Slovenia

Franco Juri, ex sottosegretario agli esteri in Slovenia, fornisce un chiaro quadro della situazione dei "cancellati". E denuncia, all'alba dell'entrata nell'UE della Slovenia, il silenzio delle istituzioni europee.

20/04/2004 -  Franco Juri

In merito al caso dei "cancellati" ed al referendum xenofobo voluto dai partiti della destra in Slovenia e' opportuno chiarire e completare l' informazione da voi segnalata con quanto segue:

Domenica 4 aprile circa il 31% dell' elettorato sloveno ha aderito al referendum voluto dai partiti della destra slovena per annullare la cosiddetta "legge tecnica sui cancellati", proposta dal governo per risolvere (parzialmente) l' annosa questione di quanti, nel 1992, persero, senza preavviso alcuno, il diritto di residenza nella Repubblica di Slovenia.

Nel 1999 la Corte costituzionale aveva infatti giudicato la "cancellazione" della residenza per 18 mila persone residenti in Slovenia al momento della dichiarazione di indipendenza, avvenuto nel '92 ad opera del Ministero degli interni, come anticostituzionale e illegale. Tale decisione fu ribadita ulteriormente nel 2003 quando la stessa Corte costituzionale decretò l' obbligo del riconoscimento retroattivo dei diritti alienati. Secondo i giudici costituzionali il ministero degli interni avrebbe dovuto rimediare alla propria grave violazione, compiuta nel 1992, emettendo immediatamente e senza iter legali particolari delle delibere con cui i diritti venivano riconosciuti con la dovuta retroattività.
I "cancellati" infatti nel 1992 persero ogni diritto che la legge riconosce agli stranieri con residenza (non quello alla cittadinanza, che non concerne la questione dei cancellati), quindi i diritti sociali, quelli di lavoro, di assistenza sanitaria , mentre venne loro imposto persino l' obbligo del visto turistico ogni tre mesi per poter risiedere in casa propria. I 18 mila in questione erano cittadini jugoslavi residenti in Slovenia che per diversissime circostanze non regolarono il proprio status di cittadinanza (o non vollero farlo) entro i 6 mesi contemplati dalla legge dopo l' indipendenza per chi non era nato in Slovenia. Ciò li escluse dalla categoria di nuovi cittadini il che e' comprensibile e su cui nessuno obietta . Ma altresì li escluse - a loro insaputa e in flagrante violazione delle leggi - anche dalla categoria di cittadini stranieri con residenza in Slovenia.

Non vennero ne espulsi , ne considerati "persona non grata" ... vennero semplicemente "cancellati". Non esistevano più. Lo stato non aveva nei loro confronti alcun dovere. La cancellazione era ovviamente avvenuta solo a danno degli stranieri "jugoslavi" e non di altri. Le conseguenze umane di questa cancellazione furono inaudite. Migliaia furono i casi di disperazione; per fare un esempio: una "cancellata" ricoverata d' urgenza per partorire, si vide negato il figlio neonato perché la sua assicurazione sanitaria era stata cancellata con lei. Non avendo soldi con cui pagare l' operazione-parto il bambino rimase in ospedale quale "ostaggio". Di casi kafkiani ce ne furono moltissimi nel corso dei 10 e più anni di esistenza precaria cui furono relegati i cancellati. A parlarne nel 1994 fu solo il settimanale Mladina e il professor Ljubo Bavcon, eminenza del diritto, che mise al corrente del problema le più alte autorità slovene, informando sull' insostenibile situazione che si era creata per 18 mila persone all' indomani della "pulizia etnica amministrativa" voluta dal primo governo della Slovenia indipendente (Demos).

