Nonostante gli impegni previsti dall’Energy Community Treaty, nei Balcani occidentali gli investimenti sulle fonti di energia sono ancora indirizzati al carbone

20/07/2016 -  Matteo Tacconi

Nonostante le leadership dei paesi dei Balcani occidentali abbiano annunciato da qui al 2020 impegni e investimenti numerosi sulle energie rinnovabili, la realtà registra un dato opposto: si scommette più sulle centrali a carbone che sugli impianti eolici. La più inquinante tra le energie tradizionali continua a sovrastare a livello di finanziamento, ma anche di capacità produttiva, quella che tra le nuove appare più ricca di potenziale. È questo il risultato di una recente ricerca di CEE Bankwatch Network, organizzazione non governativa che cerca di favorire la transizione alle energie verdi nell’Europa centro-orientale e in quella sud-orientale, tracciando al tempo stesso le attività delle istituzioni finanziarie internazionali mirate a sostenere le energie tradizionali, e dunque a far pendere ancora la bilancia a loro favore. Osservatorio Balcani e Caucaso ha intervistato Ioana Ciuta, energy coordinator di CEE Bankwatch Network, per fare il punto, a partire dalla ricerca da poco diffusa, sull’intero scenario delle rinnovabili nella regione balcanica.

Dalla vostra ricerca risulta che il carbone sia ancora il grande vincitore, nella partita per l’energia. E questo malgrado i governi della regione sostengano la transizione alle energie pulite. Perché questo scarto?

In effetti riscontriamo un’evidente discrepanza tra il potenziale delle rinnovabili e il loro attuale sviluppo,  un po’ desolante. Gli unici progetti eolici di un certo spessore nella regione, escludendo la Croazia, sono il campo eolico di Kula in Serbia, da 9,9 Megawatt, e quello di Bogdanci 1 in Macedonia, da 36,1 Megawatt. Vediamo un alto numero di potenziali nuovi investitori in progetti eolici, e anche una certa disponibilità a concedere prestiti da parte di soggetti quali la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) e la tedesca Kreditanstalt fur Wiederaufbau (KfW), ma le quote per connettersi alla griglia energetica sono fissate in modo conservatore, e questo significa che per diventare effettivo un progetto ha bisogno di molti anni. Cosa che disincentiva.

Nella nostra recente ricerca abbiamo stimato che in teoria da qui al 2020 si potrebbero produrre 1166 Megawatt tramite l’eolico. Un valore incoraggiante, che suona però come uno scherzo, se guardiamo a quello relativo ai progetti per le centrali a carbone, pari a 2800 Megawatt. Sostenere il carbone significa soltanto prolungare la marginalità dell’eolico, per non parlare del fotovoltaico, che malgrado l’alto potenziale viene incentivato ancora di meno.  

Ci parli dello scenario delle fonti rinnovabili diverse dall’eolico.

I paesi della regione si sono impegnati a portare la quota di rinnovabili sulla produzione totale di energia tra il 25% e il 40%, entro il 2020, secondo quanto prescritto dall’Energy Community Treaty, che riunisce i paesi dell’Ue, l’Ucraina e i Balcani occidentali. Sulla carta sarebbe una svolta, ma l’aumento della quota di rinnovabili è al momento inferire al 10%, se la si rapporta all’anno base: il 2009.  

Nella regione è molto usato l’idroelettrico. Ci sono molti nuovi progetti sul tavolo, alcuni persino in aree protette. L’Albania, ma anche il Montenegro e la Croazia, sono già fortemente dipendenti da questa fonte. Un suo ulteriore sviluppo pone in essere dei problemi, perché la regione è già vulnerabile ai cambiamenti climatici. Le biomasse potrebbero fornire un contributo importante per lo sviluppo delle rinnovabili, ma è difficile che da sole possano generare una quota importante di produzione, a differenza di eolico, solare e idroelettrico, cui devono in ogni caso affiancarsi investimenti in efficienza energetica. Negli ultimi tre anni i gruppi della società civile del sudest europeo hanno elaborato un modello di sviluppo, nei rispettivi paesi e per l’intera regione, che dimostra che la decarbonizzazione è possibile, e può essere raggiunta nel 2050.

Cosa intende quando dice che l’idroelettrico comporta rischi a livello di sostenibilità e cambiamenti climatici?

