Elena Stancu al lavoro nel loro camper - © Cosmin Bumbuț

Elena Stancu al lavoro nel loro camper - © Cosmin Bumbuț

La storia di una giornalista e un fotografo romeni che da dieci anni vivono in un camper per poter scrivere le loro inchieste su come si vive in Romania e su come vivono i romeni espatriati. Sono Elena Stancu e Cosmin Bumbut: li abbiamo incontrati

22/12/2023 -  Oana Dumbrava

Elena Stancu e Cosmin Bumbut, una giornalista e un fotografo. Da dieci anni vivono in un camper e viaggiano per poter documentare storie di vita romena che pochi conoscono o possono immaginarsi.

Elena ha lavorato per quasi sei anni presso la rivista Marie Claire, dove è stata prima redattrice, poi vice caporedattrice. Cosmin ha scattato foto di moda e pubblicitarie fino all'età di 40 anni, quando ha deciso di lavorare solo su progetti documentari. Un’attività ricca di riconoscimenti per entrambi e una vita che non era male. Ma il vero senso mancava.

Nel novembre 2013, due borse di giornalismo, una del Carter Center e la Fellowship for Journalistic Excellence di BIRN, hanno dato loro il coraggio di rinunciare al monolocale affittato a Bucarest, per trasferirsi insieme in un camper e iniziare un viaggio per osservare come vive la Romania nel profondo.

Hanno iniziato con un progetto sulla cultura della violenza in Romania che è durato più di due anni (“Cicatrice”), poi sono seguite storie sulla vita dei detenuti nei penitenziari romeni, sulle famiglie che vivono in estrema povertà, sulla discriminazione, sul razzismo, sulla mancanza di medicinali negli ospedali romeni.

Storie che sono state pubblicate anche nel libro “Acasa pe drum” (A casa sulla strada). Hanno continuato a vivere in macchina, contando sulle donazioni dei lettori e su altre borse di studio per il giornalismo che si sono susseguite, felici di avere il privilegio di poter fare il loro lavoro attraverso la Romania, un paese dove non è esattamente facile trovare il modo di dare vita a progetti del genere.

Nel gennaio 2019 hanno iniziato a lavorare su "Plecat" (Partito), viaggiando attraverso l'Europa per scrivere e raccontare storie reali sui migranti romeni.

Ed eccoci ora, nel 2023. Sono già dieci anni da quando la coppia vive in un camper per poter fare il lavoro che ha sempre voluto fare.

Curiosa di sapere se possibile quantificarlo, chiedo a Elena – quanti chilometri avete percorso in dieci anni?

Cosmin ha già fatto dei calcoli, perché è proprio a novembre di quest’anno che abbiamo compiuto dieci anni di vita nel camper, una buona occasione quindi per rifletterci sopra. In questi 10 anni abbiamo percorso circa 140.000 km di cui 80.000 in Europa. Abbiamo parcheggiato in 387 posti, il che significa che abbiamo trascorso in media 7,7 giorni in città, villaggi, campi, foreste, parchi o spiagge. Abbiamo dormito 3.000 notti in macchina, il che significa 3.000 notti senza pagare la sistemazione in un albergo o altro.

Noi non siamo viaggiatori nel senso puro del termine. Non è certo la vita più comoda, ma abbiamo il camper per avere una sistemazione sicura e conveniente ovunque vogliamo andare.

Abbiamo bisogno di tempo per documentare tematiche complesse e comprendere tutte le sfumature di grigio che compongono la realtà. La vita in camper ci ha dato il privilegio di lavorare solo su argomenti in cui crediamo e di poterci fermare in un posto finché non abbiamo finito la nostra indagine. Adesso, ad esempio, siamo nei Paesi Bassi per documentare la vita di giovani romeni che hanno deciso di venire qui a studiare. Parcheggiamo dove vivono gli studenti per essere vicini ai nostri soggetti, ma poiché qui è vietato dormire nel camper, siamo costretti a volte anche a nasconderci e spesso a cambiare posto.

Vita da camper © Cosmin Bumbuț

Vita da camper © Cosmin Bumbuț

Siete quindi sempre “A casa sulla strada”, tra l’altro il titolo di uno dei vostri progetti, a cui è seguito il progetto “Plecat” (Partito). Con il progetto “Partito”, siete stati finora in dieci paesi e avete documentato la vita dei romeni emigrati in Spagna come raccoglitori di fragole, la vita delle badanti romene in Italia, dei lavoratori stagionali in Germania, degli agricoltori in Norvegia, dei musicisti nei Paesi Bassi, degli elettricisti navali che costruiscono navi in ​​Danimarca, dei medici e degli infermieri medici in Inghilterra e in Italia, dei ricercatori romeni in Svezia, cosi via. Secondo la vostra esperienza, in tutte queste comunità e luoghi in cui i romeni sono andati a vivere e lavorare, c’è qualcosa che in qualche modo accomuna queste esperienze? C’è un elemento comune, tipico del romeno che ha lasciato la Romania?

In realtà no, le storie dei romeni che decidono di andare via non hanno quasi nulla in comune. Ed è proprio questo che abbiamo cercato di mostrare. La Romania è il Paese con la più alta percentuale di emigrazione in Europa in rapporto alla popolazione. Ufficialmente, ci sono 5,7 milioni di romeni emigrati.

Abbiamo capito però, che lo stato romeno non ha i mezzi e il metodo necessari per poter fornire dati reali. In Spagna, ad esempio, del milione di romeni emigrati dal 2014, oggi ce ne sono meno di mezzo milione. Questo perché, con l'ingresso nell'Unione Europea e l'abolizione delle restrizioni ai viaggi, i romeni hanno iniziato a scegliere destinazioni come l'Inghilterra e la Germania, e lo stato romeno non ha più seguito le dinamiche migratorie. Non è nemmeno interessato a farlo, perché la situazione è in continua evoluzione. Le ambasciate romene all'estero sono oberate di lavoro, i consolati pure.

