Alan Gagloev (foto Caucasian Knot)

Alan Gagloev (foto Caucasian Knot )

L'8 maggio scorso si è tenuto il ballottaggio per le presidenziali in Ossezia del Sud, elezioni non riconosciute dalla Georgia e dalla comunità internazionale. Il nuovo presidente sarà Alan Gagloev, leader dell'opposizione, un neofita della politica, uscito dalle fila del KGB locale

17/05/2022 -  Marilisa Lorusso

Dopo il primo turno

Secondo i dati diffusi il 14 aprile dalla Commissione elettorale centrale (CEC) il candidato dell'opposizione e leader del partito Nykhas Alan Gagloev ha ottenuto il 38,55% dei voti al primo turno. È stato seguito dal presidente de facto Anatoly Bibilov (34,95%), dal deputato Alexandr Pliev (12,37%), dal deputato Garry Muldarov (9,33%) e dall'ex parlamentare Dmitry Tasoev (2,96%). L'affluenza è stata del 73,97%. Secondo la presidente della Commissione elettorale centrale (CEC) Emilia Gagiyeva, Alan Gagloev e Anatoly Bibilov andavano al ballottaggio che avrebbe dovuto tenersi "non oltre 15 giorni dopo l'annuncio dei risultati finali".

Normalmente, infatti, il secondo turno si tiene a due settimane dal primo, ma quest'anno sarebbe caduto il 24 aprile, Pasqua ortodossa. Per cui la CEC l’ha spostato a giovedì 28 aprile, cioè entro le due settimane dalla proclamazione dei risultati, evitando così la domenica seguente, che era il Primo Maggio. Contro questa data hanno presentato ricorso degli elettori, e si è espressa la Corte Suprema locale ritenendo iniquo far votare un solo giorno lavorativo. La data è stata quindi spostata quando ormai le schede elettorali erano già state stampate, ed è stata posticipata all’8 maggio, in violazione della legge elettorale.

Dal primo turno al secondo è trascorso quindi quasi un mese, durante il quale Bibilov, il presidente de facto uscente, sostenuto da Mosca, ha giocato le sue ultime carte: un nuovo viaggio a Mosca, e i faccia a faccia con il candidato dell’opposizione. Nei faccia a faccia non si è escluso nulla, dall’invito all’uso della macchina della verità all’equipe medica per verificare l’uso di stupefacenti.

Un mese di guerra

L’intero periodo dal 10 aprile all’8 maggio è scorso mentre infuria una guerra che ha ucciso più di 50 soldati ossetini combattenti a fianco dei russi. Sia prima del voto di aprile che prima del voto di maggio sono emerse testimonianze cospicue della grande frustrazione di chi va al fronte . A inizio aprile erano stati 300 i soldati ossetini tornati a piedi, in autostop dalla guerra, che avevano lamentato l’assenza del più elementare coordinamento con i comandi russi, e anche di equipaggiamento, inclusi elmetti e giubbotti antiproiettile. E, non ultimo, manco le sigarette.

A inizio maggio Mediazona , che non può più trasmettere il Russia dal 6 marzo, ha ottenuto e diffuso una trascrizione della conversazione fra Bibilov e i soldati che si sono rifiutati di combattere. I soldati riportano testimonianze drammatiche dal fronte: armi che non funzionano, dalle pistole ai carri armati, personale medico esposto al fronte, l’assenza di supporto logistico, feriti abbandonati a loro stessi in ospedale a Donetsk. Ed echeggia la scarsa motivazione: “Ognuno di noi non è andato lì per difendere la nostra patria, la nostra patria è qui. Perché siamo stati presi e mandati lì, così tante persone del secondo battaglione? Come mai? Riteniamo che questo sia sbagliato.” Su questo punto Bibilov è stato duramente contestato. Il dispiegamento di numeri consistenti di soldati ossetini nell’area del conflitto non è stato accolto positivamente, sia per questioni di percepita sicurezza locale, sia per le esperienze negative di chi è al fronte. Ma la mobilitazione in Ossezia è inevitabile, la dipendenza dalla Russia decisamente troppo spiccata perché ci si possa sottrarre dall’invio di uomini e armi.

