Karamanlis e la Bakoyannis a Bucarest

Soddisfazione in Grecia per il mancato invito alla Macedonia ad entrare nella Nato "fino ad una soluzione della questione del nome". E se un boicottaggio dei prodotti greci da parte di Skopje sembra improbabile, ad Atene si temono le ritorsioni dell'uscente amministrazione americana

14/04/2008 -  Gilda Lyghounis

Una vittoria di Pirro? A Skopje bollano così il veto greco che ha chiuso loro, per ora, le porte della Nato. "La nostra è stata una delusione, ma il vostro non è stato certo un trionfo" ha scritto in una lettera aperta al quotidiano ateniese Eleftherotypia il direttore del principale giornale (Neo?Nord?)-macedone Spic, Branko Geroski. "Soprattutto il vostro governo ha umiliato le voci moderate che da noi stavano riuscendo, nelle ultime settimane, a orientare l'opinione pubblica verso un compromesso sul nome da dare al nostro Stato".

Il governo di Atene, invece, è soddisfatto del risultato portato a casa dal vertice di Bucarest settimana scorsa. "Le regole vanno rispettate, ma la Grecia non vuole umiliare i suoi vicini", ha subito chiarito il premier ellenico Kostantin Karamanlis alla fine del summit dell'Alleanza Atlantica. "Siamo pronti a riprendere il dialogo anche domani mattina, per raggiungere una denominazione condivisa", ha aggiunto ieri la ministra degli Esteri Dora Bakojannis durante un convegno dell'Economist ad Atene.

Gli analisti greci hanno tirato le somme e segnato i punti a favore della decisione di giocare la carta veto. Primo: con il suggello dell'Alleanza Atlantica, il mondo ha dovuto prendere atto che la querelle sul nome "Macedonia", non è uno strano rebus balcanico che riguarda solo i rapporti bilaterali fra due Stati. Anche se 120 Paesi hanno riconosciuto l'ex repubblica socialista yugoslava come "Repubblica di Macedonia" tout court, il tema è tutt'altro che chiuso. Un nome accettato da entrambi, e usato in ogni salotto della politica internazionale, dovrà essere trovato: e a questo punto sarà Skopje a doversi smuovere dalla sua posizione intransigente ("il nostro nome? Da fastidio solo ai greci? Al resto del mondo no").

Certo, la Neo-Macedonia (soluzione caldeggiata dagli americani) o Macedonia-Skopje minaccia il boicottaggio ai prodotti greci, spinta dallo choc dell'esclusione e da un soprassalto di nazionalismo, specie nell'imminenza delle elezioni anticipate. E Atene sa di dovere affrontare i prossimi sei mesi con i piedi di piombo, quando Skopje trascinerà la vexata questio davanti all'Onu con il probabile appoggio degli Stati Uniti, per poi affrontare le forche caudine di un nuovo summit Nato e infine, in autunno, l'esame per l'ingresso nell'Unione europea, con la spada di Damocle di un nuovo veto ellenico anche per l'euroclub.

"Ora il nostro governo deve guardarsi dal pericolo più insidioso: la vendetta dell' 'anatra zoppa' come viene soprannominato a Washington ogni presidente uscente", avverte l'autorevole edizione domenicale del quotidiano ateniese Vima, "vendetta che potrebbe colpire altri punti dolenti della nostra politica estera, come i rapporti con la Turchia e Cipro ancora divisa".

Tuttavia a Bucarest ha giocato a favore della Grecia la concomitanza dei veti tedesco e francese all'ingresso nella Nato di Georgia ed Ucraina, paesi su cui il presidente Usa George W.Bush tiene molto per rafforzare l'influenza americana nei Balcani e nel Caucaso a tutto danno della Russia, per potere così uscire di scena a novembre, alla fine del suo mandato politico, con questo risultato geopolitico in tasca, visti gli insuccessi della sua leadership in Iraq e in Medio Oriente.

Quanto alla minaccia di boicottaggio economico da parte di Skopje, i greci ricordano bene cosa è successo, ad esempio, a Belgrado, quando gli Stati Uniti bombardavano la Serbia. All'inizio "simboli" del nemico come MacDonald's sono stati presi a sassate, ma il giorno dopo, quando è apparso sul principale fast food della capitale balcanica il cartello: "Qui lavorano venti cittadini serbi, fermatevi!", l'assalto non si è più ripetuto.

Tornando a Skopje, in un paese che vanta un record negativo di 37 disoccupati su cento, ci si può permettere di mandare a monte un miliardo di euro di investimenti greci e 15 anni di buone relazioni economiche?

Basta fare qualche conto: sulle 17 principali aziende straniere a Skopje, sette hanno bandiera ellenica. Le aziende greche di stanza nel paese danno lavoro a 20mila persone sul totale di 580mila occupati. Gli investimenti greci sono così suddivisi: 25% in campo petrolifero (la Okta Skopje è stata acquistata dalla Ellinika Petrelea), 17% in quello delle comunicazioni (la Cosmophon "macedone" con i suoi 500mila abbonati è una costola della Cosmote greca), 28% nel settore bancario, 10% in quello alimentare (ad esempio la catena di supermarket "Veropulos" con 400 impiegati) e 13% nell'industria (produzione di cemento, oltre a una cava di marmi nella cittadina di Prilep).

E' proprio il settore bancario quello di punta nello shopping ellenico oltreconfine. Nel 2000 la Banca nazionale greca ha acquistato la "Stopanska Banka" serba che oggi, con le sue 25 filiali locali, è ritenuto il più grande istituto di credito a Skopje e dintorni. Sempre nel 2000 l'ateniese Alpha Bank ha acquistato la Alpha Bank-Skopje, quarta per dimensioni con le sue 16 filiali. Se la "Stopanska" e la "Alpha Bank" macedoni fossero boicottate dai cittadini, un terzo degli scambi commerciali nazionali ne risulterebbe bloccato.

Karamanlis lo sa. Come è consapevole di essersi rafforzato sul fronte politico interno, capitalizzando il plauso degli elettori del partito nazionalista greco Laos, prezioso in caso di voto anticipato (anche ad Atene la maggioranza conservatrice al governo si regge solo su una manciata di deputati).

Sulla delicata situazione, però, aleggia l'avvertimento di Washington: "La questione del nome dovrà essere risolta non in mesi, ma in settimane o addirittura giorni", ha sottolineato ieri Condoleeza Rice. Anche lei è un'anatra zoppa. Anche lei ha fretta di arrivare a novembre con un accordo fatto nei Balcani, a firma americana.


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