Manifestanti pro-Berisha davanti alla sede del Partito Democratico a Tirana

Alcune fasi dalla manifestazione violenta dello scoro 8 gennaio (screenshot da Youtube)

Due congressi paralleli, accuse reciproche, scontri fisici nella sede di Tirana: drammatica escalation nei rapporti, in seno al secondo partito dell’Albania, tra il segretario Lulzim Basha e il suo predecessore Sali Berisha

10/01/2022 -  Gjergji Kajana

La principale forza politica dell’opposizione albanese, il Partito Democratico (PD), si trova da alcuni mesi in uno strisciante processo di implosione interna, divisa tra le fazioni del presidente Lulzim Basha e quella del predecessore Sali Berisha, tra l’altro ex-Presidente della Repubblica negli anni ’90 e premier nel 2005-2013.

L’8 gennaio la perdurante conflittualità si è trasformata in un assalto dei simpatizzanti di Berisha alla sede del partito a Tirana, con l’obiettivo di rimuovere Basha fisicamente da essa, affermando di averlo destituito per referendum. L’attacco è stato fermato dalla polizia con l’uso di idranti e gas lacrimogeni.

Durante l’assalto (per dinamiche, simile a quello alla sede del governo del febbraio 2019) l’edificio, recentemente rinforzato all’interno in attesa dello scontro annunciato, è stato danneggiato e le due fazioni sono venute fisicamente a contatto, segnando un ritorno della violenza politica nel paese.

In relazione all’accaduto la polizia ha effettuato 34 arresti, mentre gli indagati sono 18, tra cui anche i deputati democratici Gazment Bardhi e Flamur Noka. Preoccupazione e condanne per i fatti sono arrivate da USA UE , OSCE, Italia, Gran Bretagna e dal Presidente della Repubblica Ilir Meta. Il primo ministro Edi Rama ha reagito via social mischiando ironia, analisi e indignazione. Berisha dal canto suo ha annunciato che i tentativi per la rimozione di Basha continueranno, lasciando intendere che il braccio di ferro perdurerà.

Alle origini della crisi

A far detonare la crisi interna è stato l’annuncio di Basha il 9 settembre scorso di aver espulso, su richiesta americana, Berisha dal gruppo parlamentare del PD. A maggio questi, accusato di corruzione e di aver minato la democrazia albanese durante il suo mandato a capo del governo, era stato definito persona non grata negli USA dal Dipartimento di Stato.

Il vicesegretario di Stato Philip Reeker e l’ambasciatore USA a Tirana Yuri Kim hanno esplicitamente chiesto a Basha l’espulsione di Berisha dal gruppo parlamentare PD, poi arrivata.

Berisha ha reagito all’espulsione intraprendendo un tour di incontri con la base democratica per raccogliere firme per rimuovere Basha dalla presidenza del partito (che questi occupa dal 2013) e cambiarne lo statuto, coalizzando attorno alla sua campagna una parte del gruppo parlamentare, dei membri dell’organizzazione e la dirigenza del forum giovanile.

A facilitare i suoi attacchi al presidente il malcontento contro Basha già diffuso da tempo all'interno del PD, recentemente sconfitto alle politiche del 2021. Dopo le elezioni i rivali politici dentro il partito avevano accusato Basha di irregolarità nel processo della sua rielezione a presidente, avvenuta lo scorso giugno.

Due congressi

La raccolta di firme ha alzato il livello dello scontro: incalzata a reagire dall’iniziativa di Berisha, la dirigenza del PD si è rifiutata in un primo momento di indire un congresso straordinario che avesse all’ordine del giorno l’elezione di un nuovo leader del partito. A quel punto i sostenitori di Berisha hanno organizzato autonomamente l’assise e un referendum per destituire Basha. La fazione berishiana ha inoltre depositato un nuovo statuto del PD presso l’amministrazione giudiziaria che sovrintende al rispetto delle procedure legali dei partiti albanesi.