Basti pensare che in Germania, per una diaspora di quasi un milione di romeni, ci sono solo un'ambasciata e due consolati. Lo stato non conosce la reale situazione dei romeni emigrati all'estero. Non sa chi sono e cosa devono affrontare. I loro problemi e le loro storie sono molto diversi.

I lavoratori stagionali partono perché non hanno altro modo per guadagnarsi da vivere. Lo stesso vale per i lavoratori portuali che sono partiti per la Danimarca. Dopo la chiusura del porto navale di Mangalia, si sono trovati a 50 anni senza molte opportunità di lavoro e sono dovuti partire. Non hanno intenzione di integrarsi in Danimarca e tornerebbero volentieri a casa se ci fossero altre possibilità.

D'altra parte, i giovani romeni che vanno a studiare nei Paesi Bassi fanno questa scelta per la varietà di opportunità a loro disposizione e potrebbero anche non tornare. Le storie sono quindi molto diverse.

Alcune badanti romene ci hanno detto che per loro l'Italia è stata una fuga dalla violenza domestica. La diaspora è davvero un'altra Romania che va esplorata e compresa.

Elena Stancu sul camper ©  Cosmin Bumbuț

Le vostre inchieste documentano la vita dei romeni al di là delle cifre, con storie vere, foto, testimonianze: avete mai visto conseguenze concrete dopo la loro pubblicazione?

Siamo stati contattati da un politico romeno che era interessato a progettare un programma per i lavoratori stagionali. Poi siamo stati invitati dal Consiglio europeo per parlare della situazione dei migranti romeni. Anche l'agenzia governativa del Regno Unito ci ha chiesto un supporto per denunciare i bassi salari dei lavoratori stranieri all'estero. Naturalmente, siamo aperti a parlare con chiunque voglia fare la differenza.

Ma quello che ci auguriamo è che le nostre indagini abbiano un effetto molto più profondo. Che costruiscano ponti tra i romeni che sono partiti e quelli che sono rimasti. E di sfatare i miti e i pregiudizi che alcuni hanno sugli altri. Non passa mese senza che riceviamo messaggi di persone che ci ringraziano perché si sono ritrovate nelle nostre storie o perché, grazie alle nostre storie, hanno potuto capire meglio la situazione dei loro vicini e delle persone che vivono in contesti sociali diversi. Al festival letterario Filit di Iasi, ad esempio, tre o quattro dei giovani che hanno letto la nostra serie sulle badanti romene in Italia avevano le loro madri lontane che facevano proprio questo lavoro. È stato interessante per loro vedersi nelle storie e, allo stesso tempo, rendersi conto che non sono soli.

Quello che fate quindi va oltre un semplice approccio giornalistico...

Sì, quello che facciamo ha poco a che fare con le cosiddette news. Noi entriamo nella profondità della storia e del problema. Parliamo di identità, di traumi transgenerazionali, di come questi traumi vengono trasferiti da una generazione all'altra. E con questi temi al centro dell'attenzione, anche noi ci chiediamo: ma cosa stiamo facendo in realtà e come possiamo chiamarlo? Giornalismo? Antropologia?

Le idee per i progetti nascono dai vostri interessi e dalle vostre curiosità. Cosa vedete nel futuro?

Abbiamo un’agenda infinita di idee e non ci basterebbe una vita per portarle a compimento. Nel 2014 avevamo inserito il progetto “Partito” nella nostra agenda e ci stiamo ancora lavorando. Il nostro è un lavoro lungo e faticoso non solo perché i temi sono complessi e molto ampi, ma anche perché è emotivamente drenante.

Viviamo attraverso i nostri soggetti, entriamo in empatia con le loro storie per capirle in profondità. E a volte ci manca la vita normale. È bello sapere dove si dormirà stanotte, è bello incontrarsi con gli amici, perfino lavarsi senza problemi. Noi abbiamo perso questa normalità. Se ci pensate, anche i romeni in diaspora possono scegliere di integrarsi nella loro comunità. Noi non possiamo farlo, ci integriamo nella vita delle persone e nelle storie che documentiamo. E poiché ogni giorno abbiamo così tanti problemi da risolvere, non possiamo pensare a nuovi progetti. Ci aspetta ancora un anno di indagini in Francia e in Belgio, più di 100mila foto da editare, poi finalmente pubblicheremo il nostro libro "Partito" e ripartiremo con un tour per promuoverlo. Infine, e meritatamente, torneremo per una breve pausa nella nostra mansarda ad Alba Iulia. Questo è il progetto per il futuro.

Elena e Cosmin © Ciprian Hord

Elena e Cosmin © Ciprian Hord

Elena e Cosmin hanno finora realizzato due film documentari:  “Rezidentele” (Le Residente)  sul primo centro della Romania per le detenute con problemi di salute mentale e “Ultimul caldărăr”( L’ultimo caldărăr) che racconta la storia di una giovane famiglia rom in viaggio per la Francia per recuperare rottami metallici nelle discariche. Il film ha vinto, tra gli altri, il Premio Speciale al Millenium International Documentary Film Festival Bruxelles 2017, il Picture Award al Docuart Film Festival 2016 ed è stato selezionato, al Making Waves New York 2017 e al Let's CEE Film Festival di Vienna 2018.Hanno pubblicato il libro “Acasa pe drum“ (A casa sulla strada) e le loro storie sono disponibili sul sito https://teleleu.eu/


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