Novi Sad, una protesta dello scorso inverno © Nenad Nedomacki/Shutterstock

Novi Sad, una protesta dello scorso inverno © Nenad Nedomacki/Shutterstock

I recenti fatti di Novi Sad, dove una protesta di cittadini contro l'applicazione del nuovo Piano regolatore è stata duramente repressa dalla polizia e da guardie private, confermano la tendenza del regime Aleksandar Vučić ad usare la violenza per reprimere il dissenso

03/08/2022 -  Antonela Riha Belgrado

Per mesi gli attivisti e i cittadini di Novi Sad, capitale della Vojvodina, hanno protestato contro la proposta del nuovo Piano regolatore generale (PRG) che stabilisce la strategia di lungo termine per lo sviluppo e la pianificazione urbanistica della città e regola l’attività edificatoria sul territorio comunale.

Una delle principali obiezioni mosse da cittadini e attivisti alla proposta del PRG, presentata alla Commissione per la pianificazione territoriale, riguarda un complesso residenziale che dovrebbe essere costruito direttamente sul Danubio, in un’area protetta. Il progetto, secondo i critici concepito a misura di investitore, è stato battezzato “Novi Sad sull’acqua”, alludendo al controverso progetto “Belgrado sull’acqua” – un complesso di torri ed edifici che ha rovinato lo skyline della capitale – portato avanti dal governo serbo in modo tutt’altro che trasparente.

Reagendo alle proteste dei cittadini, il sindaco di Novi Sad Miloš Vučević, esponente del Partito progressista serbo (SNS) guidato dal presidente della Serbia Aleksandar Vučić, ha affermato che ad elaborare il PRG sono stati gli esperti, ma che "la parola fine spetta ai politici".

La parola fine

Ed effettivamente, nel corso di una seduta del consiglio comunale di Novi Sad, tenutasi lo scorso 21 luglio, la stragrande maggioranza dei consiglieri eletti nelle fila dell’SNS ha votato a favore del PRG, mettendo così la parola fine all’iter procedurale.

Mentre la seduta era ancora in corso, un centinaio di cittadini si sono radunati davanti alla sede del consiglio comunale (Palazzo Banovina). Ad un certo punto le persone riunite hanno cercato di entrare nell’aula dove si teneva la seduta, scontrandosi con la polizia. Alcuni manifestanti hanno lanciato della vernice verde contro gli agenti schierati e – secondo quanto riportato dai media – si sono impossessati dello scudo antisommossa di uno degli agenti.

A quel punto sono arrivate delle guardie private, ossia alcuni uomini in borghese, per la maggior parte sprovvisti di qualsiasi distintivo, che si sono scagliate contro i cittadini che protestavano. A suscitare particolare sconcerto tra chi seguiva la protesta sui social e sui media indipendenti è stato un video che mostra alcuni uomini in borghese buttare a terra uno dei manifestanti, per poi mettergli le manette, mentre uno degli uomini premeva il ginocchio sul collo e sulla testa del manifestante, con un gesto che a molti ha fatto tornare in mente la violenza della polizia statunitense che ha portato alla morte di George Floyd.

Lo stesso giorno alcuni media hanno riportato la notizia che quegli uomini in borghese, presumibilmente impiegati dell’azienda privata Intersec Team srl, sarebbero stati ingaggiati dall’amministrazione comunale come addetti alla sicurezza. Alcuni partiti di opposizione e organizzazioni non governative hanno sporto denuncia contro gli uomini che hanno aggredito i manifestanti, accusandoli di aver svolto illegittimamente l’attività di vigilanza privata e motivando tale accusa col fatto che gli addetti alla sicurezza privata possono solo vigilare all’ingresso e all’interno dell’edificio, e di certo non possono aggredire cittadini che esercitano il diritto di manifestare liberamente.

Anche gli agenti di polizia sono stati accusati di aver fatto ricorso alla violenza durante la protesta dello scorso 21 luglio, accuse prontamente respinte dalla polizia. "È grazie ad un intervento professionale ed efficace degli agenti di polizia - si legge in un comunicato stampa emesso dal ministero dell’Interno – che si è riusciti ad evitare un’irruzione violenta dei manifestanti alla seduta del consiglio comunale".

Il presidente Aleksandar Vučić si è spinto ancora più in là, dicendosi convinto, il giorno dopo le proteste, che tra i manifestanti ci fossero anche alcune “persone che avevano già fatto irruzione nella sede del consiglio comunale e del parlamento della Vojvodina, lanciando petardi e lacrimogeni”. Non si sa ancora con certezza quanti manifestanti siano stati posti in stato di fermo e se contro qualcuno di loro sia stata avviata un’azione penale.

