Il Kosovo soffre di cronica mancanza di energia. Il governo ha puntato tutte le sue carte sul controverso progetto "Kosovo C", una centrale a carbone che non vedrà la luce prima del 2015. Quello che manca, però, sono un ampio dibattito pubblico e una chiara strategia di sviluppo del settore

27/06/2008 -  Veton Kasapolli Pristina

Fiumi di denaro non sembrano sufficienti per risolvere la cronica mancanza di energia che il Kosovo deve affrontare ormai da un decennio. Le due centrali a carbone oggi attive, "Kosovo A" e "Kosovo B", hanno inghiottito in questi anni milioni di euro di investimenti, che si sono rivelati però incapaci di garantire il necessario rinnovamento di infrastrutture ormai arretrate.

Risultato: i cittadini devono affrontare, senza possibilità di scampo, i problemi provocati dai frequenti black-out provocati dal razionamento delle risorse messo in atto dalla KEK (Kosovo Energy Corporation), l'azienda energetica pubblica. Black-out improvvisi e imprevedibili, nonostante un fantomatico schema basato sul livello di pagamento delle bollette arretrate. Ad essere maggiormente penalizzate, poi, sono sopratutto le zone rurali.

Nel tentativo di cercare soluzioni, varie organizzazioni non governative stanno esplorando strade nuove. L'idea, semplice, ma innovativa e promettente, è quella di lanciare un vasto dibattito all'interno della società, per discutere le possibili alternative in grado di traghettare il Kosovo fuori dall'attuale palude energetica.

Secondo l'istituto GAP, un think-tank con sede a Pristina, è necessario focalizzare l'attenzione innanzitutto sul breve termine. Per ora la sola strategia esistente punta al lungo periodo, con la costruzione di una centrale da 2100 megawatt che dovrebbe cominciare a funzionare a partire dal 2015. "E cosa faremo per i prossimi sette anni, fino all'ultimazione della centrale?", chiede Shpend Ahmeti, direttore del GAP. Per poi concludere, "la questione va affrontata subito".

L'istituto GAP ha condotto analisi sulla situazione energetica nella regione per fare una mappatura del consumo e delle perdite nella rete. Col contributo di trenta esperti del settore, GAP sta lavorando per identificare ed eliminare gli ostacoli a quello che ritiene l'obiettivo più importante: far partire la crescita economica.

"Il settore privato è considerato il principale catalizzatore della crescita, ma più dell'80% degli operatori del campo, secondo varie ricerche e sondaggi, identificano nella mancanza di energia il principale ostacolo allo sviluppo, ancor prima dei problemi relativi alla tassazione e alla corruzione", sostiene Ahmeti.

Questo spiega perché all'istituto siano convinti che il Kosovo abbia bisogno di un confronto vero di idee, di una politica unitaria nell'elaborazione delle strategie degna di una società che punti a sviluppare una democrazia piena.

La KEK, come impresa pubblica, sta lottando per rendersi economicamente sostenibile, obiettivo reso difficile dalla difficoltà di obbligare gli utenti a pagare le bollette. Kosovo ed Albania rappresentano le uniche realtà nella regione balcanica ancora incapaci di affrontare decisamente il problema. Dati ufficiali mostrano che la KEK riesce a raccogliere solo il 30% circa del valore dell'energia erogata, il resto viene perso in bollette evase, perdite della rete e connessioni illegali alla stessa.

Tra le varie raccomandazioni, GAP ha consigliato la creazione di unità di "polizia energetica", visto che nel passato vari dipendenti della KEK sono stati malmenati mentre tentavano di riscuotere bollette evase, e molti dei processi intentati procedono con lentezza esasperante.

Al momento, sono allo studio vari progetti di privatizzazione della rete di distribuzione. Questo settore è responsabile del 18% delle perdite della KEK. Per cambiare la situazione, trasporto e distribuzione dell'energia devono essere modernizzati, il che in soldoni significa almeno 500 milioni di euro di investimenti.

Alternative

La strategia di lungo termine su cui punta la leadership di Pristina per risolvere la cronica mancanza di energia si basa sul progetto di costruzione di una nuova centrale a carbone, il cosiddetto progetto "Kosovo C". La costruzione della centrale, che dovrebbe avere una capacità di produzione di circa 2100 megawatt, è caldamente raccomandata dal Lignite Power Technical Assistance Project (LPTAP), un organo del ministero dell'Energia e delle Miniere creato grazie al supporto finanziario della Banca Mondiale.