In una regione dove sono presenti gli ultimi fiumi incontaminati d’Europa, la corruzione e la carenza di strumenti per la protezione ambientale possono causare danni immensi. In una nostra vasta analisi, basata sull’esame di 1829 progetti, abbiamo identificato 1355 siti idroelettrici pianificati o entrati in funzione dal 2005. Sono progetti “greenfield”, vale a dire nuovi, non programmati in precedenza. Tra questi, 200 sono operativi e 113 in via di realizzazione. C’è dunque un danno, almeno potenziale, già fatto. Ma è ancora possibile intervenire e prevenire: ci sono 994 progetti non ancora partiti, infatti. I danni potenziali causati da tali progetti sono enormi, soprattutto se si considera che stiamo parlando di una regione che ospita alcuni fra i fiumi più imponenti d'Europa; una regione che è al contempo affetta da una combinazione molto pericolosa di corruzione diffusa e di mancata tutela delle risorse naturali.

 

Crede che le leadership locali abbiano un deficit di visione sulle rinnovabili? O si deve considerare che la transizione, passando per i negoziati con le lobby delle energie tradizionali, non può non essere di lungo periodo?

Mancano una pianificazione di ampio respiro e la volontà di cambiare lo status quo a livello energetico. Capita spesso che le strategie vengano elaborate e rimangano inattuate per anni. È vero al tempo stesso che il passaggio dalle energie fossili alla decarbonizzazione non può avvenire nottetempo, e c’è bisogno di pensarlo in modo mirato e partecipato. Ma un numero crescente di paesi in Europa ha dimostrato che la via alle rinnovabili è possibile, e che si possono coinvolgere comunità e cittadini di regioni a trazione fossile per realizzare cambiamenti equi e limitarne gli impatti sociali negativi.

Quali sono i paesi dei Balcani occidentali che vantano le migliori pratiche per quanto riguarda le energie pulite?

Difficile dirlo. Tutti sono indietro rispetto agli impegni fissati nell’Energy Community Treaty, per via soprattutto dell’assenza di una legislazione e di un clima favorevoli per gli investimenti. In Albania non ci sono schemi per le rinnovabili, se non per l’idroelettrico, ma il paese è completamente dipendente da esso, oltre a essere vulnerabile ai cambiamenti climatici. In Bosnia Erzegovina non sono previsti incentivi per i produttori di energie verdi, e la quota di eolico è fissata a 350 megawatt fino al 2019, un valore molto conservatore. In Kosovo, secondo le proiezioni, la quota delle rinnovabili sarà inferiore di cinque punti percentuali rispetto agli obiettivi per il 2020. Quella dell’eolico (150 megawatt) è ancora più bassa che in Bosnia Erzegovina. Anche la Macedonia mancherà gli obiettivi per il 2020, con una percentuale che potrebbe persino superare quella del Kosovo. Lo stesso vale per la Serbia, anche se il ritardo dovrebbe essere contenuto (1%). L’unico paese che sembra in grado di rispettare gli impegni è il Montenegro, ma sembra che ciò avverrà in modo “accidentale”, senza una vera progettualità. Il paese ha comunque sia bisogno di diversificare, è oltre modo dipendente dall’idroelettrico, e la siccità degli ultimi anni lo ha reso importatore netto di elettricità.

In che modo i prestatori internazionali possono contribuire al superamento dell’era a carbone?

Le istituzioni finanziarie internazionali, come la Banca europea per gli investimenti (Bei) o la Banca europea per la ricostruzione e per lo sviluppo (Bers), sono impegnate nella riduzione della dipendenza dal carbone e per il sostegno all’efficienza energetica e alle rinnovabili. Eppure, non prestano la massima attenzione alla sostenibilità delle rinnovabili che vanno a finanziare. Per esempio, la Bers è il principale finanziatore dell’idroelettrico nella regione (almeno 51 impianti greenfield per almeno 240 milioni di Euro). Ciò che preoccupa, inoltre, è che in più occasioni le banche hanno approvato prestiti a uno stesso cliente per uno stesso tipo di progetto, anche quando la documentazione evidenziava una debolezza dell’investitore. Quindi la raccomandazione è che c’è da apprendere dagli errori del passato, valutare in modo più articolato l’impatto sociale e ambientale dei progetti, e aumentare il sostegno per l’efficienza energetica residenziale. 


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