Anjela Nedyalkova e Ovanes Torosyan in un'immagine tratta dal film Ave di Konstantin Bojanov

Aspettando i due film del sudest Europa in concorso, “Bir Zamanlar Anadolu'da - Once upon a time in Anatolia” del turco Nuri Bilge Ceylan e “La source des femmes” del franco-romeno Radu Mihaileanu, un bilancio regionale al 64° Festival di Cannes. Tra luci e ombre

20/05/2011 -  Nicola Falcinella Cannes

Erano anni che la Bulgaria non si presentava con due film in un festival internazionale di primo piano. Sulla Croisette ne ha uno nella Quinzaine des realisateurs e uno nella Semaine des la critique, sezioni parallele al concorso principale. Nella seconda, riservata ai debuttanti, è stato presentato “Ave” di Konstantin Bojanov, un road movie da Sofia a Ruse e (quasi) ritorno.

Protagonisti due adolescenti, Kamen (Ovanes Torosyan) e Ave (Anjela Nedyalkova). Si incontrano facendo autostop in periferia. Salgono sullo stesso mezzo, si ignorano, litigano ma poi procedono insieme. La diciassettenne Ave (diminutivo di Avelina) è di famiglia alto borghese, famiglia segnata dalla tossicodipendenza del fratello. La ragazza, in fuga da se stessa, vive tra realtà inventate e bugie. Provoca e irride le persone che incontra. Il ragazzo è taciturno, non parla di sé. Il suo obiettivo è arrivare sulle rive del Danubio per il funerale di un amico, morto suicida, a cui in passato aveva rubato la ragazza. Arriverà in ritardo, ritardo che aumenterà il senso di colpa di Kamen, mentre Ave verrà scambiata per la fidanzata del defunto.

Bojanov dirige bene gli attori, gioca sul contrasto di caratteri, utilizza una galleria di personaggi che fanno da specchio ai protagonisti (il camionista, il militare irascibile, i familiari del morto). Il film è uno sguardo su un Paese poco visto al cinema, terra di transito, di luoghi dimenticati dove nascono tensioni che il regista è riuscito a catturare. Ne esce un ritratto di giovani inquieti e di una società incerta che non sa dove andare.

Molto meno riuscito “The Island” di Kamen Kalev, già presente alla Quinzaine nel 2009 con l’opera prima “Eastern Plays”. Il film narra la storia di una coppia di trentenni in un viaggio che li porterà da Parigi a Burgas, in Bulgaria. Daneel (Thure Lindhart) inizialmente titubante, si fa convincere da Sophie (Laetitia Casta). Giunti a destinazione insisterà per andare su un’isoletta nel Mar Nero legata a suoi ricordi d'infanzia. Lì scoprirà il volto della sua madre naturale, che l’aveva abbandonato neonato. Dopo un litigio con la ragazza, forse incinta, le strade dei due si dividono. Lei rientra in Francia, lui dopo un viaggio tra mare e natura giunge a Sofia, partecipa ai provini del Grande fratello e viene preso.

Ci troviamo di fronte a tre film malamente condensati in uno. La pellicola nel finale sfiora il ridicolo, involontariamente. Kalev conferma la sua capacità narrativa, dirige bene gli attori, ma non riesca a controllare il film nel suo insieme. 

Delude anche Catalin Mitulescu. Il suo “Loverboy” è il ritratto di un meccanico ventenne che vive solo in un paesino vicino a Costanza sul Danubio. Luca è un bel ragazzo, non ha problemi di soldi, arrotonda lo stipendio con traffici loschi, dalla prostituzione all’emigrazione. Gira con macchine costose, è pieno di ragazze. Sempre al centro dell’attenzione, anche della polizia. Seduce le coetanee e poi le lascia agli amici. Vive tra gite al mare, al fiume, balli e bevute. Un giorno compare la bella Veli che lascia la casa dei genitori e va a vivere con lui. Tra i due la tensione cresce, l'interesse dello spettatore invece cala. Resta l'impressione di una storia senza sbocchi, inutile. Le immagini (direttore della fotografia Marius Panduru) sono suggestive come l'atmosfera e i personaggi (da tenere d'occhio i giovanissimi interpreti George Pistereanu e Ada Condeescu). La vitalità del luogo non viene però trasmessa al film. Mitulescu non trova l'ironia, la dolcezza e la forza che aveva mostrato nella sua opera precedente, “Come ho trascorso la fine del mondo”.


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