Dubravka Ugrešić

Dubravka Ugrešić

La nota scrittrice, da anni residente ad Amsterdam, in questa intervista parla dello stato della cultura in Croazia e i cambiamenti che si sono verificati nel suo paese d'origine negli ultimi venticinque anni

28/06/2016 -  Dragan Grozdanić

(Originariamente pubblicato da Novosti , il 13 giugno 2016. Titolo originale: Dubravka Ugrešić: Hrvatska po modelu NDH )

Dubravka Ugrešić, che nei primi anni Novanta lasciò la Croazia su pressioni nazionaliste, recentemente si è trovata tra gli autori bollati dall’associazione U ime obitelji (Nel nome della famiglia) come inadatti ad essere studiati nelle scuole croate. Prendendo spunto da questa vicenda, abbiamo interpellato la scrittrice che dalla sua dimora di Amsterdam segue attentamente quanto avviene in Croazia, commentando il posto (non) riservatole nella cultura croata, le recenti manifestazioni contro gli ostacoli frapposti alla riforma curriculare, il persistere della crisi politica nonché del revisionismo storico...

Come ha vissuto la recente manifestazione di massa a sostegno della riforma curriculare?

L’ho seguita con grande entusiasmo. Penso che il sistema educativo croato, così come è oggi, soprattutto per quanto riguarda l’ambito umanistico, la storia, la lingua e letteratura nazionale nonché l’introduzione dell’insegnamento religioso nella scuola pubblica, sia uno dei più grandi crimini commessi da queste parti negli ultimi venticinque anni, dalle conseguenze inimmaginabili per l’intera jugosfera. Non voglio fare la guastafeste, ma la recente massiccia manifestazione a favore della riforma curriculare suscita comunque qualche interrogativo. Come mai i cosiddetti kulturnjaci (esponenti del mondo culturale) croati, mi riferisco qui a quelli di una certa età, in vent’anni non sono riusciti a stendere un rapporto minimamente critico nei confronti del sistema educativo? Come mai coloro che si occupano di educazione non sono stati capaci di offrire una seria analisi critica del sistema scolastico – perché, dopotutto, in gioco c'era anche l’educazione dei loro figli? La cultura e l’istruzione croata sono il risultato di un autocratico progetto ipernazionalista, esattamente come lo è lo stesso stato croato. La realizzazione di questo progetto, iniziata nel 1991, è stata portata avanti grazie alla partecipazione e all’appoggio di molti: insegnanti, genitori, ministero della Cultura e ministri che vi si sono succeduti, varie accademie e i loro accademici, media, editori, intellettuali e letterati. Cultura e istruzione sono percepite, fin dal 1991, come un chiaro progetto politico che si è riusciti ad implementare grazie al sostegno di tanti, in primis gli insegnanti. Gli esperti avrebbero potuto rendersi conto che questo progetto culturale ed educativo era per molti aspetti ispirato all’ideologia dell’NDH [Stato Indipendente di Croazia , ndt]. Esattamente come con l’instaurazione dello stato croato fu reinstaurata la simbologia dell’NDH, compresi la valuta, la bandiera e lo stemma nazionale, così venne riattualizzato anche il concetto di cultura nazionale partorito dal regime ustascia. Così la croatizzazione della lingua croata, ossia la sua purificazione dagli elementi spazzatura (serbismi e jugoslavismi), divenne una delle componenti principali di questo pacchetto culturale ipernazionalista, basato su una visione della cultura come intreccio di folklore, tradizione e cattolicesimo. Ed è per questo, e per molte altre questioni che potrebbe trascinare con sé, che questa riforma va assolutamente sostenuta.

Sono dovuti passare più di vent’anni perché anche lei ottenesse la possibilità di essere formalmente presente nella cultura croata, essendo stata inclusa nell’elenco di autori che fanno parte della proposta del nuovo curriculum di lingua croata. Alcuni “patrioti” ultraconservatori, come Željka Markić, hanno già reagito in merito, chiedendo che certe opere, comprese le sue, vengano escluse dall’elenco proposto in quanto inquinerebbero la mente dei giovani con temi quali sessualità, perversione, pedofilia, vampirismo...

