Lavoratore al computer portatile © Stock-Asso/Shutterstock

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Se per alcuni paesi lo smart working era già una realtà anche prima della pandemia, per altri paesi non lo era affatto. Alcuni dati mostrano come i paesi dell’Europa occidentale e dei Balcani si sono adeguati al lavoro a distanza

28/07/2021 -  Klaudijo Klaser

La rapida diffusione della pandemia di Covid-19 all'inizio del 2020 ha stravolto molti paradigmi in un arco di tempo estremamente breve. Allo stesso modo, le misure urgenti introdotte dalla maggior parte dei paesi per limitare la diffusione del coronavirus hanno avuto un impatto immediato su diverse attività, e più in generale sulla nostra routine quotidiana. Tra le diverse aree interessate dalle misure restrittive, il mercato del lavoro è stato probabilmente uno dei più colpiti. In Italia, ad esempio, a causa delle chiusure imposte circa il 63% delle imprese con almeno 3 dipendenti ha dichiarato di aver usufruito della Cassa Integrazione Guadagni tra marzo e maggio 2020, per un totale di oltre 6 milioni di singoli dipendenti che hanno beneficiato di questo ammortizzatore tra marzo e settembre 2020 (fonte ISTAT, Il mercato del lavoro 2020: una lettura integrata ).

Le tipologie di lavoro che hanno subito meno le conseguenze del lockdown sono state quelle che hanno potuto essere “trasferite” a casa. Lavorare da casa – il cosiddetto smart working – infatti, oltre a contribuire a contenere la diffusione della pandemia, ha consentito di ridurre l'impatto economico negativo delle misure restrittive, perché ha permesso la prosecuzione di alcune attività, anche se a distanza. Sempre per quanto riguarda il contesto italiano, secondo l'ISTAT (Il mercato del lavoro 2020: una lettura integrata ), il lavoro da casa ha coinvolto meno del 5% del totale dei lavoratori nel 2019. Invece, nel secondo trimestre del 2020 la stessa modalità di lavoro ha interessato ben il 19,4% dei lavoratori, per un totale di oltre 4 milioni di persone. In Europa le percentuali sono state pressoché simili: la percentuale di lavoratori che hanno lavorato abitualmente da casa è passata dal 5% (media dell'ultimo decennio) al 12,3% nel 2020 (fonte Eurostat, [ lfsa_ehomp ] ). Così, una pratica spesso implementata in maniera occasionale o marginale è diventata all’improvviso la nuova modalità di lavoro tipica.

Tuttavia, per quanto riguarda il contesto europeo, la situazione risulta essere molto eterogenea. Questo probabilmente in funzione del rigore delle misure introdotte e delle infrastrutture tecnologiche disponibili. Rifacendosi nuovamente ai dati Eurostat ([ lfsa_ehomp ] ), si può così osservare che la Finlandia è stato il Paese che nel 2020 ha maggiormente adottato la modalità di lavoro da casa, che ha riguardato il 25,1% dei lavoratori, ed in particolare quelli più anziani (40-64), la cui percentuale è salita fino al 28,5%. In generale, in Finlandia rispetto al 2019 l'aumento è stato di 11,0 punti. L’Irlanda ha registrato invece il maggior incremento totale, passando dal 7,0% di smart working nel 2019 al 21,5% del 2020, per un incremento complessivo di 14,5 punti percentuali. Diversa ancora è stata la situazione nei Paesi Bassi: nel 2020 il 17,8% dei lavoratori ha lavorato abitualmente da casa, facendo registrare un incremento contenuto rispetto all’anno precedente (14,1%), a testimonianza del fatto che il lavoro da casa non rappresentasse di certo una novità.

