Graffiti a Igoumenitsa - foto Paolo Martino

Un viaggio di vite quotidiane nella migrazione in Italia. Albanese e non solo. Una recensione pubblicata in collaborazione con Albania News

08/09/2011 -  Franco Tagliarini*

«Si presentano di solito in due o tre e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro».
 

Dalla «Relazione dell’Ispettorato per l’immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, dell’0ttobre del 1912».

Questo è l’incipit del libro di Darien Levani , giovane scrittore albanese, “Solo andata, grazie”, pubblicato nel 2010 da Alba Media. L’autore  racconta un viaggio di vita quotidiana nel mondo della migrazione, tanto che tutti gli episodi sono resoconti di fatti realmente accaduti. Perché a volte, come sapranno bene i nostri lettori, la realtà supera la fantasia, e pure di molto. Un viaggio ora dolente, ora divertente, ora moderatamente crudele ma pur sempre vero.

Albanesi, rumeni, magrebini, serbi, marocchini, africani, curdi sono i protagonisti di un tema caldo, quello della grande immigrazione in Italia degli ultimi decenni. L’Italia, meta agognata di tanti giovani e meno giovani, ma certamente coraggiosi, come lo sono stati nel secolo scorso milioni di italiani che dai paesi del Sud affrontarono viaggi e privazioni per una vita migliore oltreoceano.

Forse gli italiani avrebbero dovuto, proprio nel ricordo dell’esperienza dei nostri padri, accogliere con ancora più grande umanità questi immigrati e favorire la loro integrazione nella nostra nazione. Molto si è fatto, ma forse si poteva fare di più.

Solo andata, grazie

Darien Levani

Alba Media 2010

Levani procede per quadri di vita quotidiana. Il primo, struggente episodio è il resoconto di un incidente in un cantiere di lavoro accaduto ad una ragazzo afgano o curdo, che solo l’intervento di un suo amico turco riesce a salvare portandolo in ospedale tra l’indifferenza del capo cantiere. Una tragedia purtroppo frequente sui luoghi di lavoro e che accade nella nostra pacata indifferenza. Le vittime, per lo più, sono operai stranieri: romeni, albanesi e moldavi.

Quindi, nelle pagine successive, la descrizione della prima esperienza di ogni immigrato: la ricerca di una casa da dove poter iniziare una nuova vita in un paese straniero. La malafede e l’ingordigia degli intermediari, che illudono a parole gli extracomunitari, la diffidenza di molti italiani, determinata anche dal risalto che danno i giornali e i media televisivi a fatti di cronaca che hanno per protagonisti alcune frange di albanesi.

Seguono alcuni paragrafi: “Extra e supermercato”, “Extra camerieri”, “Extra e stazione”, “Extra e voto”, “Extra e storia”: racconti di stile giornalistico di episodi della vita difficile di un immigrato.

Il libro racconta poi fatti della vita quotidiana: l’impatto con la burocrazia, il rinnovo del permesso di soggiorno, i problemi delle priorità da affrontare, gli esami universitari da superare, le frustrazioni e la Caritas, dove “tutti in fila, ciascuno con la propria tristezza e con il peso delle scelte sbagliate. Sono italiani o rumeni, tunisini ma siamo tutti nello stesso tavolo. Stiamo insieme in questo triste tavolo. Puttane, mariti, badanti, disperati, muratori distrutti, vecchi fasci, barboni liberi che adesso dormono a turno per non prendere fuoco da ragazzi di buona famiglia che hanno perso il senso della vita”.

Segue il racconto di una offerta di lavoro all’autore, dopo aver conseguito la laurea in economia, come vicedirettore o consulente in un hotel di lusso a Rimini. Ma il giovane – al quale non viene neanche richiesto il CV che aveva con sé – si rende conto che si tratta di una organizzazione mafiosa straniera, che compra l’albergo e lo fa a nome di una società con sede a San Marino o a Lussemburgo, che ha come scopo  (ovviamente falso) la beneficenza. La stessa società sarà poi venduta a un’altra creata in Russia o in Albania.

Mentre gli interlocutori bevono vodka, il protagonista di questa vicenda ha un pensiero che lo ferma: “ E, come ultima cosa, penso agli occhi di mio padre. E’ lui che decide. Penso agli occhi di mio padre quando gli dirò che ho trovato un lavoro. Ma quando gli spiegherò di che si tratta i suoi occhi diventano cupi e non sorriderà più. Una mano invisibile gli toglierà l’allegria e invecchierà di diversi anni. Mi scruterà indifferente, guarderà il mio corpo come se potesse trovare la ragione del mio cambiamento”. In questa frase si sente profondo il rispetto dell’albanese verso i propri genitori e il forte senso della famiglia e dell’onestà. Il giovane rifiuta e torna al suo onesto lavoro di pizzaiolo.
E’ evidente in questo episodio il profondo rigore morale del padre e il tentativo di tenere assieme le due anime : quella dell’educazione familiare che risulta inadatta ad affrontare al meglio un mondo cambiato. Perché c’è tanta Italia, ma c’è anche tanta Albania in questo libro. Un'Albania fragile, lasciata ma amata al di là di ogni cosa, come un bagaglio che tutti i migranti si portano dietro ovunque vadano e qualsiasi cosa facciano.

Il libro di Levani fa pensare. E’ il racconto di una esperienza di vita vissuta che fa riflettere sul problema dell’accoglienza di persone che aspirano ad una vita migliore e che, nella maggior parte di loro, hanno il desiderio di integrarsi nella società italiana.

“Solo andata, grazie”: il titolo del libro esprime già la volontà dei migranti di fare dell’Italia la propria seconda patria e di voler lasciare alle spalle un vita difficile e di sacrifici. Ma per quello che racconta, per i suoi personaggi, per le storie di studenti, prostitute, operai, sembra un'apologia del mondo dei vinti. 

 

Franco Tagliarini è direttore responsabile ANews. Dopo aver compiuto gli studi nel Liceo Classico M. Massimo di Roma, si è laureato in Scienze economiche all’Università degli Studi di Roma nel 1965. Giornalista dal 1973, ha collaborato e collabora con numerosi quotidiani e riviste italiani con articoli e recensioni di libri. Collabora anche con il quotidiano in lingua italiana“America Oggi”, pubblicato a New York e diffuso in tutti gli Stati Uniti. Dal 1974 è presidente de “Il Veltro Editrice Società Cooperativa” e redattore de “Il Veltro – Rivista della Civiltà Italiana”, fondata nel 1957.


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