Vukašin Obradović

Vukašin Obradović (foto Medija Centar Beograd )

Alla vigilia delle elezioni politiche, presidenziali e amministrative, in Serbia regna una sorta di paura elettorale. Secondo Vukašin Obradović le consultazioni elettorali in Serbia sono ormai un meccanismo che alimenta e innesca conflitti, divisioni e scontri e per questo i cittadini le temono

30/03/2022 -  Vukašin Obradović Belgrado

(Originariamente pubblicato dal quotidiano Danas , il 29 marzo 2022)

Nei paesi democratici, le elezioni rappresentano un’occasione per risolvere una crisi politica o per chiedere ai cittadini di esprimersi su alcune questioni sociali particolarmente pressanti. In Serbia, invece, ormai da tempo si assiste ad un processo diametralmente opposto. Le consultazioni elettorali sono diventate un meccanismo finalizzato ad innescare nuovi conflitti, divisioni e scontri.

Ecco perché in Serbia, a pochi giorni dalle elezioni, regna la paura. I cittadini hanno paura delle elezioni, indipendentemente dal fatto che il prossimo 3 aprile intendano dare il proprio voto all’attuale maggioranza di governo o all’opposizione o che preferiscano non recarsi alle urne.

Abbiamo dunque raggiunto un livello di decadenza politica e sociale tale per cui le elezioni, per la maggior parte dei cittadini, rappresentano una sorta di trauma, una vera e propria psicosi collettiva, provocata principalmente dall’incertezza, ossia dall’attesa di sapere cosa ci porterà “il giorno dopo”, quel momento successivo alla pubblicazione dei risultati delle elezioni.

Per gli esponenti dell’opposizione e i loro sostenitori – soprattutto per quelli che hanno sempre espresso pubblicamente le proprie idee politiche, impegnandosi in iniziative concrete o dando vita ad una qualche forma di attivismo – la paura dei risultati dell’imminente tornata elettorale non è una paura irrazionale.

È del tutto naturale che i rappresentanti e i sostenitori dell’opposizione ad un certo punto si chiedano cosa si dovranno aspettare nel periodo post-elettorale se il Partito progressista serbo (SNS), in un modo o nell’altro, dovesse riuscire a rimanere al potere. Difficilmente possono aspettarsi che dopo le elezioni il regime inizi a trattarli esclusivamente come avversari politici, essendo già stati etichettati come nemici dello stato, anti-patrioti, traditori e mercenari al soldo degli stranieri.

Chi invece crede che i sostenitori del principale partito di governo non provino alcuna paura, si illude di grosso. Anche tra i sostenitori del regime regna la paura, nonostante i sondaggi d’opinione truccati e i costanti tentativi della macchina propagandistica di convincere l’opinione pubblica che l’SNS vincerà sicuramente, e nettamente, le imminenti elezioni.

Per quanto sia efficace il potere manipolatorio del regime, anche quelle persone che, a bordo di autobus, vanno di città in città, pur di dimostrare la superiorità numerica della leadership al potere rispetto ai suoi oppositori, vivono nel mondo reale e ogni giorno devono fare i conti con il crescente malcontento dei loro vicini di casa, amici e parenti. Ed è proprio questo che li rende irrequieti, spingendoli a chiedersi che ne sarà di loro se “quegli altri” dovessero vincere, quale significato assumerà “il revanscismo” e se un domani verrà loro rimproverato il fatto di aver partecipato ad un comizio o di aver votato l’SNS.

Ultimo, ma non meno importante: la ricca eredità autocratica che Aleksandar Vučić lascerà alla Serbia comprende anche una moltitudine crescente di persone convinte che l’ormai tangibile conflitto sociale tra sostenitori e oppositori di Vučić non possa volgere verso un epilogo politico tale da permettere un trasferimento pacifico di potere attraverso le elezioni e le istituzioni, convinte cioè che “Vučić non sia affatto disposto a cedere il potere dopo un’eventuale sconfitta elettorale”.

Ciò che è problematico in questo atteggiamento – per il resto assolutamente legittimo – è il fatto che simili idee politiche non fanno altro che alimentare ulteriormente la rabbia repressa della società, contribuendo così all’intensificarsi del malcontento latente che risulta difficile da incanalare politicamente e che, anche per un motivo banale, potrebbe esplodere da un momento all’altro.

Anche Aleksandar Vučić è ben consapevole di questa situazione e credo profondamente che anche lui abbia paura delle imminenti elezioni, per quanto sia abile nel nascondere il proprio timore. Perché, per parafrasare Abraham Lincoln, puoi governare intimorendo alcune persone per qualche tempo e altre per sempre, ma non puoi governare intimorendo tutti per sempre.


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