Locandina del film Anija

Locandina del film Anija

Il viaggio degli albanesi verso la libertà, verso la democrazia, efficacemente sintetizzato e descritto da due pellicole uscite nel 2012: La nave dolce e Anija – La nave. Due documentari per ripercorrere la storia intrecciata di Albania e Italia. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

09/12/2013 -  Albana Muco

«Libertà, democrazia!» gridava il popolo albanese sceso in piazza contro il regime opprimente durato cinquant’anni, contro la statua del dittatore Enver Hoxha (16.10.1908 – 11.04.1985), facendola cadere a terra, distruggendola.

Quella statua rappresentava tutto ciò che erano stati quegli anni: mania di grandezza e ordine, oppressione, controllo e paura. «Liri, demokraci!», ripeteva il popolo, disordinato e unito, assetato di una vita libera, democratica. Tutte le persone si sentivano importanti per l’affermazione di un cambiamento radicale che lanciasse l’Albania verso una vita migliore, un futuro diverso.

La storia degli albanesi, la loro fuga in cerca della libertà vengono raccontate con efficacia, da due documentari italiani usciti entrambi nel 2012: La nave dolce di Daniele Vicari e Anija – La nave di Roland Sejko.

I due registi realizzano i propri film documentari in maniera veritiera e naturale, affidando il racconto delle vicende storiche e individuali alle persone direttamente coinvolte e alle immagini d’archivio. Il vedere e l’ascoltare, caratteristiche fondamentali del cinema che insieme intensificano l’immedesimarsi, fanno vivere e rivivere emozioni profonde, toccano il cuore e mettono in luce quanto sia potente la speranza, il lottare per qualcosa in cui si crede.

La nave dolce, così chiamata perché usata per il trasporto dello zucchero imbarcato a Cuba, si focalizza sulla vicenda della nave mercantile Vlora – Valona, e di come la folla al porto di Durazzo costrinse il suo capitano a partire in direzione dell’Italia, sui problemi che circa 20.000 persone caricate a bordo si trovano ad affrontare durante il viaggio. Senza le immagini, sarebbe per noi quasi impossibile pensare a un tale numero di persone su di un’unica nave.

La nave dolce, partita verso Brindisi, venne dirottata dalle autorità italiane a Bari, dove arrivò l’8 agosto del 1991. L’enorme carico umano, spogliato di ogni cosa e con addosso solo la speranza nel cambiamento e nell’Italia, venne accolto con incredulità dalle autorità portuali. Le immagini che vengono mostrate sono forti, le parole pronunciate dalla gente lo sono altrettanto, prive dei filtri della finzione. Alcuni chiamano gli albanesi ‘ammassi di formiche’ o ‘grappoli d’uva’. La banchina era stracolma, la città e lo Stato italiano, scossi dall’emergenza, vennero colti impreparati dall’onda di migranti, le cui dimensioni erano imprevedibili.

L’operazione di emergenza, chiamata “Operazione Albanesi”, si fece ancor più grave quando, su decisione dello Stato, si decise di trasferire quelle migliaia di persone allo Stadio della Vittoria. Quel luogo, però, ben presto diventa il loro secondo campo di battaglia. C’è chi comincia a scappare, nascono gli scontri con la polizia, i disagi per la disorganizzazione italiana, alcuni sfiniti da quella sistemazione vogliono tornare liberamente indietro. Alla fine la loro permanenza lì è breve. Gli albanesi vengono rimpatriati e fatti salire sugli aerei con la convinzione che sarebbero stati trasferiti a Roma. Il numero di quelli che riescono a scappare non è certo, si pensa che oscilli dalle 1.500 alle 2.000 persone. Quest’esperienza e questo primo contatto con l’Italia, sofferente e ostile a livello statale in contrapposizione alla solidarietà delle autorità e degli abitanti locali, non fermò le ondate e le partenze nei mesi successivi di altre navi dall’Albania verso il Bel Paese che, ora a causa degli albanesi, subiva un profondo cambiamento: l’Italia non era più il paese d’origine da cui partivano i migranti, ma quello di accoglienza in cui essi arrivavano e versavano le loro speranze.

Anija – La nave di Roland Sejko

Diversamente da Vicari - che si concentra solo sulla storia della nave Vlora – Valona - nella sua opera Anija – La nave Roland Sejko si occupa dei grandi esodi degli albanesi. Un documentario che, attraverso il racconto dei dieci personaggi presenti nel montaggio finale del film e scelti attraverso una lunga selezione in tutta Italia, ci fa vivere e viaggiare in maniera molto fluida e con grande naturalezza in un lasso di tempo che va dalla fine del regime albanese ai giorni d’oggi.

