Quanto si autocensurano i giornalisti della Bosnia Erzegovina? In quest'articolo la presa della politica sui media del paese

24/10/2016 -  Hilma Unkić Sarajevo

(Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Media Centar Sarajevo il 13 ottobre 2016, titolo originale: Autocenzura novinara u BiH: Odabir teme u skladu s uređivačkom politikom )

Il controllo esercitato sul proprio modo di esprimersi o di agire per evitare di infastidire o offendere qualcuno, senza essere stati formalmente invitati a farlo. E' così il dizionario Cambridge online definisce l’autocensura, una delle maggiori debolezze intrinseche del giornalismo odierno.

Dalle esperienze dei giornalisti impiegati nelle redazioni dei media bosniaco-erzegovesi emerge che, nella maggior parte dei casi, sono proprio la politica editoriale e le pressioni esercitate (in)direttamente da vari centri di potere politico ed economico a creare un’atmosfera tale da non lasciare adito a dubbi su quali argomenti e personaggi sia opportuno scrivere e quali invece sarebbe meglio non toccare, a meno che non lo si faccia in un determinato modo.

Particolarmente pericolosa è quella situazione in cui un giornalista, per evitare critiche, forti correzioni dei propri testi e, nel peggiore dei casi, un’eventuale sanzione o persino licenziamento decide autonomamente di scegliere ed elaborare temi in modo conforme all’atmosfera che “si respira” nell’aria.

“Il motivo principale per cui ricorro all’autocensura è di natura pratica – per rendere più semplice il lavoro del redattore che dovrà leggere quanto da me scritto e quello del caporedattore a cui spetta l’ultima revisione”, dice una giornalista bosniaco-erzegovese, secondo la quale l’autocensura dei giornalisti si intensifica con l’approssimarsi delle elezioni.

“È dal 2000 che seguo le elezioni e l’autocensura è conseguenza proprio di questa esperienza pluriennale, segnata da forti interventi redazionali e da un modo di esprimersi ‘più libero’ dei partecipanti alla campagna elettorale”, spiega la giornalista, aggiungendo che l’autocensura consiste nel selezionare cosa riportare di quanto detto durante una conferenza stampa o un dibattito pre-elettorale, decidendo, in base a degli “automatismi”, cosa far “passare” e cosa invece no.

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“I giornalisti sono indotti ad autocensurarsi per vari motivi: oltre al fatto di non essere sufficientemente motivati, dal punto di vista economico, a uscire dai limiti imposti, vi è anche la paura di subire conseguenze per aver osato indagare su temi scomodi”, afferma un giornalista di una tv di Banja Luka, aggiungendo che vi è scarsa volontà di rompere la spirale del silenzio, che va di pari passo col timore che il tema proposto non venga accolto. I criteri di scelta e di elaborazione dei temi sono sempre dettati dalla linea editoriale, a prescindere che si tratti del periodo elettorale o no.

“Nella mia redazione, i compiti dei giornalisti, compresi gli argomenti da approfondire, li decide il caporedattore o il direttore del telegiornale, i quali si presentano alla prima riunione redazionale con l’elenco giornaliero degli eventi già pronto, e se qualcuno di noi giornalisti propone altri temi, questi vengono accettati solo se conformi alla linea editoriale dell’emittente.

"Una volta rientrato in redazione, il giornalista mostra il materiale raccolto al redattore, che poi seleziona quello che gli serve e decide la direzione nella quale sviluppare un tema, determinando così anche la scelta degli ulteriori interlocutori”, spiega il giornalista.

“Se con l’autocensura si intende il piegarsi dei giornalisti alla politica editoriale del media per il quale lavorano, allora la situazione è questa: troppo spesso i temi proposti non ricevono il via libera, ma non nel senso di essere apertamente rifiutati bensì, in quanto proposte poco gradite, rimossi dall’agenda con una frase diplomatica del tipo: ‘È la prima volta che ne sento parlare, bisogna pensarci su un po’, nel frattempo ho un’altra storia per te...’”.

Una giornalista di una tv sarajevese sostiene di non sentirsi vittima dell’autocensura, tranne nel caso in cui un tema da lei proposto venga rifiutato dal redattore di turno. “Può non essergli gradito perché non è in linea con il suo concetto di telegiornale, perché non lo trova interessante oppure ritiene che non valga la pena approfondirlo. Ma è una sua opinione”, spiega la giornalista, aggiungendo che copre un ampio spettro di temi, “dalle proteste dei lavoratori all’alta politica”.

Un altro giornalista, impiegato presso un quotidiano sarajevese, che ha seguito negli ultimi tempi le vicende legate all’integrazione europea della Bosnia Erzegovina, il lavoro del governo federale, nonché il recente referendum sulla Giornata nazionale della Republika Srpska, afferma di ricorrere raramente all’autocensura. Aggiunge inoltre che ogni giornale ha una sua linea editoriale, che dovrebbe essere coerente, e se si ricorre all’autocensura lo si fa proprio per mantenere tale coerenza.

“Se il mio operato giornalistico comprende certi elementi di autocensura, essi consistono nello scegliere argomenti da trattare in base alla loro coerenza con la linea editoriale del giornale”, ribadisce il giornalista.

Stando all’ultimo rapporto sull’Indice di sostenibilità dei media bosniaco-erzegovesi, in un clima di perenne instabilità politica ed economica i giornalisti non di rado si lasciano piegare da intimidazioni e minacce, continuano ad essere retribuiti inadeguatamente e irregolarmente, ricorrendo sempre più spesso all’autocensura.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto


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