Come si sono invece comportati i Paesi dei Balcani per quanto riguarda lo smart working? Guardando la Tabella 1 (fonte Eurostat, [ lfsa_ehomp ] ) si può immediatamente notare che i numeri sono lontani da quelli appena presentati per alcune delle realtà europee più importanti. Facendo una media delle percentuali per Bulgaria, Croazia, Macedonia del Nord, Montenegro, Romania, Serbia, Slovenia, Ungheria si evince che solo il 4,4% dei lavoratori di questi Paesi ha lavorato abitualmente da casa durante il 2020, con la stessa percentuale che si è fermata appena al 2,9% nel 2019. Questi semplici numeri dimostrano che il lavoro da casa nei Balcani rappresenta chiaramente l’eccezione e non la regola. E così è stato anche durante i momenti più intensi della pandemia, i quali invece hanno spinto numerose nazioni a “convertirsi” in maniera preponderante allo smart working: così, nei Balcani si è registrata una variazione di solo 1,1 punti percentuali tra i due anni presi in considerazione, contro i 7,3 punti di variazione europei.

Tabella 1 - % di lavoratori che hanno abitualmente lavorato da casa (2019-2020)

FASCIA D'ETÀ 15-64 15-39 40-64
PAESE ANNO 2020 2019 2020 2019 2020 2019
Bulgaria 1,2 0,5 1,3 0,5 1,1 0,4
Croazia 3,1 1,9 3,0 1,4 3,1 2,3
Macedonia del Nord 2,9 1,6 3,2 1,3 2,6 1,8
Montenegro 7,5 5,8 5,2 3,8 9,4 7,6
Romania 2,5 0,8 2,9 0,7 2,3 0,8
Serbia 7,2 4,9 7,0 3,4 7,3 6,0
Slovenia 7,4 6,8 6,4 5,6 8,2 7,8
Ungheria 3,6 1,2 3,8 1,0 3,4 1,3

Nonostante questa portata limitata, anche all’interno dei paesi balcanici è possibile fare delle distinzioni. In particolare, è possibile evidenziare come la Bulgaria è stata la nazione meno interessata dalla modalità di lavoro da casa, con solo l'1,2% dei lavoratori coinvolti nel 2020. Inoltre, rispetto al 2019, l'aumento è stato di soli 0,7 punti percentuali, mostrando di fatto un’indifferenza strutturale verso lo smart working. Altrettanto si può dire di Croazia, Macedonia del Nord, Romania e Ungheria. Altri Paesi come Montenegro, Serbia e in particolare la Slovenia mostrano invece una situazione qualitativamente simile a quella dei Paesi Bassi: seppure i valori assoluti siano molto diversi rispetto a quelli dei Paesi Bassi, è possibile asserire come per Montenegro, Serbia e Slovenia il lavoro da casa fosse un’esperienza già diffusamente presente prima della pandemia. Per esempio, in Slovenia già nel 2019 il 6,8% dei lavoratori lavorava abitualmente da casa.

Un’altra curiosa regolarità empirica che si evince dai dati Eurostat è che in tutti i Paesi considerati, ad eccezione del Montenegro, le differenze maggiori tra il 2019 e il 2020 si sono registrate nella fascia d’età tra i 15 e i 39 anni, mostrando come nei momenti di massima crisi i più giovani sono stati maggiormente capaci di adattarsi alla modalità di lavoro da casa. Questo fenomeno è stato evidente soprattutto in Serbia, dove tra il 2019 e il 2020 nella fascia d’età 15-39 anni si evince una differenza di +3,6 punti percentuali mentre nella fascia d’età 40-64 la stessa differenza è stata di un terzo, ossia 1,3 punti percentuali.

Certamente il fenomeno dello smart working è complesso, perché dipende da numerosi fattori, quali per esempio l’infrastruttura tecnologica (in quanto si lavora in connessione) o da come il legislatore lo inquadra all’interno della normativa sui contratti di lavoro. Quello che però risulta evidente da un rapido paragone tra Europa continentale e penisola dei Balcani è che quest’ultima è generalmente indietro per quanto riguarda la percentuale di persone che lavora da casa, e questo non può che aver avuto un impatto anche in merito ad una risposta efficace alla pandemia dal lato della continuazione delle attività.


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