Muhamed Gafić

Muhamed Gafić

Muhamed Gafić è uno dei più famosi alpinisti bosniaci di tutti i tempi. Ed è dalla montagna della Romaniija, vicino a Sarajevo, che è partito il suo lungo viaggio. Un'intervista

03/10/2011 -  Massimo Moratti Sarajevo

Muhamed ci accoglie nella sua casa di Bistrik, uno dei quartieri storici di Sarajevo. La casa è arroccata in una delle strettissime e ripidissime vie della città, il miglior biglietto da visita per il personaggio che andiamo ad incontrare.

Muhamed Gafić è uno dei più famosi alpinisti bosniaci di tutti i tempi e al momento è il direttore della Scuola di Alpinismo di Sarajevo. La sua esperienza si intreccia con quella delle più importanti conquiste dell’alpinismo bosniaco, dal Prenj alle Alpi, Cervino, Monte Bianco, Caucaso, Mc Kinley, Tien Shan, Pamir, Gasherbrum e per finire con le spedizioni sull’Everest fino alla sella nord a più di 7.000 metri.

Con i modi raffinati di un gentiluomo delle vette, ”Gafa”, così viene chiamato, ci racconta la storia della Romanija e di come generazioni di alpinisti si siano formate su quelle rocce per poi lanciarsi verso traguardi più ambiziosi e di maggior portata.

La chiacchierata con Gafa è una passeggiata nella storia dell’alpinismo bosniaco, a ricordare che la Bosnia Erzegovina è terra di alpinisti ed arrampicatori che poco a poco, a prezzo di sacrifici e mancanza di sostegno, cercano di riportare l’alpinismo locale a livelli comparabili con quelli anteguerra.

Uno di questi sforzi è per l’appunto la Scuola di Alpinismo di Sarajevo, che in realtà rappresenta il corso di alpinismo principale organizzato dalla Planinarski Savez BIH, il corrispondente del nostro CAI in Bosnia Erzegovina. I primi corsi sono iniziati nel lontano 1972 e a tenerli è stato per lunghissimo tempo Rašid Mulahusić "Mišo", e da quattro anni a questa parte, Muhamed Gafić ne è diventato il direttore.

Foto di Fedja Vilic

Gafa, ci racconti un po’ la storia della Romanija?

La Romanija è particolarmente importante. Sulla sua parete sud infatti si trova una zona di arrampicata che potremmo definire storica per l’alpinismo bosniaco. Le prime ascese alpinistiche in Bosnia furono fatte proprio sulla Romanija nel 1929 quando Vojo Ilić e Drago Šefer pionieri dell’alpinismo bosniaco, salirono una delle prime vie. Non ne rimase però traccia scritta.

Dopo di loro una pleiade di alpinisti si sono cimentati sulle pareti della Romanija. Tra di loro, nominerei Drago Entraut, Muhamed Buturović e Faruk Zahirović che con la sua “Eleganti” ha probabilmente aperto una delle vie più difficili del tempo. Una via che anche oggi molti arrampicatori sportivi hanno paura a ripetere, appunto per la difficoltà nel mettere le protezioni.

E poi Naim Logić, Mukrim Sisić, Milan Gvozderac, Mehmed Pijanić, Alija Vatrenjak, Slobodan Zalica, Edin Durmo, Jure Milijak e molti altri che in tempi più recenti, prima dell’ultimo conflitto, hanno dato un grande impulso all’arrampicata tradizionale e sportiva sulla Romanija.

Poi, vorrei menzionare la via “Zijina Ljuska”, che fu aperta nel 1969 da parte di Zija Jajatović e Rašid Mulahusić, via che per me ha un’importanza particolare, dato che Zijah Jajatović era il mio istruttore di alpinismo e perì nella tragedia del Lupoglav nel 1970 assieme a Ilija Dilber e Milorad Stjepanović, due alpinisti di Zenica.

E le tue vie?

Beh, a parte Sunčani Stup, una via di 70 metri sul VI inferiore, che ho aperto nel 1987, mi piace ricordare le via “Praznički”, anche questa un sesto inferiore che aprii nel 1982 con Branislav Jovanović e che a tutt’oggi non è stata ancora ripetuta. Oltre a ciò, ho ripetuto numerose vie classiche in solitaria quale la “Centralni Smjer”, “Okomiti”, il “Zub”, il “Kamin”…

Arrampicando in solitaria ho sviluppato la sicurezza in me stesso, al punto che poi in cordata arrampicavo meglio da primo che da secondo. Ho iniziato anch’io sul Prenj e la Romanija e poi già a 23 anni nel 1971 ero sul Cervino e dal 1974 partecipavo alle selezioni per le spedizioni jugoslave nel Caucaso, e da lì è partito tutto….

