Da tutto il mondo a Trento, per intrecciare una rete internazionale di donne che rafforzi il loro ruolo nell'ambito dei partenariati internazionali. Tra di esse, esponenti della società civile del sud-est Europa

29/05/2008 -  Nicole Corritore

Nella cornice del Festival dell'Economia a Trento, ha luogo il primo incontro della Rete Internazionale delle Donne per la Solidarietà. Tre giorni di laboratori di approfondimento sul ruolo delle donne nei progetti di sviluppo e le potenzialità dei partenariati internazionali. Giorni per donne provenienti da molti paesi del mondo - quindi anche dal sud-est Europa - per scambiarsi saperi, conoscenze, esperienze e fare rete attraverso una piattaforma on-line in via di costruzione.

La Rete è un'iniziativa avviata dall'assessorato all'Emigrazione, Solidarietà internazionale, Sport, e pari opportunità della Provincia di Trento. Gode del sostegno e della garanzia di numerose personalità pubbliche, in primo luogo di grandi donne che con la loro testimonianza e il loro impegno, hanno fornito un importante contributo al miglioramento delle condizioni di vita di migliaia di donne in tutto il mondo e alla concreta attuazione del principio delle pari opportunità.

L'obiettivo della rete è valorizzare le risorse dei gruppi di donne in questi paesi, attraverso il sostegno dei loro progetti. Perché è sempre più evidente che le donne, soprattutto nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, sono nel contempo prime vittime delle situazioni quali ad esempio conflitti armati, e miglior volano di rinascita del proprio paese. Difatti le migliaia di gruppi spontanei di donne nati in ogni angolo del mondo hanno dimostrato che, laddove le donne si mettono assieme, sono in grado di avviare nella comunità alle quali appartengono importanti processi di cambiamento sociale e politico ed economico.

Uno di questi esempi è Radmila Zarkovic, relatrice di uno dei seminari in programma. Radmila, nata a Mostar, è scappata dal conflitto scoppiato in Bosnia Erzegovina per poi tornare a viverci alla fine degli anni novanta.

Dopo anni di lotta contro la guerra nelle fila dell'Associazione Donne in Nero e di attivismo a sostegno di profughe o sfollate, al rientro in Bosnia Erzegovina decide assieme ad altre donne di avviare la Cooperativa agricola "Insieme-Zajedno" in una delle aree più delicate del paese, l'area di Srebrenica. Nata per sostenere i ritorni di profughi e sfollati, è oggi un'importante azienda di produzione di frutti di bosco, i cosiddetti "lamponi di pace" simbolo della cooperativa, distribuiti sul mercato interno ed internazionale. Un progetto di riconciliazione al femminile che, attraverso il coinvolgimento di una rete di partner italiani e bosniaci, ha dato vita ad una solida realtà economica nella Bosnia orientale.

"Il progetto denominato 'Pari opportunità, una questione di cooperazione comunitaria' è stato avviato dal Tavolo trentino per Kraljevo nel dicembre 2007, all'interno del programma di cooperazione comunitaria pluriennale con questa città della Serbia. Ecco perché abbiamo invitato qui oggi due rappresentanti dell'associazione serba "Fenomena", un gruppo locale informale di donne che da anni si batte per il miglioramento della qualità della vita delle donne del proprio territorio e che è uno dei nostri riferimenti principale nelle attività di cooperazione tra Trentino e Kraljevo", racconta Paola Filippi - coordinatrice del Tavolo trentino con Kraljevo.

Che le donne rappresentino un grande potenziale di sviluppo delle comunità e di cambiamento delle società a cui appartengono, emerge dalle parole di chi in questi processi "dal basso" è parte attiva. Voci che allo stesso tempo denunciano le grandi difficoltà, anche culturali, affinché le donne vedano concretizzarsi in tutti gli strati delle società a cui appartengono i principi delle pari opportunità. A questo proposito Paola Filippi aggiunge: "Il programma sulle questioni di genere in corso a Kraljevo rappresenta una delle tante sfaccettature del programma di cooperazione trentina con quel territorio. Operiamo anche nell'ambito dello sviluppo locale, del turismo sostenibile, delle politiche giovanili. Ma riteniamo sia importante realizzare campagne contro la violenza domestica e concrete azioni per sostenere le donne che la subiscono, oppure lavorare sulla prevenzione delle neoplasie alla mammella e al collo dell'utero se queste sono problematiche sottolineate dalla locale società civile. Eppure ho notato che tra i membri trentini del Tavolo l'interesse a farsi coinvolgere è maggiore in interventi prettamente economici piuttosto che in questi ultimi, forse senza comprendere che sono tematiche strettamente connesse".

E' attraverso le parole di Danijela Nikolic dell'associazione "Fenomena", che si delinea questa stretta relazione: "La qualità della vita per le donne di Kraljevo è direi disastrosa. Oltre ai problemi di sussistenza economica che colpiscono maggiormente le donne e dunque anche la comunità intera, persiste una cultura fortemente patriarcale e la violenza che subiscono tra le mura di casa rappresenta ancora un nodo irrisolto di pesante portata". Violenza che viene usata non solo, come si potrebbe essere spinti a pensare, negli strati sociali a minor livello di istruzione o condizione economica, oppure nei centri abitati più periferici: "La cultura della violenza non conosce confini, sociali e geografici. Ne abbiamo avuto conferma nelle denunce che abbiamo ricevuto in un anno di lavoro del servizio di aiuto alle donne maltrattate, 'SOS Telefon' ". Confini d'altronde che non esistono neppure in Italia, dove è noto che la percentuale più elevata di violenze subite dalle donne avvengono fra le mura di casa.

