Emin (Milli) Abdullayev e Adnan Hajizade

Emin (Milli) Abdullayev e Adnan Hajizade (twitpic/@leylanajafli )

Emin e Adnan erano stati arrestati a Baku, Azerbaijan, nel luglio 2009, con dure reazioni di organizzazioni locali e internazionali. Secondo i documenti pubblicati da Wikileaks, la leadership USA avrebbe chiesto per loro al presidente dell'Azerbaijan un “rilascio senza clamore”

15/12/2010 -  Arzu Geybullayeva Baku

Il minuscolo appartamento nel centro di Baku, capitale dell'Azerbaijan, era molto affollato quella sera. Era passato molto tempo da quando fra quelle mura erano risuonate gioia e risate. Ma quella notte c'era nuovamente un motivo per festeggiare. Emin (Milli) Abdullayev e Adnan Hajizade erano di nuovo liberi.

Un anno fa

Emin Milli, 32 anni, cofondatore del network giovanile AN, e Adnan Hajizade, 27 anni, cofondatore di OL! (“essere”), furono arrestati con accuse di teppismo e lesioni personali e condannati rispettivamente a due anni e sei mesi e due anni, l'undici novembre 2009. I due erano stati arrestati quattro mesi prima con l'accusa di aver scatenato una rissa in un ristorante di Baku. L'arresto era stato duramente criticato da organizzazioni locali e internazionali. Secondo gli osservatori indipendenti per i diritti umani, nel paese e all'estero, si trattava di un'altra violazione della libertà di espressione da parte delle autorità azere.

Il rilascio anticipato

Paradossalmente ha fatto ancor più scalpore, il 18 novembre 2010, la liberazione di Adnan Hajizade in seguito ad una decisione della Corte d'appello di Baku. Adnan era in libertà vigilata dopo aver scontato oltre la metà (17 mesi) della sua pena. Se né lui né Emin avrebbero dovuto essere arrestati, la notizia del rilascio è stata la migliore possibile, soprattutto in un momento in cui il Paese aveva vissuto l'ennesima tornata elettorale non democratica, tenutasi il 7 novembre.

“È stato completamente inaspettato per me […] Non riuscivo a crederci quando ho sentito [la decisione] della Corte. Negli ultimi 17 mesi ho avuto 12 udienze […] nessuna delle quali ha preso decisioni giuste […] ecco perché quando ho sentito questa sono stato felice. Ho perfino pensato ci fosse un errore […]”. Questi i primi commenti di Adnan in un'intervista a cinque ore dal rilascio.

Il giorno dopo, il 19 novembre, amici e sostenitori hanno ricevuto un'altra buona notizia: Emin Milli era stato rilasciato con simili motivazioni dalla Corte distrettuale di Salyan. Ora finalmente liberi, i due attivisti dovranno ogni mese rendere conto in merito alla loro residenza. Entrambi comunque rivendicano la propria innocenza e la piena legittimità della propria liberazione. “Non ho commesso nessun crimine e ho diritto alla libertà. Voglio giustizia”, ha dichiarato Adnan intervistato fuori dal tribunale il giorno del rilascio. “[La nostra condanna] è stata una decisione ingiusta e ancora oggi fatico a comprenderne la logica. È stato semplicemente ingiusto”, ha aggiuntoo Emin in un video reportage  realizzato a casa sua.

Nonostante tutto, entrambi sperano di portare avanti il proprio lavoro pacifista (educazione alla pace, organizzazione di seminari e conferenze, educazione dei giovani) e continuano ad esprimere la propria opinione. “La vita continua. Dopo questo [arresto] il nostro lavoro continuerà, il nostro cammino andrà avanti. E credo che solo il tempo potrà mostrare cosa succederà realmente” ha affermato Emin in una sua intervista  alla stazione locale di Radio Free Europe, il giorno del rilascio. Analogamente, anche Adnan dice che continuerà nel suo lavoro. “Sono sempre Adnan e non sono cambiato. Ho sempre rispettato la dignità delle altre persone e le leggi, scritte e non scritte”.

Forse più dei loro amici, sono stati i genitori di Emin e Adnan a vivere intensamente la vicenda. Dopo aver perso il marito solo pochi mesi fa, Natella, la madre di Emin, non riusciva a credere alla notizia. In un video  pubblicato sul sito della stazione locale di Radio Free Europe Liberty, non riesce a nascondere la gioia. Lo stesso vale per i genitori di Adnan. “Viva la democrazia, abbasso la dittatura! Viva la Repubblica! Libertà per i giornalisti! Sono felice, sento che il nostro incubo, la nostra tragedia è finita, ma non ho idea di cosa succederà ora […] È stata dura per la nostra famiglia, mia moglie era sconvolta” sono state le parole di Hikmet Hajizada, padre di Adnan, quando ha incontrato i giornalisti alla festa per il rilascio del figlio.

Belle speranze

Se il rilascio di Emin e Adnan è uno sviluppo certamente positivo della vicenda che li ha visti coinvolti, il regime autoritario rimane forte nel paese, insieme al suo stretto controllo sulla libertà d'espressione. Un altro giornalista e direttore di un giornale locale, Eynulla Fatullayev, rimane in carcere nonostante una sentenza della Corte europea per i diritti umani abbia stabilito la necessità del suo rilascio. Analogamente, Emin e Adnan attendono la risoluzione della stessa Corte. “Abbiamo finito con i tribunali qui, ora aspettiamo la decisione della Corte europea. Chiunque sogna di provare la propria innocenza e dimostrarla al mondo intero”, ha detto Emin Milli in un'altra intervista.

È ancora da vedere se Eynulla Fatullayev verrà rilasciato prima del previsto e rimangono dubbi sulla sincerità delle autorità azere nel recente rilascio dei giovani attivisti, anche perché è avvenuto solo dopo molte pressioni internazionali. A parte le pubbliche dichiarazioni di preoccupazione per l'arresto dei due blogger da parte di diplomatici stranieri e perfino del Parlamento europeo, i dispacci recentemente pubblicati da Wikileaks riportano espliciti inviti dei diplomatici USA a “rilasciare senza troppo clamore” Emin e Adnan per ragioni umanitarie. Secondo le rivelazioni, dichiarate false dai funzionari di Baku, il presidente Aliyev avrebbe implicitamente "confessato" il suo coinvolgimento nel caso, dicendo che non aveva "intenzione di far male a nessuno" e autorizzando il rilascio dei due detenuti. Che le cose siano andate come descritto nei file di Wikileaks o meno, è chiaro che c'è ancora molto da fare in Azerbaijan prima che si possa dire che ci sia vera libertà d'espressione.


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