Manifesto della mostra

Manifesto della mostra

Esecuzioni arbitrarie, incarcerazioni di massa, torture… Il 12 settembre 1980 il generale Kenan Evren salì al potere con un colpo di stato da cui poi nacque l’attuale Costituzione della Turchia. Un paese che non ha ancora fatto i conti con il retaggio di quell’epoca violenta

03/11/2023 -  Mathilde Warda

(Originariamente pubblicato da Le Courrier des Balkans , il 21 ottobre 2023)

Mappatura dei luoghi di tortura, lunghe video testimonianze, teatro delle ombre, frasi scritte sui muri che fungono da ponte tra passato e presente… Incastonata in una viuzza sulla riva europea del Bosforo, in un ex magazzino di tabacco trasformato in spazio espositivo e luogo di dialogo, la mostra “Geçmiş Bugündür – Il passato è presente” ripercorre un’epoca dolorosa della storia turca: il colpo di stato del 12 settembre 1980.

L’idea della mostra è partita dal Bellek Müzesi – Museo della memoria per la giustizia storica, un museo digitale impegnato nel preservare la documentazione sui crimini contro l’umanità perpetrati durante il colpo di stato del 1980, riportare così alla luce le violazioni dei diritti umani di cui si era macchiato il regime militare.

“Se abbiamo deciso di lanciare questo museo a distanza di quarantatré anni dal golpe è perché riteniamo che le violazioni commesse in quel periodo – che di solito vengono osservate come un fenomeno circoscritto nel tempo – abbiano avuto un impatto duraturo sull’economia, la politica e la vita sociale e culturale della Turchia”, spiega Eylem Delikanlı, ricercatrice esperta di storia orale e direttrice del museo, attualmente residente a New York.

12 settembre 1980

Alle 4 del mattino del 12 settembre 1980 il generale Kenan Evren, presidente del Consiglio di sicurezza nazionale (MGK), annunciò la presa del potere in diretta sull’emittente nazionale TRT. Il colpo di stato fu presentato come un’azione necessaria per evitare che la drammatica situazione politica ed economica in cui si trovava la Turchia sfociasse in una “guerra civile”. La legge marziale, già in vigore in alcune province, venne estesa all’intero paese, portando allo scioglimento del governo e del parlamento. La Costituzione fu sospesa, tutti i partiti politici e sindacati messi al bando.

La prese del potere da parte del generale Evren giunse dopo un decennio turbolento. Solo tra il 1975 e il 1980 in Turchia almeno 5700 persone persero la vita negli scontri violenti tra l’estrema destra e l'estrema sinistra, ma anche tra diverse comunità presenti nel paese. Nel 1982 fu approvata una nuova Costituzione e Kenan Evren divenne capo dello stato, rimanendo in carica fino al 1989.

A tutt’oggi il discorso ufficiale si sforza ancora di presentare il golpe del 1980 come “una necessità”. Il Museo della memoria cerca di mettere in discussione questa narrazione. “È importante decostruire la narrazione ufficiale, anche coinvolgendo testimoni che possano raccontare quanto accaduto durante e dopo [il colpo di stato]”, spiega Eylem Delikanlı sottolineando la complessità di quel momento storico.

Allo scopo di far emergere questa complessità in tutte le sue sfumature, il Museo della memoria raccoglie una quantità notevole di testimonianze. “La storia orale ci offre l’occasione di creare una piattaforma democratica che permetta alle persone di esprimersi”, spiega Eylem Delikanlı precisando che il museo digitale sfrutta le tecnologie esistenti. Nello specifico, Delikanlı utilizza un’applicazione per la sincronizzazione dei metadati della storia orale (OHMS) che consente di individuare le parole chiave nelle video testimonianze rendendo le fonti raccolte accessibili anche agli altri ricercatori.

Cinquanta attivisti giustiziati

Alcune forme di violenza perpetrate durante la dittatura militare continuarono a manifestarsi in altri modi negli anni successivi. “Perché quelle persone furono sottoposte a violenze e altri trattamenti indicibili da parte dell’esercito, dei servizi segreti e della polizia turca?”, si chiede Eylem Delikanlı presentandoci una parte della mostra che svela il carattere violento del regime militare.

Il periodo successivo al colpo di stato del 1980 fu infatti caratterizzato da gravi violenze: almeno 50 persone giustiziate, 650mila arrestate, 80mila condannate ad una pena di reclusione da 10 a 15 anni. Tra i giustiziati c’era anche Erdal Eren, il cui volto compare sul manifesto della mostra. Eylem Delikanlı spiega di aver deciso di promuovere la mostra con una fotografia di questo ragazzo perché al momento della morte “era minorenne, diventando così un simbolo di tutte le ingiustizie legate a quel periodo”.

Un’intera generazione è cresciuta in mezzo alla violenza del regime militare. Una generazione a cui appartiene anche Eylem Delikanlı che nel 1980 aveva quattro anni. Suo padre, all’epoca membro della più grande associazione degli insegnanti turchi, fu arrestato il giorno dopo il golpe. La testimonianza di Eylem e di altri bambini la cui vita fu travolta quel 12 settembre sono esposte in una delle sale della mostra in cui ci si interroga sul modo in cui “la violenza ha influenzato i primi ricordi rimasti vivi in quei bambini, continuando a definire il loro presente”.

Eylem spiega che le famiglie vittime del colpo di stato del 1980 in un primo momento cercarono di ricostruire la propria vita evitando di parlare di quanto accaduto. Poi pian piano il tema del golpe cominciò a riemergere, spesso su iniziativa di un familiare delle vittime. Anche Eylem ha iniziato a indagare sull’argomento solo dopo aver scoperto che anche sua madre fu imprigionata durante il golpe.

Una forma di oppressione che persiste

Il 12 settembre del 1980 è una data importante anche dal punto di vista istituzionale e politico poiché la Costituzione adottata a seguito del golpe è ancora in vigore e di recente è tornata al centro del dibattito pubblico turco. Il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha infatti annunciato di voler creare una nuova Costituzione “civile e partecipativa”, i cui contorni però restano ancora vaghi.

La mostra “Il passato è presente” si ricollega anche alle lotte attuali in Turchia dando spazio alle Madri del sabato, come anche alle lettere del filantropo turco Osman Kavala, condannato all’ergastolo, e della donna politica curda Gültan Kışanak. “Abbiamo voluto includerli nella mostra per dimostrare che certe forme di oppressione perdurano nel tempo”, spiega la curatrice.

Nel 2014 Kenan Evren, allora novantaseienne, e un altro generale golpista, Tahsin Şahinkaya, furono condannati all’ergastolo. Entrambi morirono un anno dopo, lasciando molti con la sensazione che la giustizia non fosse soddisfatta. “[Kenan Evren] fu sepolto con gli onori militari, da generale qual era”, commenta Eylem Delikanlı sottolineando che quello nei confronti di Evren “fu un processo lungo e complesso, conclusosi però con una condanna del tutto inadeguata”.

Nonostante la delusione, la ricercatrice non ha alcuna intenzione di arrendersi. “Questo è il punto centrale del museo. Cerchiamo di restituire la giustizia storica attribuendo agli eventi, ai carnefici e alle vittime il loro vero significato in modo che possano essere ricordati come meritano. Così anche Kenan Evren sarà riconosciuto come il principale responsabile di tutti i crimini commessi in quel periodo”, conclude Delikanlı.


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