Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan © Gevorg Ghazaryan/Shutterstock

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan © Gevorg Ghazaryan/Shutterstock

Il 17 settembre si terranno le amministrative a Yerevan, una sfida importante perché nella capitale vi abita un terzo della popolazione dell’Armenia, e poi perché sarà un test per il governo Pashinyan, in un momento in cui il dibattito politico armeno è dominato dalla questione del Karabakh

29/08/2023 -  Onnik James Krikorian

La scorsa settimana, senza grande clamore, è iniziata la campagna elettorale per le elezioni amministrative a Yerevan, fissate per il prossimo mese di settembre. Nonostante un avvio infelice, la tornata elettorale potrebbe però rivelarsi movimentata, anche se le problematiche locali, come il trasporto pubblico e la raccolta dei rifiuti, sicuramente resteranno in secondo piano rispetto a problemi più grossi con cui il paese si trova a dover fare i conti – nello specifico, la questione del Karabakh e il destino del primo ministro Nikol Pashinyan.

Considerando che le elezioni politiche dovrebbero tenersi solo nel 2026, alcuni oppositori del premier vedono nelle elezioni per il rinnovo dell’amministrazione comunale di Yerevan un’occasione per cavalcare l’onda del crescente malcontento nei confronti del governo di Pashinyan. Tra gli obiettivi di chi si oppone all’attuale premier è anche quello di impedire il raggiungimento di un accordo di pace tra Armenia e Azerbaijan in un momento in cui i negoziati sono giunti ad un punto critico, che però potrebbe portare anche ad una svolta.

La questione del controllo della capitale Yerevan – dove vive almeno il 35 per cento della popolazione dell’Armenia – ha sempre tenuto sulle spine i governi armeni susseguitisi negli anni. Se fino al 2009 la città era stata governata da sindaci nominati senza elezioni, con le modifiche costituzionali approvate nel 2005 – come parte degli impegni assunti nei confronti del Consiglio d’Europa in quello stesso anno – il sistema elettorale è completamente cambiato.

Anche queste modifiche si sono però rivelate controverse. Invece di eleggere direttamente il sindaco, negli ultimi decenni gli abitanti di Yerevan venivano chiamati alle urne per eleggere il consiglio comunale composto da 65 membri, che poi nominavano il sindaco, cercando così di evitare che le elezioni si trasformassero in una lotta per il potere politico ed economico. Le cose però sono cambiate dopo il devastante conflitto tra Armenia e Azerbaijan sull’ex regione autonoma del Nagorno Karabakh (NKAO).

Nel dicembre del 2021 il consiglio comunale di Yerevan ha rimosso il sindaco Hayk Marutyan, un ex alleato di Pashinyan, eletto nel bel mezzo dell’euforia della rivoluzione [di velluto del 2018], il quale però aveva rotto i rapporti col premier all’indomani dalla sconfitta dell’Armenia nella guerra contro l’Azerbaijan. Temendo un eventuale ritorno di Marutyan sulla scena politica, l’anno scorso le autorità hanno avviato un’indagine contro di lui per presunta corruzione.

I critici di Pashinyan sostengono che sotto il suo governo simili tentativi di controllare l’amministrazione locale siano diventati una prassi abituale .

In questo contesto, l’annuncio di Marutyan di volersi candidare nuovamente alla carica di sindaco, questa volta però tra le fila dell’opposizione, ha aggiunto una nuova dimensione alle imminenti elezioni amministrative, aprendo la strada a quella che potrebbe rivelarsi una resa dei conti di cruciale importanza. Tra le forze dell’opposizione (tredici partiti e una coalizione) che alle elezioni di settembre sfideranno il candidato proposto da Pashinyan, l’attuale vice sindaco Tigran Avinyan – c’è anche un altro ex alleato del premier, Mane Tandilyan.

Marutyan ha già accusato Pashinyan di aver tradito la rivoluzione del 2018 sulla scia della quale era salito al potere. Aprelu Yerkir – partito fondato da Tandilyan e sponsorizzato da Ruben Vardanyan, l’ex de facto ministro di Stato del Karabakh – sembra invece puntare più in alto. Il controverso politico, di origini russo-armene, ha fatto appello affinché le elezioni amministrative vengano sfruttate per rimuovere dal potere “i traditori” e impedire la firma di un accordo di pace con l’Azerbaijan.