Anche nel documentario di Sejko, il vissuto delle persone viene raccontato e supportato da flash e immagini d’archivio. Il passato si manifesta straordinariamente reale anche a chi non ha vissuto in prima persona quel periodo storico.

L’Albania dell’epoca totalitaria appare in entrambe le sue facce, positive e negative, a iniziare dall’ordine e organizzazione collettiva della vita comunista, al lavoro, alla pulizia delle città e per finire al controllo della vita in tutti i suoi aspetti, all’assenza di libertà personale e intellettuale, alla sottomissione della donna all’uomo e alla “morale” comune e sociale. Ed è la ricerca della libertà che dà vita e coraggio alla folla albanese, costituita da uomini, donne, bambini e bambine, a formarsi e a decidere di scappare dal proprio paese. In un climax temporale e di costruzione della suspense, benché si tratti di documentaristica, vengono presentati gli eventi storici, le storie umane, le scelte coscienti e inconsapevoli che cambiano il destino e la vita delle persone. «No indietro Albania!» diventa una delle frasi-simbolo dell’emergenza vissuta nel ’91 dai migranti albanesi e dagli italiani, ovvero da coloro che vengono accolti e da coloro che accolgono.

Le scene di (ordinaria) violenza in cui i migranti, rinchiusi in condizioni drammatiche nello stadio di Bari, vengono picchiati quando si ribellano alla polizia, sono immagini della storia ma non sono troppo lontane dal presente, e soprattutto ci fanno capire quanto sia delicata la posizione geografica italiana e quanto ancora lo Stato italiano debba lavorare nella prospettiva dell’accoglienza.

In pochi anni, l’Albania è passata da un sistema dittatoriale a un altro libero e democratico, con molte speranze ma anche mancanze e difficoltà. Nei primissimi anni di democrazia, il passaggio dall’economia comune a quella privata ha inciso maggiormente sulla povertà della società albanese a causa del fallimento delle cosiddette “firme piramidali” avvenuto nel gennaio del ‘97. A Tirana, Durazzo, Valona, Elbasan ed altre città scoppiarono rivolte e proteste contro il governo e la mancanza di tutele verso la popolazione.

Di fronte alla critica situazione politica e sociale, anche nel ’97 gli albanesi decisero di migrare. La nave, il mezzo per eccellenza degli esodi, diventò in questo modo protagonista agli occhi degli italiani insieme ai viaggi della speranza degli albanesi, le loro sorti sono accomunate nella gioia e nel dolore.

Kater i Radës

Il simbolo di questa unione diventò la nave Kater i Radës, partita da Valona nel marzo del ‘97 e mai arrivata sulla costa italiana. Affondò causando la morte di un centinaio di persone dopo la collisione con la corvetta italiana di pattugliamento chiamata Sibilla. Gli occhi di chi racconta le vicende e soprattutto le immagini consegnate alla memoria dai mezzi di informazione, sono ancora toccanti, impressionanti, e comunicano con forza espressiva che la tenacia, l’autodeterminazione, la libertà, la speranza, la solidarietà, l’umanità sono valori vitali e sociali per i quali vale la pena vivere e combattere.

Oggi l’Albania sta vivendo un’altra fase della sua storia moderna. È un paese che sta andando verso l’integrazione europea. Dal suo recente passato deve riuscire a prendere come esempio di evoluzione e crescita non solo i lati positivi, ma anche quelli negativi. Anche l’Italia può fare lo stesso e soprattutto deve acquisire la consapevolezza che lo straniero è parte integrante della società. Devono essere capite non solo le ragioni storiche, economiche e/o sociali di chi sceglie di migrare, ma anche la loro storia intima e umana, i desideri e le speranze. Solamente dalla comprensione e accettazione reciproca nasce la ricchezza in tutte le sue sfaccettature.

La nave dolce e Anija – La nave, opere cinematografiche speculari, entrambi di valore storico, sociale e umano, non hanno in comune solamente la presenza di Eva Karafili (testimone in entrambe le pellicole) e le storie di tanti albanesi che, a diverso titolo, raccontano alla macchina da presa la loro esperienza, ma si uniscono nel vortice dei ricordi, delle emozioni, di realtà e di vite diverse, dell’integrazione e delle nuove identità condivise o in via di sviluppo diventando sub-storie di un’unica, drammatica, energica, istintiva, impetuosa, piccola ma allo stesso tempo grande storia: il viaggio degli albanesi verso la libertà, verso la democrazia.


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