Il principale compito di "Kosovo C" sarà soddisfare il fabbisogno locale, che cresce a vista d'occhio e che, secondo le previsioni, dovrebbe assestarsi intorno ai 1000 megawatt. Il resto della produzione sarebbe invece esportato verso gli altri paesi della regione, attirando capitali necessari a stimolare la crescita economica.

Lo LPTAP lavora al complesso processo di preparazione dei bandi di gara necessari a creare la centrale e la nuova miniera di lignite necessaria ad alimentarla, ma anche a riabilitare alcune unità di produzione della centrale "Kosovo A". Un progetto complessivo del valore di quattro miliardi di euro. L'organo sta inoltre scrivendo dal nulla la legislazione necessaria, in accordo con gli standard dell'UE, visto che il Kosovo implementerà per la prima volta un progetto di questa portata.

La riserva di lignite del Kosovo è ritenuta tra le più ricche al mondo. Secondo una recente stima della commissione indipendente kosovara sulle miniere e le risorse minerarie, oscillerebbe tra gli 11,5 e i 14 miliardi di tonnellate di materiale.

Proprio le dimensioni del progetto, che ne fanno l'opera più impegnativa mai progettata in Kosovo, ha attirato l'interesse di varie compagnie internazionali. Quattro di queste sono state ammesse al bando per la futura costruzione della centrale: la EnBW/WGI (Germania), la CEZ/AES (Repubblica Ceca-USA), la ENEL/SENCAP (Italia/Grecia-USA) e la RWE (Germania).

"Siamo in attesa di poter lanciare la seconda fase del progetto. Aspettiamo che le decisioni politiche necessarie vengano prese dal Project Steering Committee per poter aprire il bando di gara vero e proprio", dice Lorik Haxhiu, project manager dello LPTAP. Secondo Haxhiu in questa seconda fase verranno definita la cornice attuativa del bando, con la scelta dei parametri tecnici, della locazione e della potenza della centrale e della pianificazione temporale della costruzione della centrale.

"Tra i possibili criteri del bando potrebbero includere la scelta di una compagnia in grado di portare il massimo grado di profitto al Kosovo, il prezzo del carbone utilizzato come carburante dalla centrale, le dimensioni dello stabilimento e il suo impatto ambientale, e la garanzia che il vincitore fornisca energia ai consumatori locali al miglior prezzo possibile", aggiunge Haxhiu, ricordando poi che il surplus energetico prodotto verrebbe poi venduto sui mercati della regione.

La maggior parte dei dubbi, però, si addensano sugli "effetti collaterali" del progetto "Kosovo C". E' previsto, infatti, che le strutture della centrale, così come della miniera di carbone destinata a rifornirla, si espanderanno fino alla periferia di Pristina, penetrando all'interno dell'area abitata. La centrale "consumerà" terreni agricoli e risorse idriche in abbondanza.

Lo LPTAP è però convinto della bontà del progetto, e risponde alle critiche. "La costruzione di 'Kosovo C' contribuirà a risolvere il problema dell'inquinamento atmosferico, visto che, tra i criteri per procedere all'investimento, stiamo discutendo la possibilità di chiudere o rinnovare le unità ormai obsolete della centrale 'Kosovo A'", dichiara convinto Haxhiu.

Oggi, a rendere irrespirabile l'aria di Pristina, oltre alle particelle sospese provenienti dalle ciminiere di "Kosovo A" e "Kosovo B", contribuiscono anche ondate di polvere sollevate dal processo di estrazione del carbone. Se una nuova centrale da 2100 megawatt possa avere un impatto positivo o negativo sull'attuale situazione è oggetto di una discussione aperta.

Nel frattempo, un gruppo di esperti kosovari del settore, riunitisi intorno al progetto "Forum 2015", ha pubblicato nel maggio del 2008 un rapporto in cui vengono sottolineati tutti i punti critici relativi al progetto "Kosovo C".

Il rapporto parla di mancata analisi sia a livello economico che sociale ed ambientale. Nei primi anni dopo il lancio del progetto è stata assente qualsiasi forma di discussione pubblica, in aperta violazione della convenzione di Aarhus, che stabilisce il principio del libero accesso alle informazioni al pubblico durante il processo decisionale. "Forum 2015" ha espresso timori relativi alle scarse riserve idriche della regione, necessarie a soddisfare contemporaneamente le necessità della centrale e della produzione agricola.

