Uno dei manifesti della recente campagna referendaria slovena per la bocciatura della nuova Legge sull'acqua

Uno dei manifesti della recente campagna referendaria slovena per la bocciatura della nuova Legge sull'acqua

Sono molti i fronti aperti su cui il governo Janša sembra in difficoltà. E sul punto di cadere. Ma anche dopo la sonora sconfitta sul referendum per l'acqua il primo ministro sloveno è riuscito a sgonfiare le vele dell'opposizione e confermare la sua maggioranza in parlamento

22/07/2021 -  Stefano Lusa Capodistria

Una sconfitta sonora per il governo. Quasi l’87% degli sloveni ha detto no alla legge sull’acqua. Si tratta di uno dei risultati più netti di sempre nella storia delle consultazioni popolari in Slovenia, di poco inferiore a quell’89% ottenuto nel 2003 a favore dell’adesione all’Unione Europea. Il referendum, promosso da una serie di giovani attivisti, convinti che la nuova normativa voluta dal governo Janša avrebbe aperto le porte alla deregolazione del settore ed alla speculazione edilizia lungo le coste, è stato subito cavalcato dall’opposizione per tirare uno schiaffo memorabile al centrodestra.

L’antijanšismo, unito all'impegno di una serie di movimenti poco legati alla politica ed ai tradizionali partiti sono riusciti nell'intento di portare alle urne quasi la metà degli aventi diritto. Un'operazione non facile considerato che il governo, con una serie di manovre di palazzo, era riuscito a far slittare il voto all’11 di luglio, un periodo questo in cui gli sloveni tradizionalmente pensano più alle vacanze lungo le coste croate che alla politica. Per essere considerato valido in Slovenia un referendum non ha bisogno solo di ottenere la maggioranza dei votanti, ma anche di raccogliere più del 20% dei sì tra gli aventi diritto.  

Non appena reso noto il risultato i detrattori del governo hanno subito invocato le dimissioni dell’esecutivo e le elezioni anticipate. Per la coalizione è sembrato mettersi malissimo quando il presidente della repubblica, Borut Pahor, in genere non ostile a Janša, ha dichiarato di aver votato contro la nuova legge al referendum. Come se ciò non bastasse ci si è messo anche il Consiglio di Stato, la seconda camera del parlamento sloveno, che fino a quel momento non aveva mai dato fastidio al governo. Proprio all’indomani del referendum, invece, per la prima volta da quando Janša è tornato a guidare l’esecutivo, i Consiglieri di Stato hanno imposto alla Camera di rivotare la Legge sulle malattie infettive. La normativa, osteggiata dall’opposizione, aveva reintrodotto la possibilità di varare tutta una serie di misure restrittive, messe in atto dal governo durante la pandemia, che erano state bocciate dalla Corte costituzionale. Il provvedimento che era stato approvato a maggioranza semplice in aula ora avrebbe avuto bisogno della maggioranza assoluta.

In settimana si sarebbe anche dovuto approvare l’istituzione del Fondo demografico, un ente che avrebbe controllato gran parte del patrimonio dello stato la cui costituzione era fortemente osteggiata dall’opposizione e dai sindacati, ma che rischiava di trovare detrattori anche tra i sostenitori del governo. L’ipotesi che potessero arrivare altri due schiaffi in rapida successione era più che plausibile, tanto che la leader socialdemocratica Tanja Fajon ha subito lanciato l’idea di una nuova sfiducia costruttiva per defenestrare il premier, probabilmente sperando di poter correre lei stessa per la carica di primo ministro.

Ma mentre dall’opposizione si pregustava la fine dell’odiato governo Janša, dalla coalizione si precisava che nulla di catastrofico era successo e si dava ad intendere che il referendum non aveva scardinato l’esecutivo, gli equilibri in parlamento e che tutto sarebbe andato avanti come prima. Un ottimismo fin troppo spavaldo per una maggioranza più che traballante ed alla vigilia di una serie di voti importanti dall’esito incerto.  

Per il resto Janša è riuscito presto a far parlare d’altro. Alla vigilia del referendum, invece, il premier si è occupato di politica estera e parlando in videoconferenza al Free Iran World Summit, organizzato dalla diaspora iraniana, ha auspicato una indagine indipendente sull’uccisione di 30.000 prigionieri politici nel 1988 in Iran, puntando il dito anche sul ruolo che avrebbe avuto nella vicenda il neoeletto presidente Ebrahim Raisi. Immediata la reazione di Teheran che ha chiamato per consultazioni l'ambasciatore sloveno, mentre è dovuto intervenire persino l’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che in un colloquio con il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, si è premurato di assicurare che le posizioni di Janša, anche se presiede il Consiglio dell’UE, non sono quello dell’Unione Europea. Poi Janša ha rilanciato proponendo la nomina di Mark Boris Andrijanič, in quota ai democristiani di Nuova Slovenia, a ministro senza portafoglio per la conversione digitale.  

L’opposizione ha subito puntato sull’ennesima figuraccia a livello internazionale e non ha lesinato critiche all’indirizzo del nuovo ministro bollato di essere un lobbista della Uber. In sintesi, a guidare il paese non sarebbe altro che un uomo inadeguato per la Slovenia e per l’Europa e la convinzione a quel punto era che ci sarebbero state tutte le premesse affinché i fiancheggiatori del premier, ovvero quei deputati che non fanno formalmente parte della sua maggioranza, ma che continuano a tenerlo a galla in parlamento, abbandonassero la nave che affonda. Con un abile manovra Janša però ha prima tolto il vento dalle vele dei suoi avversari e poi ha incassato l’ennesima vittoria in parlamento, prima della pausa estiva. I suoi uomini, consapevoli che non avrebbero ottenuto i voti necessari, hanno affossato la contestata Legge sulle malattie infettive ed hanno rimandato a dopo le vacanze il dibattito sul fondo demografico, mentre venerdì sono riusciti a portare a casa sul filo di lana la nomina a ministro di Andrijanič. Non c’è la maggioranza assoluta, ma per governare in Slovenia basta anche quella relativa e Janša, per il momento continua ad avercela.  


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