Padriciano, Centro Raccolta Profughi (2006)

"Un percorso tra le violenze del Novecento nella provincia di Trieste" è una guida per conoscere le tragedie che hanno segnato la storia della Venezia Giulia nel secolo scorso. L'introduzione

10/06/2008 -  Anonymous User

Gli storici sono ormai concordi nel giudicare la Venezia Giulia come un «laboratorio» della contemporaneità nell'Europa centrale, vale a dire come un territorio di limitate dimensioni sul quale si sono concentrati in maniera - sfortunatamente - esemplare alcuni dei fenomeni più significativi e devastanti dell'età contemporanea.

Ricordiamone solamente alcuni: i contrasti nazionali intrecciati a conflitti sociali; le guerre di massa; gli effetti imprevisti della dissoluzione degli imperi plurinazionali; l'affermarsi di regimi antidemocratici impegnati ad imporre le loro pretese totalitarie su di una società locale profondamente divisa; lo scatenamento delle persecuzioni razziali e la creazione dell'«universo concentrazionario» nazista; i trasferimenti forzati di popolazione capaci di modificare irreversibilmente la configurazione nazionale di un territorio; le persecuzioni religiose in nome dell'ateismo di stato; la conflittualità est-ovest lungo una delle frontiere della guerra fredda. Una sintesi, potremmo dire, delle grandi tragedie del secolo scorso, concentrata su questo fazzoletto di terra.

Vicende del genere hanno naturalmente generato memorie dolenti, risentite e spesso contrastanti; memorie che talvolta hanno trovato scarso riconoscimento da parte della cultura storica e delle istituzioni italiane, e che anche per questo hanno a lungo rappresentato più che una ricchezza, una piaga difficile da rimarginare.

Di fronte al peso del passato, gli autori di questa pubblicazione non intendono certo puntare, con la loro opera, alla costruzione di una sorta di «memoria condivisa», anche perché convinti che le memorie, momento tipico di soggettività e mattone essenziale della ricostruzione storica, non vanno manipolate. Al contrario, riteniamo che al fondo della vita civile e della crescita democratica di una comunità stiano proprio il riconoscimento e il rispetto delle diverse memorie.

In questo senso, il percorso che abbiamo disegnato si propone di superare alcune delle semplificazioni più deleterie attraverso le quali propaganda politica e banalizzazione mediatica hanno cercato sovente di presentare le vicende del confine orientale italiano, come ad esempio la contrapposizione tra Risiera e Foibe. La realtà storica è ben più articolata, ma non per questo impossibile da rappresentare.

Abbiamo scelto quindi alcuni luoghi - edifici, vie e piazze della città di Trieste, località della Provincia - che si prestano a simboleggiare le logiche di violenza legate ai contrasti politici, nazionali e razziali, che hanno travolto la società giuliana del Novecento. Certamente, la violenza non è stata patrimonio esclusivo della storia novecentesca.

Episodi di violenza politica non sono mancati a Trieste nei decenni precedenti: gli incidenti del luglio 1868, originati da una manifestazione partita dai Portici di Chiozza, quando il contrasto tra il Comune e il vescovo per il controllo dell'istruzione elementare assunse tinte di conflitto nazionale e gli scontri fra la milizia territoriale - espressione dei contadini sloveni dei dintorni - e i manifestanti provocarono (nella notte del 13) due morti fra questi ultimi; l'attività dei «petardieri», cioè dei giovani nazionalisti italiani che, tra il 1868 e il 1892, fecero esplodere alcuni ordigni nelle vicinanze di uffici statali o presso il domicilio di funzionari asburgici; la bomba «alla Orsini» lanciata il 2 agosto 1882 - forse da Guglielmo Oberdan - su un corteo di veterani dell'esercito austroungarico, che causò la morte di un ragazzo e alcuni feriti; l'impiccagione, il 20 dicembre di quello stesso anno, del medesimo Guglielmo Oberdan, reo confesso di aver preparato un attentato contro l'imperatore Francesco Giuseppe (in piazza Oberdan, nel Sacrario a lui dedicato, sono conservate la cella e l'anticella in cui venne recluso prima dell'esecuzione); l'eccidio del 14-15 febbraio 1902, quando in piazza Grande (oggi piazza dell'Unità d'Italia) la truppa disperse con le armi un corteo di fuochisti del Lloyd Austriaco provocando 14 morti tra gli scioperanti.

Si trattava appunto, però, di episodi, che proprio per questo fecero scalpore in una città abituata al rigido legalismo austriaco, che impediva il deragliamento dei conflitti, aspri solo a parole. Con la Grande guerra invece, tutto cambiò. La carica di antagonismo che si era accumulata nei decenni precedenti, esasperata dall'esaltazione della forza compiuta da buona parte della cultura tardo ottocentesca, esplose in maniera devastante e la violenza divenne elemento corrente, ed essenziale, della lotta politica, in un crescendo che trovò il suo culmine nel secondo conflitto mondiale e nel seguente dopoguerra, quando le logiche della guerra di sterminio e della violenza rivoluzionaria di massa travolsero la società civile.

Venne così meno la tradizione di convivenza e di integrazione che aveva caratterizzato Trieste nel Settecento e per buona parte dell'Ottocento, prima dell'affermarsi delle identità nazionali e della politica di massa, ma che affondava le sue radici in un costume di tolleranza avviatosi già nel corso del Cinquecento, quando la città aveva saputo evitare le drammatiche lacerazioni dovute ai conflitti religiosi dell'epoca.

Muovendo dunque da queste considerazioni, abbiamo costruito un itinerario fra i luoghi-simbolo della violenza novecentesca in quella parte del «laboratorio giuliano» che coincide con il territorio dell'attuale provincia di Trieste.

Come fenomeni periodizzanti abbiamo scelto lo scoppio della Prima guerra mondiale e l'esodo dei giuliano-dalmati, perché è all'interno di quest'arco temporale che i meccanismi generatori della violenza politica espressero il massimo della loro efficacia. Episodi traumatici per la società giuliana non mancarono nemmeno dopo, basti pensare che alla fine degli anni Cinquanta più di ventimila persone, fra triestini ed esuli istriani, s'imbarcarono per l'Australia, disperando di poter trovare in patria un futuro dignitoso; ma dietro tale flusso migratorio è più difficile scorgere logiche di violenza politica.

Le pagine che leggerete non costituiscono perciò - vorremmo fosse ben chiaro - un elenco esaustivo degli episodi di intolleranza nazionale e politica del Novecento, né un albo delle vittime di quelle ripetute stagioni di morte. Quello che proponiamo ai lettori e ai visitatori è semplicemente un possibile percorso, fra i molti che si possono disegnare, che agevoli chi viene a Trieste, ed anche quanti ci vivono, nell'accostarsi in maniera rigorosa e rispettosa alla storia giuliana del secolo scorso.

Il percorso è articolato in undici schede, ciascuna delle quali comprende una sintetica descrizione del sito e di quel che vi è accaduto, scritta in modo da contestualizzare i fatti nel processo storico che li ha generati. Ogni scheda è accompagnata da immagini e da una cartina di riferimento, nonché dalle indicazioni indispensabili per raggiungere il sito medesimo. Una mappa della città di Trieste ed una della provincia consentono una visione d'insieme dei luoghi descritti. Una bibliografia minima offre spunti per ulteriori approfondimenti.

Infine, abbiamo ritenuto utile inserire anche alcune carte storiche riguardanti l'evoluzione del confine orientale d'Italia nel corso del Novecento, ben sapendo come altrimenti sia assai difficile orientarsi fra gli avvenimenti giuliani.


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