Anche se non condividiamo alcune considerazioni di Mitrović, come quelle su Draghi e Monti – una specie di panegirico sulle personalità della politica europea e italiana, che personalmente ritengo infondato – non dovremmo sminuire il valore dell’intera raccolta, che fornisce uno sguardo peculiare su un paese che l’autore ha potuto osservare e studiare da vicino, sentendosi felice di questa opportunità.)

Elencando i nomi dei nove capitoli della raccolta di Mitrović, ho soltanto abbozzato le loro cornici tematiche. Ciascun capitolo è composto da diversi testi che offrono uno sguardo unico sull’argomento affrontato – la Chiesa, lo stato, un particolare momento storico, la mafia, il calcio, le peculiarità del genio culinario italiano (l’unico argomento con cui Mitrović si avvicina ai libri di viaggio classici), il Vaticano, i mercati all’aperto, i disastri naturali, i vini, il capitalismo “illuminato”, la corruzione, il fascismo, i sacerdoti umanisti, i movimenti giovanili...

Per chi volesse conoscere anche lo stile di Mitrović, proponiamo qui di seguito la traduzione di tre frammenti tratti dal libro. Se invece conoscete una delle quattro lingue nate dalle ceneri di quel serbocroato infame e inadeguato, durante un viaggio in Serbia potete acquistare una copia del libro in qualsiasi libreria ben fornita – non ve ne pentirete!

Concludo sottolineando che si tratta di un libro che merita di essere tradotto in italiano. Non solo per la diaspora jugoslava – escluse però quelle persone arroganti e vanitose che vivono in Italia e sostengono (parlo per esperienza) di conoscerla “perfettamente” – ma anche per quei pochi italiani a cui interessa davvero l’opinione altrui su di loro.

Questa minoranza di certo non si arrabbierà per la spietata lucidità delle osservazioni di Mitrović sull’economia e la politica, men che meno di quelle sulla cultura, la storia e i vari aspetti della tradizione di un paese, come l’Italia, che in realtà rappresenta una civiltà.

Frammenti tratti dalla libro Italija – Bel Paese di Milutin Mitrović

Nei geni degli italiani, sin dal Rinascimento, è rimasta impressa la capacità di sviluppare innumerevoli idee, purtroppo, però, oggi non hanno più né la ricchezza né la genialità di un tempo per mettere in pratica quelle idee. L’epicentro delle tendenze future si sta spostando verso ciò che è “migliore e più alto”, come sostiene Kanjoš Macedonović.

L’idea per cui ogni essere umano merita di vivere in una condizione di sicurezza economica, se escludiamo i primi germogli in Aristotele e Cristo, parte da Thomas More (1516) e dalla sua riflessione secondo cui “la società sarebbe migliore e più giusta se ogni individuo disponesse di mezzi sufficienti per soddisfare i propri bisogni esistenziali”.

Non è un caso che la sua opera, da cui è tratta la frase di cui sopra, si intitoli L'Utopia. Due secoli e mezzo dopo, Thomas Jefferson introdusse una legge in Virginia per riconoscere ad ogni individuo il diritto ​a 50 acri di terra. L’ingiustizia spinge un numero sempre maggiore di persone intelligenti a porvi rimedio. Ad esempio, Bertran Russell ritiene che “ad ogni individuo, a prescindere dal fatto che lavori o meno, debba essere garantito un reddito minimo, sufficiente per sopravvivere”.

Il presidente degli Stati Uniti F. D. Roosevelt: “Un uomo povero non è libero”. Anche per Hayek “non vi è dubbio che a tutti può essere garantito un minimo di cibo, riparo e vestiti, sufficienti a preservare la salute e la capacità di lavorare”. Non posso qui citarli tutti, vale la pena però menzionare almeno i principali sostenitori del salario minimo garantito: Keynes, Galbraith, Martin Luther King, Erich Fromm, Paul Samuelson, Marshall McLuhan, Jeremy Rifkin, Paul Krugman...

(Un’utopia? Reddito senza lavoro? – 2005, un articolo in cui l’autore discute l’iniziativa del professor Tito Boeri, all’epoca presidente dell’INPS, che aveva proposto di introdurre il salario minimo garantito per i cittadini di età superiore ai 55 anni senza lavoro, ma il governo di allora era contrario giustificandosi col fatto che la proposta era arrivata troppo tardi).

Duecento anni fa, i tartufi erano considerati cibo da poveri finché un nobile stravagante non scoprì che i poveri mangiavano cibi per cui non erano qualificati. Da allora la ricerca di questi funghi si è trasformata nei più raffinati metodi archeologici.

Innanzitutto, ci sono i cani “particolarmente addestrati” che li annusano e indicano, poi il terreno viene leggermente allentato con un bastone speciale e poi il lavoro viene eseguito delicatamente con le dita, in modo da non danneggiare il prezioso frutto. Ogni fungo trovato viene avvolto in una sciarpa speciale di tessuto a trama larga. Non deve assolutamente essere pulito né lavato.

Si pulisce solo con una spazzola umida un’ora o due prima del consumo, nient’altro. Si taglia con un coltello speciale in foglie quasi trasparenti, oppure con una grattugia viene sbriciolato sul piatto. (Tartuf , 2005)

Nei rapporti tra serbi, montenegrini e italiani esiste una rigorosa distinzione logica tra popolo e governo. L’Italia aveva occupato il Montenegro durante la Seconda guerra mondiale, eppure gli italiani sono ricordati per il bene fatto e le camicie nere per il male.

Durante il regime di Milošević, gli italiani hanno fatto una netta distinzione tra il regime, che hanno fermamente criticato, e il popolo, che hanno difeso con altrettanta fermezza. In nessun luogo al mondo i bombardamenti contro la Serbia, alla fine degli anni Novanta, sono stati condannati così fortemente come in Italia.

Alcuni hanno manifestato spinti dal proprio antiamericanismo, ma la maggior parte ha protestato per le sofferenze di un popolo innocente. Un gesto di sincera empatia con chi è in difficoltà non viene mai dimenticato”. (Noi e gli italiani siamo settanta milioni, 2009)

Milutin Mitrović (Belgrado, 1931 – Trieste, 2020), analista economico, si approccia al mondo del giornalismo da giovane, come critico cinematografico del giornale Student. Successivamente, nell’economia riconoscerà il campo di ricerca maggiormente in sintonia con la sua indole. Conquisterà i lettori della rivista Ekonomska politika [Politica economica] con il suo approccio originale alle questioni economiche più pressanti di quegli anni in Jugoslavia, e non solo, e con le sue lucide analisi, caratterizzate da uno stile giornalistico del tutto particolare.

Negli ultimi vent’anni della sua vita ha scritto principalmente per il portale Peščanik e per la rivista Biznis i finansije [Affari e finanza]. Nel corso della sua vita ha pubblicato Postmoderna vremena: ekonomska beležnica [Tempi postmoderni: quaderni di economia, 2009] e Dnevnik globalne krize [Diario della crisi globale, 2016]. Invece le opere Ekonomija nepoštenja [L’economia della disonestà, 2021] e ItalijaBel paese (2022), frutto dei suoi anni triestini (1995-2020), sono state pubblicate postume.