Jozip Broz Tito e la Regina Elisabetta

Le fantasie, i sogni, la vita di un bambino di 10 anni in un villaggio sloveno vicino a Trieste alla fine degli anni '60. La realtà degli adulti si mescola al mondo interiore del piccolo protagonista del libro di Marko Sosič. Recensione

18/07/2012 -  Luciano Panella

Un bambino di dieci anni che vive, alla fine degli anni ’60, in un villaggio sloveno vicino a Trieste, le sue riflessioni sul mondo che lo circonda e sugli avvenimenti che vede o che sente nei discorsi degli adulti.

E’ il quadro di Tito, amor mijo, di Marko Sosič, un libro uscito qualche anno fa e riedito ora dalle Edizioni Comunicarte di Trieste, con la bella traduzione di Darja Betocchi. “La mamma lavora in una famiglia dove parlano tutti nella nostra lingua e sono ricchi, perché la signora ha un negozio, il signore invece viaggia per il mondo e conosce un mucchio di persone. La mamma dice che i suoi padroni sono amici del maresciallo Josip Broz Tito, che ha liberato Trieste e il nostro villaggio, e che sua moglie Jovanka è anche lei loro amica. La mamma dice che il suo padrone le ha promesso che all’occasione le farà conoscere Jovanka e il maresciallo Tito, che è stato il comandante supremo di tutti i partigiani e anche dello zio Albert. Il suo padrone dice che allora la mamma potrà anche cantare qualcosa, perché ha una bella voce e perché il maresciallo Tito ascolta volentieri le belle donne che cantano con una bella voce”.

Già il titolo Tito, amor mijo ricorda la parlata di chi abita nelle zone di confine, dove le due lingue, e soprattutto le espressioni dialettali e colloquiali, si sovrappongono disinvoltamente nei discorsi di ogni giorno, a volte inconsapevolmente. Sono proprio i discorsi e gli avvenimenti quotidiani a essere riportati per tutto il libro, scritto in prima persona, quasi un ininterrotto “flusso di coscienza”, dove il piccolo narratore riporta quello che vive, pensa, sogna, ricorda, tutto avvolto da un alone di fantastico o di misterioso.

La realtà degli adulti si mescola alle impressioni e alle fantasie del protagonista, ed ecco che, come su una scena teatrale, via via si alternano i vari episodi e i vari personaggi: la nonna, che vive con una pallottola in testa, ricordo della guerra, la piccola Alina, compagna di giochi, la mamma che sogna di prendere il tè con la regina Elisabetta, la maestra, seduta in cattedra ma con un bicchiere di Campari in mano, descritta mentre scivola sempre di più nell’incoscienza dell’alcolismo sotto gli occhi incuriositi della scolaresca.

Anche i personaggi che il protagonista non ha conosciuto direttamente ma di cui ha sentito parlare spesso, come il mitico maresciallo Tito, evocato anche nel titolo, pur non apparendo direttamente, vengono descritti al pari di quelli presenti nella vita di tutti i giorni.

La storia è ambientata alla fine degli anni ’60 ma gli echi e le conseguenze della guerra appaiono ancora molto presenti nella vita di tutti i giorni e il piccolo narratore fa fatica a comprendere le divisioni di lingue e culture in un territorio tradizionalmente plurilingue. Come tanti altri desideri, affida alla preghiera serale all’angelo custode anche il desiderio di capire: “Fa che capisca che cosa vuol dire patria, in quanto lo zio Albert dice che la nostra patria è l’intera Jugoslavia, mentre la signora Slapnik dice che la nostra patria è solo la Slovenia, la mamma invece dice che siamo sloveni che vivono in Italia, che siamo in pochi e che spariremo se non ci saranno bambini, e dice che abbiamo due presidenti, il signor Saragat e il Maresciallo Tito, che non è signore ma compagno”.

Marko Sosič, regista e scrittore è nato a Trieste nel 1958. E’ stato direttore artistico del Teatro Nazionale Sloveno di Nova Gorica, del Teatro Stabile Sloveno di Trieste e del Festival “Borštnikovo srečanje”.

Tra i suoi scritti, ricordiamo il romanzo Balerina, balerina (1997) con cui ha ottenuto numerosi premi, tra cui un riconoscimento speciale dedicato a Umberto Saba.


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