Un viaggio fino a Beslan. Luoghi e persone raccontano le ferite del ter-akt alla Scuola numero uno e nei racconti si apre una finestra: "A Beslan è venuta gente di tutti i paesi, abbiamo potuto vedere come sono gli altri e questo ci fa bene. Ora possiamo anche mostrare al mondo come siamo".

28/06/2007 -  Anonymous User

Di Javier Marcelo Domingo - traduzione di Sara Di Pede

Il primo giorno a Beslan ci svegliamo e facciamo colazione a casa di Alina, dove ci ospitano. Dopo la colazione, ci mostrano il DVD in cui si vede come hanno trascinato fuori dalla finestra della scuola Alina completamente coperta di sangue. Abbiamo visto lo stesso DVD almeno altre 5 volte. Alina protesta "Uffa! Un'altra volta questo video!?".

Camminando per la via Pervomajskaja, le persone sedute lungo la strada ci salutano "Salām, Salām". Si apre una porta e una signora ci saluta "Buona sera, siete stranieri... Aspettate un momento" dice ed entra di nuovo in casa. Torna con una foto tra le mani "Questo è uno dei miei figli. Erano tutti e due durante il ter-akt, grazie a Dio si sono salvati!". La foto mostra un bambino ferito, nel letto di quello che sembra essere un ospedale. Cerchiamo di esprimerle quanto siamo dispiaciuti. "Voi non conoscete dei giornalisti del vostro paese che possano pubblicare la foto?". "Noi...No, però possiamo trovarli" promettiamo.
Siamo invitati a cena da Piers. Quando arriviamo, all'esterno della casa c'è un gruppo di ragazzini che giocano a pallone. Una donna, che non conosciamo, ci viene incontro ed indicando un bambino dice "E' lui, è uno dei bambini del ter-akt!". In effetti Soslan, il figlio di Piers, era lì, durante l'agguato dei terroristi. Ma noi stavamo solo andando a mangiare, non a farci le foto con le vittime. Soslan sorride, imbarazzato.
Visitiamo una famiglia. C'è una bambina, la cugina della padrona di casa, che è timidissima. Durante la nostra visita, non ci dice una parola, a malapena sorride. Annoiato dalla conversazione, cerco di giocare con lei ma è difficile farla sorridere. Qualcuno le mette in mano un libro "I morti di Beslan". Sfogliandolo, mi mostra una foto. "Questa è la mia mamma". Sono le prime parole che le sento pronunciare.

Consegniamo alcuni questionari a scuola. I bambini devono rispondere se erano presenti all'agguato e dire che tipo di lesioni avevano riportato. Una bambina mi chiama "Lei ha scritto che non c'era nella scuola, e invece sì che c'era!". Questa situazione si è ripetuta così tante volte, che eliminiamo i questionari.

Marina e Tamaz sono due osseti del sud che vivono a Beslan da più di 10 anni con i loro figli. Ci invitano a prendere un caffé da loro. Fa caldo, ci sediamo nel cortile, ci mostrano vecchie foto. La madre non so di chi, Tamaz quando faceva il militare, in Italia con Al Bano, il matrimonio in Georgia, in Italia con Al Bano, le vacanze al mare, in Italia con Al Bano. Arriva il caffé, Tamaz si alza e porta la televisione ed il videoregistratore. Ci mostra una cassetta. Sua moglie e sua figlia sono riprese in una trasmissione moscovita, insieme al padre di uno dei soldati morti nell'attacco.

Vediamo come Marina si dimostri riconoscente con Saša, che ha dato la vita per salvare sua figlia. Marina ride, dice che detesta rivedersi in televisione: viene male sia nelle foto che quando la riprendono. La figlia scompare dentro la casa fino al momento in cui ce ne andiamo via. Vado in una libreria con Angela. Mentre guardo fra i best seller, Angela mi chiama per mostrarmi un libro intitolato "Dizionario di Beslan", con le testimonianze delle vittime e le foto. C'è una foto di sua madre.

Mi porta poi dalla sua famiglia. Mentre mangiamo, la cognata mi mostra un videoclip dell'attentato sul display del suo cellulare. Si vedono immagini dell'operazione di salvataggio delle vittime; uno di quelli che aiutò durante questa operazione è suo fratello.
Camminando per Beslan arriviamo ad un grande stagno, fa caldissimo e ci sono dei ragazzini che si fanno il bagno in mutande. Sara gli fa delle foto ed i bambini si mettono a gridare. Forse non vogliono che gli facciamo delle foto così. Si avvicinano e ci chiedono se siamo della televisione e dove e quando si potranno rivedere.

Andiamo in marshrutka da Vladikavkaz a Beslan. Qualsiasi cosa facciamo, anche se non parliamo, richiamiamo l'attenzione. Un uomo ci chiede se siamo dei giornalisti, lui conosce qualcuno che c'era durante il ter-akt e può presentarcelo.

Una maestra della scuola mi dice che se l'attacco deve lasciare qualcosa di positivo, quel qualcosa è che il mondo conosce più cose su Beslan e che Beslan conosce più cose sul mondo. "E' venuta gente di tutti i paesi, abbiamo potuto vedere come sono gli altri e questo ci fa bene. Ora possiamo anche mostrare al mondo come siamo".


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