La fine del mandato e forse dell’Ossezia del Sud

Durante la conversazione riportata da Mediazona è emerso il nome di Inal Dzhabiev, ossetino morto nel 2020 per cause sospette, probabilmente torturato a morte durante la detenzione. Il caso Dzhabiev ha lasciato un segno nell’opinione pubblica. La presidenza Bibilov non è gradita per vari motivi, e la repressione e la violenza sono uno di questi. Ma ci sono vari capitoli aperti che hanno fatto sì che la sua candidatura di ferro non reggesse: la questione della demarcazione dei territori con la Georgia, il sospetto che abbia tentato di uccidere l’ex ministro degli Interni, l’esclusione e poi la rimozione di quello della Difesa dalla corsa elettorale, la corruzione e il contrabbando. Insomma, al secondo turno è emerso il voto di protesta verso l’amministrazione uscente, nonostante abbia promesso un nuovo periodo di pace e prosperità soprattutto per mezzo dell’annessione alla Russia.

Il conteggio finale dei voti ha consegnato il 54% delle preferenze a Gagloev, neofita della politica, uscito dalle fila del KGB locale. Gagloev si è espresso per il ritorno della legalità, ma già il primo banco di prova è prossimo. Bisognerà vedere se non interverrà dalla poltrona presidenziale per influenzare il processo che vede come imputato suo fratello, accusato di triplice omicidio.

Bibilov ha riconosciuto la sconfitta, mentre V. Putin ha inviato le proprie congratulazioni a Gagloev. Quest'ultimo ha firmato a favore del referendum di annessione alla Russia anche se non ne è un fervente promotore.

È dello stesso avviso Leonid Kalashnikov, a Capo della Commissione della Duma per la Comunità degli Stati Indipendenti, dell’Integrazione Eurasiatica e delle Relazioni con i Compatrioti che così si era espresso : “Per quanto riguarda il referendum, spetta a loro decidere. Allo stesso tempo penso che, a differenza di Bibilov, Gagloev ora aspetterà. Sì, ha annunciato di essere pronto a tenere un referendum del genere, ma la questione dipende in misura maggiore dalla Russia, da quanto Russia e Bielorussia sono pronte ad espandere lo Stato Unito.” In realtà la Bielorussia non ha mai riconosciuto Abkhazia e Ossezia del Sud, quindi l’ipotesi dell'espansione dello Stato Unito è ancora più macchinosa che quella del duplice referendum.

Bibilov, però, non ha mancato di affondare un’ultima zampata: il 13 maggio il presidente uscente, senza essersi coordinato con l’amministrazione che gli subentrerà, ha firmato un decreto che fissa al 17 luglio la data del referendum che porrebbe fine alla de facto esistenza dell’Ossezia del Sud, territorio de jure parte della Georgia, ma completamente dipendente dalla Russia e suo avamposto militare nel Caucaso del Sud. Non è chiaro se questo referendum farà la fine dei referendum del 1992 e del 2014 , quando non hanno comportato l’effettiva annessione alla Russia perché Mosca aveva ritenuto l’annessione non utile. Impossibile stabilirlo ora, perché non c'è trasparenza nei processi decisionali di Mosca e la guerra ha degli elementi di imprevedibilità che non consentono di profetare se le valutazioni compiute oggi avranno valore fra due mesi.

Chiara invece la posizione georgiana : nessuna legittimità per il primo turno, per il secondo e per tutto il processo elettorale, come “azione che contraddice i principi e le norme fondamentali del diritto internazionale e viola palesemente la sovranità e l'integrità territoriale della Georgia all'interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti”. E altrettanto per un eventuale referendum. Stessa posizione per l’intera comunità internazionale, con l’eccezione dei paesi che oltre alla Russia riconoscono l’Ossezia del Sud cioè Venezuela, Siria, Nicaragua e Nauru, oltre a Abkhazia, Artsakh, Repubblica popolare di Donetsk, Repubblica popolare di Luhansk, Repubblica democratica araba Saharawi e Transnistria, a loro volta paesi de facto largamente non riconosciuti.


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