Dalle parole di Paola e Danijela si coglie che la questione non sta solo nel riconoscimento dei diritti delle donne ma anche nella necessità di promuovere iniziative che portino a un duraturo cambiamento culturale della società. Per arrivare quindi ad aprire concretamente e stabilmente le porte del mondo economico, sociale e politico alle donne.

Dunque, non solo "questione di donne" ma anche di sistema. Emerge anche dalle parole dell'epidemiologa della sede di Kraljevo dell'Istituto di Salute Pubblica - Verica Djukic, coinvolta nel programma di cooperazione serbo-trentino nell'ambito della prevenzione dei tumori femminili, e che di recente è stata in Trentino per una settimana di incontri. "La società civile deve essere motore di nuove idee, può avviare dei cambiamenti importanti, richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica su nuovi bisogni e tematiche specifiche, ma poi devono essere le istituzioni, gli enti preposti ad intervenire e risolvere le problematiche emerse, sono loro che devono prendersi la responsabilità di rispondere alle richieste di cittadine e cittadini".

Porta ad esempio, a proposito del suo ambito di lavoro, ciò che emerge dai dati raccolti tra il 1999 e il 2002 nel distretto di Rasko, di cui fa parte la città di Kraljevo, sull'incidenza e sulla mortalità per cancro. Nella popolazione femminile che si ammala di malattie neoplasiche, risulta che dopo il carcinoma mammario la seconda causa di morte è il cancro al collo dell'utero: "Un assurdo se si considera che questo tipo di tumore, se diagnosticato in fase iniziale, è guaribile nella quasi totalità dei casi. Noi lavoriamo localmente in campagne di sensibilizzazione sull'importanza della regolarità dei controlli medici, ma se poi non c'è dietro un sistema finanziario e organizzativo a sostegno di questi screening è una lotta tra Davide e Golia". La legge che attende di essere varata in Serbia sullo screening gratuito della mammella, dell'utero e del colon retto - nel paese le tre principali cause di mortalità tra le donne che contraggono una malattia tumorale - rappresenta un importante strumento di riconoscimento del diritto delle donne alla salute e dunque alla vita, già di per sé non facile.

Quali siano i percorsi più efficaci per soluzioni durature e radicate nelle nostre comunità, non possono che essere in primis le donne a proporli. Qui a Trento, dal 28 al 31 maggio, giorno in cui l'iniziativa della Rete si presenta al pubblico con la conferenza dal titolo "Presentazione della Rete Internazionale delle Donne per la Solidarietà. Partnership globale per lo sviluppo. Il ruolo delle donne". Ma anche oltre, quotidianamente, in una discussione che non solo deve riuscire a superare i confini dei paesi e delle comunità a cui queste donne appartengono ma anche il confine tra "generi", stringendo dunque un patto di collaborazione basato sul reciproco rispetto e nel riconoscimento delle differenze e dei diritti di ciascuna/o.

Un lavoro culturale in rete che nel sud est Europa è in corso da anni grazie al lavoro della piattaforma 'OneWorld Southeast Europe' con sede principale a Sarajevo. Un portale d'informazione sul mondo del terzo settore nel sud est Europa e che rappresenta uno degli anelli della rete mondiale di Oneworld. La coordinatrice, Valentina Pellizzer, italiana di origine e bosniaca di "adozione", partecipa al seminario dedicato appunto al tema del lavoro in rete e dunque alla metodologia, agli strumenti e alle strategie da adottare.

Presenti anche due donne del Kosovo, attiviste dell'associazione "Women Wellness Center" della città di Pec/Peja, città con il quale il Trentino ha forti legami di cooperazione fin dagli inizi degli anni 2000. L'associazione di Pec/Peja sta rafforzando il legame di partenariato con il "Centro antiviolenza di Trento" per sviluppare attività di scambio su questo tema, che rappresenta un aspetto non marginale della cultura patriarcale in Kosovo.

Partecipa inoltre Marija Savovska, un'esponente macedone conosciuta nei Balcani per le sue battaglie assieme all'associazione "Akcija Zdruzhenska" di cui è presidente. Una rete di donne con sede a Skopje, che è parte attiva nella realizzazione del 'Programma Internazionale per le donne' promosso dall'Open Society Institute. Il lavoro dell'associazione della Savovska si basa su una lunga esperienza nell'ambito della promozione dei movimenti di donne.

Altre donne della regione sud-est europea sono state invitate a partecipare agli eventi di Trento e avrebbero voluto - e dovuto - esserci. Purtroppo il regime dei visti che il nostro paese impone ai cittadini dell'Europa a noi vicina rimane ancora un grande ostacolo. L'auspicio è che la Rete Internazionale delle Donne per la Solidarietà, che ha al suo interno parlamentari europee, deputate e senatrici del parlamento italiano, assessore e amministratrici pubbliche, si faccia portavoce anche di questo aspetto della "limitazione dei diritti" di donne e uomini, e che riesca ad incidere significativamente sulle future politiche di collaborazione nazionale con tutti i paesi dell'area.


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