Una delle questioni centrali sollevate riguarda poi le ricadute complessive del progetto sul Kosovo, sul grado di controllo che verrà assicurato alla compagnia vincitrice dell'appalto sulle riserve di carbone, e sulla trasparenza sui futuri profitti realizzati esportando energia fuori dai confini del Kosovo. " 'Kosovo C? È un progetto nazionale oppure internazionale?", si chiede provocatoriamente nel rapporto.

Aprire il dibattito

La grandezza del progetto "Kosovo C" e la complessità della questione energetica hanno trovato la società kosovara impreparata, anche per la mancanza di una tradizione della cultura del dibattito. Ad insistere sugli effetti benefici di un dibattito di largo respiro è anche l'istituto per la ricerca politica e lo sviluppo KIPRED.

KIPRED, specializzato nell'analizzare i trend economici e nel proporre politiche nel campo macro-economico, ha pubblicato una serie di raccomandazioni ad uso e consumo dei più alti livelli politici ed amministrativi.

"Stiamo parlando di un progetto che avrà un profondissimo impatto sulla nostra società, ma fino ad ora è mancata qualsiasi forma di dibattito sulle priorità e l'interesse pubblico", sostiene Genc Krasniqi, ricercatore di KIPRED, ponendo così una questione sostanziale a chi spinge per la realizzazione di nuovi impianti di produzione energetica.

KIPRED ha raccomandato al parlamento di Pristina di ratificare il Trattato sulla Carta Energetica, il Protocollo di Kyoto, la Convenzione di Aarhus e l'Extractive Industries Transparency Initiative prima di intraprendere la privatizzazione del settore dell'energia.

Il coinvolgimento dei cittadini è essenziale, soprattutto di quelli che potrebbero essere costretti a spostare la propria residenza in seguito alla costruzione della centrale, perché abbiano pieno accesso alle informazioni su progetti, sfide, problemi ed impatto ambientale.

Parlando di rischi ambientali, Krasniqi ritiene che "un vero dibattito aiuterebbe a far emergere i veri pericoli che minacciano il Kosovo. All'inquinamento prodotto dalle centrali attualmente attive, oggi dobbiamo aggiungere quello dei generatori messi in moto durante i black-out, il cui effetto inquinante, secondo le nostre stime, è pari a quello di 700mila automobili non catalizzate. Quindi sono molti i fattori che andrebbero messi sul piatto della bilancia quando parliamo della costruzione della nuova centrale".

L'attuale governo sta spingendo per la privatizzazione di alcuni settori della KEK, nella convinzione che questo possa portare ad una maggiore efficienza da parte della compagnia. Nello scorso gennaio è stato anche deciso di bloccare tutti i bandi e i progetti della KEK sospettati di infrangere i regolamenti. Il governo, poi, ha deciso di rimandare ogni decisione politica riguardo al progetto "Kosovo C". Evidente il mutato atteggiamento rispetto al precedente esecutivo, impegnato a bruciare le tappe anche se questo significava ignorare accordi internazionali lungo la strada.

Trattandosi del più grande investimento privato mai intrapreso in Kosovo, gli esperti sottolineano la necessità di implementare le leggi già esistenti, ma anche di modificare la legislazione in accordo con gli standard dell'UE, oltre a raggiungere un livello accettabile di rispetto della legge sul territorio.

Le dimensioni del controverso impianto, così come il suo impatto sociale, economico ed ambientale, dipendono dalle proposte che lo Steering Committee deciderà di approvare. L'intero investimento, però, avrebbe di certo avuto vita meno travagliata se il Kosovo avesse una chiara strategia di lungo termine in campo energetico. Una strategia che, forse, avrebbe permesso un utilizzo più assennato degli almeno 700 milioni di euro spesi a partire dal 1999 nelle vecchie centrali, senza che questo portasse a miglioramenti sensibili.

Fino ad oggi, non ci sono però segnali di cambiamenti in positivo da parte del nuovo governo. Il piano di lavoro elaborato per il periodo 2008-2011 può essere descritto come un'insieme di speranze più che un programma concreto di sviluppo del settore in grado di fornire ai consumatori energia 24 ore su 24.

Le potenzialità energetiche del Kosovo rimarranno inespresse finché il governo, il parlamento e la società nel suo complesso non saranno in grado di elaborare una strategia sul proprio futuro economico, di concordare sui mezzi e cominciare ad implementarla, aprendo così la strada ad investimenti esteri in grado di fornire l'energia necessaria a modernizzare il Kosovo.


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