Centro culturale Heydar Aliyev a Baku

Centro culturale Heydar Aliyev a Baku (Francisco Anzola/flickr)

Estensione della durata del mandato presidenziale ed eleggibilità a presidente fin dai 18 anni. In Azerbaijan il regime si rafforza

30/08/2016 -  Arzu Geybullayeva

Il prossimo 26 settembre 5 milioni di azeri andranno alle urne per un referendum. Sarà il terzo referendum costituzionale nella breve storia indipendente di questo paese. E come accaduto nei due precedenti, anche in questo caso molti dei quesiti referendari sono controversi.

Nel referendum del 2009 venne rimosso il limite al numero di mandati presidenziali. Ora, in quello del 2016, si propone agli elettori di estendere la durata del mandato dai 5 anni attuali a 7. E' previsto inoltre l'inserimento di una clausola molto controversa che abbassa l'età di eleggibilità sia per il parlamento che alla presidenza.

Il voto referendario avviene nel pieno della crisi economica e con, a breve, una possibile terza svalutazione della moneta nazionale.

Numero 3

Poco prima della sua morte, l'allora presidente Heydar Aliyev (padre del presidente attuale Ilham Aliyev) introdusse, nel 2002, una serie di emendamenti costituzionali. Il più rilevante fu il trasferimento, nel caso di impossibilità ad esercitarle, delle funzioni di presidenza al primo ministro, carica non a caso occupata di lì a poco proprio dal figlio.

Tra le altre misure introdotte allora, anche l'abolizione del sistema elettorale proporzionale, la riduzione a semplice maggioranza dei voti necessari per l'elezione alla carica presidenziale e l'attribuzione ai tribunali ordinari – prima era competenza esclusiva della corte costituzionale – della possibilità di escludere dalla partita elettorale determinati partiti. Tutte le proposte passarono al referendum con un 97% dei voti a favore e molti contestarono la legalità del voto. “I rapporti dei nostri osservatori parlano di voto multiplo, ampia presenza della polizia, pressione sui votanti, liste elettorali parallele e altre modalità per condizionare il voto”, sottolineò allora l'OSCE.

Sette anni dopo, nel 2009, sempre per via referendaria Ilham Aliyev (arrivato al potere nel 2003 in elezioni che gli osservatori internazionali hanno ampiamente criticato) abolì il limite preesistente a due mandati presidenziali consecutivi.

A distanza di altri sette anni, Aliyev desidera cambiare ancora. Aumentare da 5 a 7 anni il mandato presidenziale non è il solo cambiamento proposto. Vengono infatti introdotte anche alcune altre modifiche alla legislazione vigente.

Innanzitutto si propone l'inserimento di due nuove cariche istituzionali, quelle di “Primo vice-presidente” e quella dei “Vicepresidenti”. Tocca al “Primo vice-presidente” di sostituire il Presidente nel caso quest'ultimo fosse impossibilitato ad esercitare le proprie funzioni. Prima, a seguito della riforma del 2002, questo ruolo spettava al primo ministro.

La proposta di riforma prevede anche che i vice-presidenti siano designati direttamente dal presidente e che godano di immunità per tutta la durata del loro mandato. Il primo ministro invece necessita di un voto parlamentare per entrare in carica. Nel caso il “Primo vice-presidente” non riuscisse ad esercitare i poteri a lui conferiti ecco che entrerebbe in carica il primo ministro.

Un altro emendamento alla legislazione attuale prevede l'assegnazione al presidente del potere di sciogliere il parlamento e indire elezioni anticipate. Previsto anche il passaggio da 25 a 18 anni come età minima per essere eletti in parlamento e l'abolizione di un'età minima per quanto riguarda l'elezione alla carica presidenziale. Finora, per essere eletti alla presidenza, si doveva aver compiuto almeno i 35 anni.

Secondo il Centro studi sul monitoraggio elettorale e sulla democrazia gli emendamenti proposti “rimuovono inoltre ogni garanzia sui diritti di proprietà nel paese, già molto fragili. Nuovi emendamenti sanciscono delle responsabilità sociali per la proprietà privata e lo stato può limitare diritti di proprietà 'per favorire la giustizia sociale e l'uso efficiente del territorio' ”.

Il dibattito

Il dibattito una volta resi pubblici i quesiti referendari è stato acceso. Igbal Agazade, ex parlamentare e capo del partito politico “Speranza” ha affermato che non vi è nulla di positivo in quanto proposto: “Questo referendum non fa che rafforzare l'istituzione presidenziale a scapito di tutte le altre”.

L'ex prigioniero politico Anar Mammadov, direttore del Centro studi sul monitoraggio e la democrazia, ha sottolineato che l'emendamento alla durata del mandato presidenziale infrange i principi internazionali in particolare perché l'Azerbaijan è già una repubblica presidenziale. “Aumentare i poteri presidenziali in un paese che è già governato da un presidente non fa che rafforzare la sua egemonia. In generale aumentare il mandato a sette anni non può che essere letto come un rafforzare l'autoritarismo”, ha sottolineato il ricercatore.

I sostenitori dell'attuale governo non sono però d'accordo. Safa Mirzayev, presidente del parlamento, ha chiarito che non vi era tempo a sufficienza per affrontare tutte le sfide durante l'attuale mandato presidenziale: “Le sfide da affrontare attualmente sono molte […] ci sono così tante cose da fare che 3, 4 o 5 anni non sono sufficienti […] ed è per questo che dobbiamo estendere il mandato presidenziale”.

