Il murales raffigurante Ratko Mladić a Belgrado

Attivismo civico, partecipazione, guerre jugoslave e confronto col passato. Lo spunto per discuterne nasce dall'ormai noto murales dedicato a Ratko Mladić dipinto su un muro di Belgrado

14/12/2021 -  Elvira Jukić-Mujkić Belgrado

Lo scorso 9 dicembre, poche ore dopo essere stato ricoperto di vernice bianca sulla base di un’ordinanza emessa dalla municipalità di Vračar, il murales raffigurante il criminale di guerra Ratko Mladić, disegnato sulla facciata di un edificio all’angolo tra via Njegoševa e via Alekse Nenadovića a Belgrado, è stato riportato allo stato originario. È dunque andato a vuoto l’ennesimo tentativo di cancellare il graffito dedicato all’ex comandante di stato maggiore dell’esercito serbo-bosniaco.

Nel giugno di quest’anno Ratko Mladić è stato condannato in appello all’ergastolo dal Meccanismo residuale per i tribunali penali internazionali. Al termine di un processo iniziato nel 2012, Mladić è stato dichiarato colpevole del genocidio di Srebrenica, di una serie di crimini contro l’umanità commessi ai danni della popolazione bosgnacca e croata, del terrore contro la popolazione civile di Sarajevo e della presa in ostaggio dei membri dell’Unprofor (forze di protezione dell’Onu).

In Serbia nelle ultime settimane si è assistito ad un susseguirsi di raduni, proteste e arresti legati al murales raffigurante Mladić, un susseguirsi che riflette le profonde divisioni presenti nella società serba riguardanti le guerre degli anni Novanta e il loro lascito. La maggior parte delle persone che passano davanti al murales dedicato a Mladić non ci presta alcuna attenzione, fatto per nulla sorprendente considerando la quasi totale indifferenza dei cittadini serbi per quanto accaduto durante le guerre jugoslave. Solo pochi gettano uno sguardo a questo graffito che mostra l’ex comandante dell’esercito serbo-bosniaco mentre fa il saluto militare, accompagnato dalla scritta: “Generale, grazie a tua madre”.

I passanti con cui ho parlato in via Njegoševa nel corso dell’ultimo mese hanno reagito in modo diverso alle mie domande riguardanti il murales dedicato a Mladić: alcuni si sono dimostrati riluttanti a discuterne, mentre altri hanno espresso opinioni divergenti sul significato del murales e sui tentativi di alcuni attivisti di rimuoverlo.

Un cittadino di Belgrado sulla sessantina ha definito l’intera vicenda “vergognosa e brutta”, dicendosi infastidito dal fatto di dover passare ogni giorno davanti a quel graffito. Ha inoltre affermato di essere contrario al trattamento riservato agli attivisti che hanno cercato di rimuovere il murales, esprimendo però perplessità sulla possibilità da parte dei singoli cittadini di fare qualcosa di concreto riguardo a questa vicenda senza far arrabbiare qualcuno.

Una sua concittadina, che ha circa cinquant’anni e abita a pochi metri di distanza dall’edificio su cui è disegnato il controverso graffito, la pensa diversamente, spiegando di non avere nulla contro il murales e, anzi, di osservarlo ogni giorno e di vergognarsi del fatto che alcune persone vogliano cancellarlo. Alla domanda su cosa pensasse dei recenti eventi, comprese le proteste contro il graffito e l’arresto di alcuni attivisti, la donna ha risposto brevemente, affermando di essere contraria alla tendenza a “impedire ai serbi” di esprimere la propria opinione allo stesso modo in cui lo fanno certi attivisti, vedendovi l’ennesimo attacco contro il popolo serbo.

Sollecitati a commentare il caso del murales raffigurante Mladić, tre giovani belgradesi, sulla trentina, hanno affermato di non essere al corrente della vicenda perché non leggono regolarmente le notizie pubblicate dai media. Uno dei giovani ha detto di non avere nulla contro i graffiti di questo tipo che, a suo avviso, non glorificano la persona che vi è raffigurata, aggiungendo di non voler schierarsi con nessuno, né con gli attivisti che cercano di rimuovere il murales né con coloro che lo difendono. Le sue amiche hanno invece risposto condannando il fatto che nella loro città ci sia un graffito dedicato ad una persona come Ratko Mladić, ritenendo però che questo murales non rifletta il vero volto di Belgrado.

Nelle ultime settimane la via Njegoševa a Belgrado è stata teatro di attivismo e revisionismo storico di cui i media di tutta la regione hanno ampiamente parlato e di cui si continua a discutere sui social media. La vicenda del murales dedicato a Mladić ha fatto riemergere non solo la questione del confronto con il passato, ma anche le divisioni presenti nella società serba.