La dirigenza PD non ha riconosciuto come regolari questi passi della fazione dell'ex-presidente, organizzando però un congresso il 18 dicembre, giorno del referendum berishiano. Riconoscendo di fronte all’assise la dualità con Berisha alla direzione del partito dal 2013 fino al 9 settembre scorso, Basha si è impegnato a ripudiare ciò che a suo avviso Berisha ha lasciato nel partito - lo ha tacciato di mentalità autoritaria - ed ha confermato una nuova alleanza con gli interessi USA e occidentali nel paese, membro NATO e impegnato nei negoziati di adesione con l’UE. Questi interessi includono, tra l’altro, il deciso sostegno di Washington e Bruxelles alla lunga riforma in corso della giustizia albanese e una lista di sanzioni estesa a tutti i Balcani occidentali intrapresa dall’amministrazione Biden contro uomini politici, imprenditori, media e trafficanti accusati di destabilizzare la regione, strategicamente importante nella rivalità geopolitica di USA e UE con Mosca e Pechino.

Insieme al membro della presidenza bosniaca Milorad Dodik, Berisha è uno dei politici balcanici più celebri colpiti dalle sanzioni americane, che includono anche i suoi familiari più stretti. Dopo aver ottenuto la sua espulsione dal gruppo parlamentare del PD, gli USA hanno pubblicamente dichiarato che non tratteranno con lui dovesse ritornare alla testa del partito.

Il futuro del PD

Il braccio di ferro con Berisha e il nuovo rapporto con gli USA costituiscono la prova del fuoco della leadership di Basha, a capo del secondo partito più grande del paese e di un gruppo parlamentare di 51 membri in maggioranza ancora fedele a lui. Eletto presidente nel 2013 dopo le dimissioni di Berisha e mettendosi a capo dell'opposizione contro il governo socialista, fino al 9 settembre Basha era ritenuto dalla maggioranza degli opinion maker albanesi, i rivali politici e gran parte delle strutture del partito come mero esecutore della linea politica impostagli dal predecessore.

La strategia di sfidare Rama con metodi extraparlamentari come le violente proteste di piazza e la rinuncia ai mandati in parlamento portò il PD all’autoisolamento e a scontrarsi nel 2019 con gli USA, che minacciarono di definirlo una organizzazione terrorista se avesse contrastato in modo violento lo svolgimento delle elezioni amministrative di quell'anno.

Il boicottaggio di quella tornata ha fatto quasi sparire il partito dalle amministrazioni locali. Dopo l’elezione di Berisha in parlamento nell’aprile del 2021 è tornata la tensione con Washington, con la minaccia americana, comunicata a Basha, di interrompere tutti i contatti con il partito se l’ex-premier fosse rimasto un deputato sotto l’insegna del PD.

Al momento, in mancanza della volontà di sfidare i berishiani in un congresso con in palio la leadership del partito e in un contesto di deterioramento dei rapporti con gli altri partiti d’opposizione, il presidente e il giovane gruppo dirigente attorno a lui hanno ritenuto evidentemente di giocare la loro migliore carta politica nell’atlantismo ed europeismo, per evitare un pieno isolamento politico interno e internazionale del partito.

Pur sostenendo subito dopo la chiusura delle urne che le Politiche del 2021 sono state segnate da irregolarità che ne hanno causato la sconfitta, il PD nella nuova legislatura sta regolarmente partecipando all’attività parlamentare, dove ha ottenuto l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulle elezioni presieduta dal suo deputato Enkelejd Alibeaj.

La prova di forza e di nervi sulla leadership del PD è destinata a segnare anche il futuro prossimo del partito e potrebbe finire solo per logoramento di una delle fazioni (con la dirigenza costretta a concedere una contesa elettorale interna o con un passo indietro di Berisha) o con una scissione dei berishiani.

Oltre alle perduranti proteste per rimuovere Basha dalla presidenza, nelle intenzioni della fazione dell’ex-premier vi è ora l’organizzazione il 22 marzo di nuove elezioni per la carica di presidente del partito. La durata del sostegno di parte della base del PD a Berisha è tutta da verificare, mentre per Basha è strategico il mantenimento del controllo della maggioranza nel gruppo parlamentare e il riavvio di un dialogo costante con i membri del partito (iniziato dopo il congresso del 18 dicembre) per legarli al nuovo corso antiberishiano. Purtroppo però un ritorno delle violenze non si può escludere.


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