Cosa ha rappresentato la Romanija per voi?

Per noi la Romanija, ha avuto una grandissima importanza come terreno per la preparazione alpinistica non solo degli scalatori della Bosnia Erzegovina, ma anche di altre parti della Jugoslavia, dato che qui venivano a impratichirsi anche scalatori dalla Vojvodina per prepararsi alle spedizioni.

Da qui, gli alpinisti bosniaci hanno preso il volo per montagne importanti come il Cervino, le Grandes Jorasses, il Monte Bianco du Tacul… E in questo contesto, il rifugio Slaviša Vajner Čiča era un posto speciale per tutti noi. A quel rifugio sono legati i nostri migliori ricordi… là si dormiva, ci si allenava a fare i nodi, si tenevano i corsi di alpinismo, ci si riuniva con gli amici e oltre a noi alpinisti, c’era una moltitudine di persone che venivano a darci una mano, a portare cibo, materiale e a passare bei momenti con noi.

Un vero peccato che sia andato distrutto, soprattutto che sia stato distrutto senza alcun motivo. Dopo la guerra comunque abbiamo ripreso ad andare sulla Romanija: usiamo come base la vikendica (casa per il week end) di un nostro amico, oppure dormiamo in tenda e riusciamo comunque a tenere parte del corso sulle rocce della Romanija, almeno per coprire alcuni aspetti essenziali del corso.

E il rapporto con l’arrampicata sportiva?

Parte della Romanija è stato attrezzato per l’arrampicata sportiva da arrampicatori come Edin Durmo e di recente alcuni arrampicatori come Paolo Pezzolato e Roberto Ferrante hanno richiodato alcune vie e aperto delle nuove vie di notevole difficoltà.

Ma va detto che il rapporto tra arrampicata sportiva e alpinismo tradizionale è sempre interessante…. Da un lato, l’arrampicata sportiva rappresenta un ottimo allenamento per l’alpinismo vero e proprio, ma dall’altro lato, mi sembra una versione quasi impoverita dell’alpinismo tradizionale che perde quella dimensione artistica che l’alpinismo ha… insomma gli arrampicatori sportivi di oggi vogliono fare l’avvicinamento in auto, arrampicare un’ora o due e poi tornare al bar con gli amici…. A loro non piace avvicinarsi alla roccia, piantare i chiodi, servirsene, rifuggono dalla dimensione più piena e tradizionale dell’alpinismo.

Detto ciò il rapporto tra arrampicata sportiva ed alpinismo sta cambiando in un modo decisamente interessante. Gli arrampicatori sportivi sono spinti dallo spirito di competizione, vogliono essere i primi, ma c’è un solo vincitore, un solo campione e allora chi non vince, comunque alpinisti d’eccellenza, ritornano all’alpinismo tradizionale ed innalzano il grado di difficoltà, fornendo delle prestazioni decisamente di rilievo.

Questo sta accadendo anche adesso con i nostri giovani alpinisti, che partiti dall’arrampicata sportiva stanno pian piano ritornando all’alpinismo tradizionale e alle spedizioni classiche, tra di essi mi piace menzionare Fedja Vilić, Armin “Mučak" Gazić e Salih Mulaosmanović, che continua la grande tradizione alpinistica della famiglia.

Cosa ti ha dato l’alpinismo, dopo una vita dedicata ad arrampicare?

L’alpinismo mi ha aiutato a sviluppare la fiducia in me stesso e mi ha aiutato a capire cosa so e cosa non so di me stesso. Grazie al sostegno di mia moglie, ho capito che dovevo ancora studiare e l’alpinismo mi ha aiutato a finire gli studi. L’alpinismo mi ha anche dato la resistenza necessaria a superare prove particolarmente difficili come la guerra e a ritrovare la vitalità e lo spirito una volta finita. In tempi particolarmente difficili come quelli che abbiamo vissuto, l’alpinismo è stato per me di grande sostegno e mi ha aiutato a ripartire.

Suonano alla porta, sono arrivati i ćevapi, dopo quasi due ore di conversazione ci è venuta fame e Gafa da bravo domaćin si fa in quattro per far sentire l’ospite a suo agio…


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