Skopje, Macedonia del Nord. La sede del governo © Alexandros Michailidis/Shutterstock

Skopje, Macedonia del Nord. La sede del governo © Alexandros Michailidis/Shutterstock

Trionfo dei nazionalisti della VMRO sia alle parlamentari che alle presidenziali, disfatta per i socialdemocratici fino ad oggi al potere, ma duro colpo anche alla politica inconsistente dell'UE nei confronti della Macedonia del Nord. Questo il verdetto del turno elettorale di ieri

09/05/2024 -  Tomas Miglierina Skopje

La sconfitta dei socialdemocratici (SDSM) e il ritorno al potere dei nazionalisti della VMRO, dopo sette anni, è figlia di molti padri. In primo luogo, ovviamente, del partito ormai non più al potere e delle sue responsabilità.

Il SDSM ha avuto il merito di risolvere, nel 2018, la disputa con la Grecia sul nome del paese, sbloccando il processo di adesione alla NATO (avvenuta nel 2020). Ma il partito ha saputo fare ben poco altro. Le promesse di lottare contro la corruzione e di riformare il potere giudiziario, garantendo indipendenza ed efficienza, si sono infrante su un mare di tentennamenti e su alcune evidenti bugie.

Alla fine, probabilmente presentendo l’imminente uscita di scena, i socialdemocratici hanno cominciato a fare il contrario di quanto promesso, riducendo i termini per la prescrizione dei casi di corruzione. Il presidente uscente, Stevo Pendarovski, pesantemente sconfitto al secondo turno ma uno degli ultimi uomini di potere con ancora una reputazione spendibile, avrebbe potuto perlomeno provare a respingere tali norme una prima volta (non avrebbe potuto farlo una seconda). Ma non ha fatto nemmeno questo.

Ma la vera “tomba” dei socialdemocratici sembra essere stata l’evoluzione dell’alleanza con l’Unione democratica per l’integrazione (DUI), espressione della comunità albanese (circa un quarto dei 2,1 milioni di abitanti del paese) che sebbene insidiata dalla nuova coalizione VLEN è riuscita a mantenere la maggioranza relativa.

Partner dei socialdemocratici, poi dei nazionalisti, quindi di nuovo dei socialdemocratici, la DUI è al potere ininterrottamente dalla fine del conflitto del 2001. Le sue promesse di lottare contro la corruzione e di “europeizzare” il sistema giudiziario, con l’aiuto di esperti stranieri, cozzano con una più prosaica realtà: il partito è una sorta di “vacca sacra” che controlla sempre più posti di potere; i suoi esponenti, quando lambiti da scandali, si dimostrano intoccabili. E a garantire la loro intoccabilità, nella percezione di non pochi macedoni della maggioranza, sono stati proprio i socialdemocratici, che ora vengono puniti per questo.

Se l’uscita di SDSM merita poche lacrime, il ritorno della VMRO è tutt’altro che un motivo di giubilo, tranne – ovviamente - per chi li ha votati (ieri a Skopje i festeggiamenti al suono di clacson e petardi sono andati avanti fino a tarda notte).

L’ ultimo decennio di potere dei nazionalisti si è concluso nel 2017 con uno scandalo di spionaggio generalizzato e la fuga in Ungheria del premier Nikola Gruevski (uno dei rari richiedenti asilo accolti a braccia aperte da Viktor Orban). Un decennio che viene ricordato soprattutto per il tentativo di dare alla capitale un’aura neobarocca a colpi di cartongesso, per le tensioni con la Grecia e con la comunità albanese, per risultati economici modesti e per una pervicace incapacità di distinguere lo Stato dal partito.

Forse la VMRO attuale ha imparato la lezione, forse si rimangerà le promesse elettorali di limitare l'uso della specifica “del Nord” nel nome del Paese (il cuore dell’accordo con la Grecia) o di non dare seguito "sotto dictat bulgaro" alle riforme costituzionali per introdurre il riconoscimento di una minoranza bulgara e sbloccare così il veto di Sofia sulle trattative di adesione all’UE. Ma se le parole dei politici hanno ancora un senso, la Macedonia uscita dal voto di ieri ha fatto un deciso passo indietro sull’integrazione europea. Dopotutto è quello che già dicevano i sondaggi: l’entusiasmo si è raffreddato.

E qui veniamo all’ultimo degli sconfitti: l’Europa. Il momento politico creato con grande fatica dall’accordo tra Zoran Zaev e Alexis Tsipras (entrambi bollati come traditori delle rispettive patrie dai loro oppositori) è stato largamente sprecato.

La Macedonia del Nord in questi anni ha fatto più progressi con l’iniziativa Open Balkan che nelle relazioni con l’Unione, ha ricevuto – nei fatti, non nelle parole - più attenzione da Belgrado che da Bruxelles (vedi alla voce vaccini anti-COVID, per esempio). L’invasione russa dell’Ucraina ha fatto il resto: tra i cittadini della maggioranza le tesi di una preponderante responsabilità di USA e NATO per il conflitto godono di un diffuso credito.

Ieri, mentre a Skopje si votava, a Belgrado Xi Jinping veniva ricevuto con tutti gli onori. Una coincidenza felice: Bruxelles farebbe bene a ricordarsi sempre che non è l’unico attore sulla scena.

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Secondo i risultati (quasi) definitivi della Commissione elettorale macedone , la VMRO ha raccolto il 43,23% dei voti. I socialdemocratici si sono fermati al 15,36%. Seguono la coalizione intorno alla DUI (13,78%), e la coalizione VLEN (10,72%). Entrano in parlamento anche Levica (6,75%) e il movimento ZNAM (5,57%). L’affluenza alle urne è stata del 53%.

Il secondo turno delle presidenziali ha visto il trionfo della candidata VMRO Gordana Siljanovska Davkova che ha raccolto il 65,14% dei voti. Nettamente distaccato il presidente uscente, Stevo Pendarovski, sostenuto dai socialdemocratici, fermatosi al 29,25%.


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