In modo simile Siyavush Novruzov, vice-segretario del partito al potere, Nuovo Azerbaijan, ha dichiarato che, dato che il paese doveva andare ad elezioni per tre anni di seguito (presidenziali, politiche e locali) e dato che serve del tempo per prepararsi ad ogni elezione, era necessario allungare il mandato presidenziale.

Forse però il miglior commento da parte governativa è arrivato da Ali Ahmadov, assistente del primo ministro e segretario del partito Nuovo Azerbaijan. Quest'ultimo ha infatti scomodato grandi leader del passato. “Mi ricordo di Alessandro Magno, di Shah Ismayil Khatai e Napoleone. Tutti e tre sono arrivati al potere molto giovani ed hanno ottenuto grandi cose. Shah Ismayil aveva 14 anni, Alessandro Magno 20 e Napoleone pochi anni di più. E' impossibile pensare alla storia dell'umanità senza di loro”. “Ecco perché” ha chiarito “non vedo niente di negativo all'abbassare a 18 anni l'età in cui si possa essere eletti presidenti”.

Boicottaggio

Nel frattempo l'opposizione in Azerbaijan ha deciso di boicottare il referendum. Alternativa Repubblicana (ReAL) ha dichiarato che non parteciperà alla tornata referendaria come conseguenza delle pressioni governative nei loro confronti. Lo scorso 12 agosto, uno dei fondatori del movimento e uno degli economisti più competenti del paese, Natig Jafarli, è stato arrestato e condannato a 4 mesi di detenzione provvisoria con l'accusa di malversazioni e abuso d'ufficio. Il segretario di Alternativa Repubblicana, Ilgar Mammadov, è invece in carcere dal febbraio 2013. Mammadov venne arrestato durante alcune proteste anti-governative nella regione di Ismayilli. E' stato condannato a sette anni di detenzione nel marzo 2014 accusato di aver organizzato disordini di massa e di resistenza a pubblico, accuse che molti osservatori internazionali hanno definito infondate e false.

Il 27 agosto scorso un altro partito dell'opposizione, il Musavat, ha preso posizione contro il referendum. Ari Hajili, a capo del Musavat, ha dichiarato che “le autorità hanno dimostrato di voler tenere questo referendum nella segretezza, come si trattasse di una ruberia. Ma non ci silenzieranno. Raddoppieremo i nostri sforzi con manifestazioni e osservazione elettorale [durante il voto referendario].

Questo però potrà avvenire se rimarranno degli oppositori all'attuale governo in libertà. A settimane dalla data del referendum il governo azero ha avviato infatti una nuova ondata di repressione. Oltre al già citato arresto del membro di Alternativa Repubblicana Natig Jafarli, sono stati arrestati – e poi rilasciati – vari attivisti dell'ong N!DA .

Tra gli arrestati Elgiz Gahraman, membro di N!DA, fermato il 13 agosto e condannato a 4 mesi di detenzione provvisoria con l'accusa di possesso di sostanze stupefacenti; Fuad Ahmadli, arrestato il 18 agosto, membro del partito d'opposizione Fronte Popolare accusato di abuso d'ufficio e messo in detenzione provvisoria, senza la possibilità di ricevere visite dalla famiglia e ricevere telefonate. Un altro membro del Fronte Popolare, Gadim Bakirov, è stato arrestato il 18 agosto e condannato a 25 giorni di detenzione amministrativa. Il 24 agosto è stata poi la volta del veterano della guerra in Nagorno Karabakh e membro anch'egli del Fronte Popolare Ismayil Rasulov, condannato a 30 giorni di detenzione amministrativa con l'accusa di resistenza a pubblico ufficiale. E anche altri sono attualmente in detenzione, nell'attesa che i loro casi vengano esaminati.

Crociata contro Gülen

Nel frattempo, a seguito del colpo di stato in Turchia, il governo ha annunciato di aver deciso di schedare tutti i sostenitori del movimento guidato dall'Imam turco Fetüllah Gülen presenti in Azerbaijan e la magistratura ha avviato indagini nel paese sulla promozione dell'organizzazione religiosa “Hizmet”, che fa capo a Gülen.

Alcune delle persone sopra citate sono state accusate in passato di legami proprio con Hizmet e la polizia aveva dichiarato di aver trovato in loro possesso libri contenenti gli insegnamenti di Gülen.

Nel frattempo il governo ha trasferito la gestione della Caucasus University, la prima università privata del paese fondata dai sostenitori di Gülen, all'Azienda petrolifera nazionale (Socar). Nel 2014 l'Azerbaijan, similmente, aveva chiuso 13 centri giovanili e 11 scuole superiori collegate al predicatore turco, dopo la rottura tra quest'ultimo e l'allora primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan.

Oltre a reprimere i seguaci di Gülen e chiudere le sue scuole è stato chiuso anche Zaman Azerbaijan, quotidiano legato a Gülen e Azerbaijan News Service (ANS), chiuso dopo aver pubblicato un'intervista al predicatore turco attualmente negli Stati uniti.

Futuro

La nuova ondata di repressione lascia la debole società civile dell'Azerbaijan ad interrogarsi su cosa ne sarà del futuro democratico del paese.

Nonostante il governo abbia graziato, nel marzo scorso, una serie di noti prigionieri politici, la lista di chi è ancora detenuto per aver espresso opinioni dissenzienti a quelle del governo rimane lunga ed il futuro di quelli liberati rimane incerto.

La speranza per un futuro migliore è flebile mentre l'élite al potere spinge il paese verso acque dove la tempesta è imminente.


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