Esattamente una settimana dopo la prima protesta, giovedì 28 luglio, a Novi Sad si è svolta un’altra manifestazione, e questa volta il potere non è intervenuto con violenza. Il corteo, molto più partecipato della prima protesta, ha attraversato le strade della città – dove non c’era alcuna traccia della presenza della polizia – per concludersi davanti alla sede dell’SNS. I partecipanti alla protesta hanno gettato secchiate di vernice contro la facciata d’ingresso, chiedendo un referendum in cui i cittadini di Novi Sad possano esprimersi sul PRG. I manifestanti hanno anche invitato la procura ad avviare un’indagine sull’uso eccessivo della forza durante la manifestazione dello scorso 21 luglio.

Un déjà vu

Non è la prima volta che il potere reagisce con brutalità alle proteste dei cittadini e che uomini in borghese, senza alcun segno distintivo, picchiano i manifestanti. La violenza a cui abbiamo assistito a Novi Sad per certi versi ricorda gli eventi del 2017 quando, durante la distruzione di alcuni edifici per fare spazio al controverso complesso commerciale-residenziale “Belgrado sull’acqua”, alcuni uomini con dei passamontagna in testa, muniti di mazze telescopiche, avevano fermato molti cittadini trovatisi nella zona, costringendoli a scendere alle macchine, impossessandosi dei loro documenti d’identità e cellulari. In quell’occasione è diventato chiaro, per la prima volta, che in Serbia, oltre alla polizia regolare, esiste anche una para-polizia incaricata di difendere gli affari del potere.

Sempre nel 2017, durante la cerimonia di giuramento di Aleksandar Vučić come nuovo presidente della Repubblica, alcuni giornalisti e cittadini considerati scomodi erano stati trascinati via con violenza dai membri del servizio di sicurezza del partito di Vučić. Negli ultimi dieci anni, da quando Vučić è salito al potere, tali interventi violenti sono diventati consueti non solo durante vari eventi pubblici, ma anche in occasione delle elezioni . È infatti capitato più volte che alcuni uomini in borghese cercassero di intimidire e maltrattare fisicamente i cittadini recatisi alle urne.

Nell’estate del 2020, le proteste organizzate a Belgrado contro le misure contraddittorie di contrasto alla pandemia da Covid 19 introdotte dal governo serbo – accusato anche di aver tentato di nascondere il numero effettivo di contagi e decessi per Covid – erano sfociate in scontri, protrattisi per diversi giorni, tra manifestanti e polizia, alla quale ad un certo punto si erano uniti anche alcuni uomini in borghese.

Il potere aveva reagito con estrema brutalità anche alla protesta organizzata a Šabac nel novembre 2021 contro un accordo poco trasparente stipulato tra il governo serbo e l’azienda Rio Tinto per lo sfruttamento dei giacimenti di litio nella fertile valle del fiume Jadar. I manifestanti avevano bloccato il traffico su un ponte e, una volta ritiratasi la polizia, erano arrivati alcuni uomini mascherati, armati di spranghe e martelli, cominciando a picchiare i cittadini. Ad un certo punto un uomo a bordo di una ruspa aveva tentato di forzare il blocco dei manifestanti.

Questi sono solo alcuni degli episodi che hanno visto protagonisti gruppi di hooligan e addetti alla sicurezza privata ingaggiati dalla leadership al potere. L’epilogo di episodi del genere di solito consiste nel sanzionare chi ha osato protestare. Quanto alle sanzioni contro i violenti, ad oggi non si sa ancora se qualche procedimento penale avviato nei confronti di chi ha picchiato i manifestanti abbia mai avuto un epilogo.

Solitamente, dopo la violenza, la leadership al potere consente lo svolgimento di ulteriori manifestazioni di protesta, senza intervenire in modo aggressivo, e poi scoppiano altri scandali che distolgono l’attenzione dalle proteste.

In questo vortice di corruzione, proteste, violenza, rivolte e smentite, il regime di Aleksandar Vučić invia un chiaro messaggio: la forza è nelle mani dello stato e il potere è nelle mani della maggioranza governativa che mette in pratica le proprie scelte senza alcun dibattito pubblico e senza prendere in considerazione l’opinione degli esperti e dei cittadini. Se necessario, ricorrendo anche alla violenza.


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