Secondo Ivana Jelača, direttrice del Media Diversity Institute Western Balkans, il confronto con il passato è una questione di fondamentale importanza, ed è quindi problematico il fatto che molti considerino Ratko Mladić un eroe, nonostante sia stato condannato per crimini di guerra.

“Semplicemente non abbiamo ancora fatto i conti con il ruolo svolto dalla Serbia nelle guerre [degli anni Novanta] e quindi vi è una grande confusione. Persino i procedimenti penali e le sentenze vengono percepiti come un attacco alla Serbia. Si insiste ancora sulla narrazione secondo cui tutti sarebbero contro la Serbia, e qui arriviamo alla politica. Credo che conti molto il modo in cui i politici e persino alcune istituzioni parlano di questa problematica”, afferma Ivana Jelača.

Commentando la decisioni del ministero dell’Interno serbo di vietare una manifestazione convocata per lo scorso 9 novembre dall’organizzazione "Iniziativa dei giovani per i diritti umani" con l’intento di rimuovere il murales dedicato a Mladić, Jelača ricorda che in quell’occasione il ministero ha emesso un comunicato stampa in cui ha affermato che “la polizia non ha il compito di proteggere il murales, bensì di tutelare l’ordine e la quiete pubblica e di garantire il rispetto del divieto di raduno”, presentando così gli attivisti come hooligan pronti a creare disordini.

“Credo che nella nostra società manchi ancora un’adeguata comprensione del fenomeno dell’attivismo civico e i politici al potere tendono ad approfittare di questa situazione”, afferma Ivana Jelača. Stando alle sue parole, in Serbia, così come in altri paesi della regione, regna un clima di apatia e di disinteresse dei cittadini verso la partecipazione alla vita pubblica. “Molte questioni vengono interpretate come prettamente politiche, come questioni su cui un individuo non può incidere, quindi i cittadini non vogliono intromettersi in tali questioni, né tanto meno sono consapevoli del fatto che spetta a loro vigilare sull’operato del governo e che i politici devono lavorare nell’interesse dei cittadini”, spiega Jelača, aggiungendo che anche i cittadini che hanno una percezione diversa della politica di solito si astengono dal reagire perché non vi è un’adeguata comprensione dell’importanza dell’attivismo civico.

La costante ricerca di nemici, spesso sfruttata per trarne profitto politico, rende la società serba meno propensa a rispettare le diversità. Secondo Ivana Jelača, la tendenza a fomentare una percezione negativa del diverso contribuisce all’acuirsi delle divisioni, finendo per trasformare la diversità in una perenne fonte di paura.

In una recente intervista rilasciata a OBC Transeuropa, l’attivista Aida Ćorović – che lo scorso 9 novembre, insieme a Jelena Jaćimović, è stata posta in stato di fermo per aver gettato delle uova contro il murales raffigurante Ratko Mladić – ha dichiarato che l’intera vicenda è stata accompagnata dal tentativo della leadership al potere di diffondere menzogne e manipolare l’opinione pubblica, aggiungendo che i cittadini serbi, pur essendo stanchi dell’attuale situazione nel paese, sono economicamente esausti e incapaci di opporre qualsiasi resistenza.

Le immagini delle proteste ambientaliste svoltesi nelle ultime settimane a Belgrado hanno funto da ispirazione per i cittadini dell’intera regione. Tuttavia, stando ai dati emersi da un recente sondaggio condotto dall’organizzazione non governativa CRTA , nel corso dell’ultimo anno solo un terzo dei cittadini serbi ha partecipato ad un’iniziativa civica organizzata a livello locale, mentre la maggior parte di quelli che non hanno preso parte ad alcuna iniziativa ha indicato come principale motivo di tale inerzia il pessimismo riguardo alla possibilità di cambiare qualcosa, affermando di non trovare alcun senso nell’impegnarsi in azioni di attivismo civico.

Pur essendo trascorsi ormai trent’anni dallo scoppio delle guerre di dissoluzione della Jugoslavia, ci vorrà ancora molto impegno da parte degli attivisti e della società civile, non solo in Serbia, ma anche in altri paesi della regione, affinché alcune questioni legate alle guerre jugoslave e al confronto con il passato vengano affrontate in modo adeguato. Questo processo è ostacolato dal fatto che attualmente nessuno dei paesi sorti dalle ceneri dell’ex Jugoslavia è guidato dai politici lungimiranti e disposti a fare importanti passi avanti verso la riconciliazione. Finché tali politici non arriveranno al potere l’andamento del processo di riconciliazione dipenderà dall’impegno di quei pochi attivisti e cittadini che coltivano e diffondono valori positivi, valori che la maggior parte delle persone non comprende o semplicemente ignora.


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