A questo punto inizia la controffensiva dell' opposizione di destra. Lo stesso governo opta per il non rispetto delle decisioni della Corte costituzionale, cercando il compromesso con la destra xenofoba. Nel tentativo di soddisfare l' opposizione e un' opinione pubblica deliberatamente incitata da alcuni leader politici e parte dei media contro "gli speculatori antisloveni che vorrebbero soltanto arricchirsi a danno degli Sloveni" sia il presidente della repubblica Janez Drnovšek, che quello del parlamento Borut Pahor che lo stesso Premier Anton Rop mantengono un atteggiamento estremamente ambiguo. Il Ministro degli interni invece escogita la "legge tecnica" il cui scopo e di ridurre di 4 volte il numero degli aventi diritto ai diritti retroattivi. La rinuncia del governo di mettere in pratica direttamente le decisioni della Corte costituzionale, emettendo le delibere, e il varo della "legge tecnica" offre cosi' ai partiti xenofobi (il Partito democratico sloveno di Janez Janša (SDS), la Nuova Slovenia (NSI) di Andrej Bajuk, il Partito popolare (SLS) di Janez Podobnik (questi tre membri del Partito Popolare Europeo) e l' ultranazionalista Partito Nazionale Sloveno (SNS) di Zmago Jelinčičl, l' occasione per indire un referendum dai forti connotati xenofobi ma le cui vere intenzioni si celano dietro l' opposizione ad una "legge tecnica" considerata carente anche dagli stessi cancellati in quanto fortemente restrittiva. Il referendum si rivela così pretestuale e occasione preelettorale per l' opposizione.

Nemmeno il fatto che la legge in questione sia diventata obsoleta, dato che il governo ha optato per il pieno rispetto di quanto deciso dai giudici costituzionali ed ha avviato l' emissione delle delibere che riconoscono ai cancellati già in regola dal '99 anche i diritti retroattivi, è riuscito ad evitare il referendum. Questo si traduce così in una prova di forza politica tra l' elettorato fedele alla destra e ostile ad ogni riconoscimento dei diritti per cancellati e quello che considera la consultazione inutile e dannosa, in quanto nelle finalità lede i diritti costituzionali e umani dei cancellati. In Slovenia non c' e' il quorum e così il referendum viene stravinto dai primi. I partiti del centrosinistra e i movimenti favorevoli ai diritti umani avevano invece sostenuto il boicottaggio spiegandolo con l' illegittimità dei referendum usati a danno di diritti costituzionalmente garantiti.

E già si prospettano altri due simili referendum, sempre voluti dalla compagine capeggiata da Janez Janša; quello contro una legge di sistema sui cancellati (anch' essa proposta dal governo per risolvere tutti i 18 mila casi ancora aperti) e quello contro la costruzione dell' unica moschea con centro culturale islamico, a Lubiana,da anni auspicata e richiesta dalla comunità musulmana in Slovenia, composta soprattutto da cittadini sloveni di origine bosniaca. Gli stessi partiti ostili ai cancellati (ed ai diritti dei Rom e di ogni minoranza) si oppongono pure alla costruzione della moschea. Gli stessi hanno già inoltrato richiesta di referendum nella città di Lubiana, spiegandolo con i presunti pericoli del terrorismo islamico. Per quanto minoranza, il 31% che ha aderito al referendum di Janša rappresenta un non trascurabile nucleo duro di xenofobi sui cui può contare la destra.
A favore dei diritti dei cancellati si e' schierato chiaramente l' ombudsman sloveno e il commissario per i diritti umani del Consiglio d' Europa Alvaro Gil Robles. Una posizione netta a favore e' stata presa anche dall' ECRI, la commissione del Consiglio d' Europa per la lotta al razzismo e alla discriminazione. Purtroppo (ed il fatto e' inquietante) nessuna posizione in merito e' stata presa dalla Commissione Europea, ne tanto meno da qualche altro organo dell' UE. Consultato dalla stampa slovena all' indomani del vergognoso referendum il portavoce della Commissione europea De Ojeda si e' limitato a dichiarare laconicamente che "La Commissione non commenta il referendum essendo questo una questione interna della Slovenia". Un'omertà purtroppo condivisa anche da vari governi, dal Consiglio europeo e dal Parlamento UE.


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