L’opposizione parlamentare legata ai due ex presidenti dell’Armenia, Robert Kocharyan e Serg Sargsyan, ha invece deciso di boicottare l’imminente tornata elettorale a Yerevan. Alle elezioni parteciperà solo un deputato dell’opposizione, Andranik Tevanyan che, pur non appartenendo ad alcun partito, è vicino al gruppo Hayastan, guidato da Kocharyan. Anche Tevanyan ha affermato che il suo obiettivo è rovesciare Pashinyan e porre fine alla sua controversa politica sul Karabakh.

Tevanyan si è dimesso da parlamentare per potersi candidare alle elezioni comunali, e Kocharyan ha già annunciato il suo sostegno. Nel frattempo, un altro partito legato ai precedenti regimi, Armenia prospera, ha deciso di boicottare il voto perché, come sostengono i suoi rappresentanti, in un momento in cui il dibattito politico armeno è quasi completamente dominato dalla questione del Karabakh, risulta impossibile condurre una campagna elettorale incentrata sulle problematiche locali.

Resta da vedere quanto questa resa dei conti influenzerà gli elettori.

Ad esempio, in un recente sondaggio , solo il 9,3% degli intervistati ha affermato di voler votare Avinyan e appena il 3,6% si è detto pronto a dare i proprio voto a Marutyan. Dal sondaggio è emerso che altri partiti e candidati dell’opposizione godono di un sostegno ancora minore. Inoltre, il 19% degli intervistati non ha alcuna intenzione di recarsi alle urne, mentre il 55% non crede che le elezioni saranno eque e libere.

Alcuni hanno infatti già accusato Avinyan di aver abusato delle risorse pubbliche . C’è poi chi ritiene che il movimento Civic Contract possa conquistare oltre il 50% dei voti, suscitando grande sorpresa. Nel frattempo, la popolarità di Pashinyan è in caduta libera. Ad ogni modo, il 33,6% degli intervistati è ancora indeciso su chi votare, quindi la campagna elettorale, iniziata lo scorso 23 agosto, sarà fondamentale per tutti i candidati per mobilitare e influenzare gli elettori.

Non vi è però dubbio che molti percepiranno le elezioni del prossimo 17 settembre esclusivamente nel contesto del conflitto del Karabakh, soprattutto se l’opposizione dovesse rendere questa questione parte integrante della propria campagna elettorale.

Se vincesse il candidato proposto da Pashinyan sarebbe una tacita approvazione della soluzione del conflitto con l’Azerbaijan che si protrae da ormai tre decenni. Lo stesso vale in caso di un’eventuale bassa affluenza. Se invece Avinyan dovesse perdere – oppure uscire vincitore da una tornata elettorale truccata – sarebbe il segnale di un diffuso dissenso verso la politica di Pashinyan.

In molti avevano interpretato la rielezione di Pashinyan nel 2021 come espressione del continuo sostegno alla sua politica. Tuttavia, Pashinyan non ha mantenuto la sua promessa elettorale – quella di battersi per un’indipendenza del Karabakh inspirata al modello di secessione riparatoria – e ora è favorevole al riconoscimento della regione separatista, abitata principalmente da armeni, come parte integrante dell’Azerbaijan, pur sostenendo la necessità di garantire i diritti e la sicurezza della popolazione armena.

Staremo a vedere cosa ne pensano gli elettori.

Al momento nella capitale non c’è traccia di alcuna grande contestazione popolare, nonostante il perdurare del blocco del corridoio di Lachin che collega l’Armenia al Karabakh. Se però dovessero scoppiare proteste, il futuro politico di Pashinyan sarebbe messo in discussione in vista delle elezioni politiche previste per il 2026. Date queste premesse, le imminenti elezioni a Yerevan potrebbero rivelarsi un vero banco di prova per la democrazia armena.


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