Dopo tanti anni a qualcuno è venuta l’idea di includere anche un mio romanzo nell’elenco delle letture per gli studenti liceali, ed è logico che si sia alzata una voce di protesta, che proviene per l’appunto dall’associazione Nel nome della famiglia. Ho seguito le reazioni all’articolo che riportava la notizia di suddetta iniziativa. Tra i circa duecento commenti prevalevano infatti quelli ingiuriosi nei confronti dell’aspetto fisico di Željka Markić, mentre il mio nome non è stato citato nemmeno una volta, semplicemente perché nessuno dei commentatori ha la più pallida idea di chi io sia, così come non conoscono neppure i nomi di altri scrittori “croati”. Ma lasciamo da parte i commentatori. È mai apparsa sulla stampa una replica ben articolata in cui i proponenti del nuovo elenco delle letture per i liceali spiegano perché scrittrici e scrittori come Slavenka Drakulić, Zoran Ferić, Haruki Murakami ed io dovrebbero esservi inclusi? Molto articolato, invece, risulta l’impegno della summenzionata associazione, i cui esponenti ritengono che i libri di questi autori siano nocivi alla salute morale dei giovani. Insomma, grazie all’attivismo letterario di Željka Markić ho scoperto che nei miei libri vi è comunque del sesso, rimanendone piacevolmente sorpresa in quanto ero ormai pronta ad ammettere il contrario. La Markić è riuscita per un attimo a rivitalizzare la mia opera, restituendole il suo fascino (del tutto meritato!).

Sembra che la strategia originaria di costruzione di una nuova cultura croata, nota negli anni Novanta come “rinnovamento spirituale”, potrebbe giungere alla sua conclusione con l’attuale governo, la cui caduta, ormai imminente [il governo è caduto il 16 giugno, poco dopo la pubblicazione di questa intervista], costituirebbe quindi una circostanza potenzialmente propizia. In questo contesto, la stupisce ancora la sua (in)visibilità nella cultura croata?

No, per niente. Il milieu culturale croato mi ha ormai espulsa dalle proprie fila, ed è la soluzione migliore. Eppure speravo che, dopo venticinque anni di esilio, in patria non avrei più riscontrato difficoltà, almeno per quanto riguarda il mercato editoriale: le mie opere sono state pubblicate in Croazia su mia iniziativa, e non su quella degli editori croati. Perché mi umiliavo chiedendo che i miei libri venissero pubblicati? Lo facevo perché avevo la sensazione che in Croazia vi fossero dei lettori a cui sarebbe piaciuto avere in mano ogni mio nuovo libro. Ormai non ho più questa sensazione. Penso che lo sforzo congiunto dei kulturnjaci filo-ustascia abbia dato i suoi frutti. Perché se dopo venticinque anni di questa prassi miserabile i suoi esponenti non si sono ancora stancati, se il sindaco di Zara è riuscito a far rimuovere la targa in ricordo di Vladan Desnica, se le notizie di questo tipo non fanno che sfiorare le orecchie dei letterati croati senza suscitare quasi nessuna reazione, allora possiamo dire che il lavoro riguardante il rinnovamento spirituale croato è davvero concluso.

A dire il vero, i kulturnjaci croati all'opposizione , quelli che si sono ribellati contro l'attuale ministro della Cultura Zlatko Hasanbegović, hanno mancato di precisare come egli sia in realtà il legittimo prodotto di una politica culturale che perdura ormai da venticinque anni e alla quale molti di loro, azzardatisi solo ora ad alzare la propria voce, hanno dato tacito appoggio. Perché senza questo chiarimento potrebbe sembrare che Hasanbegović sia approdato alla guida del ministero lanciandosi con il paracadute e che, una volta destituito, tutto si sistemerà, almeno per quanto riguarda i kulturnjaci. D'altro canto, non è corretto accusare qualcuno per questo vergognoso stato di cose: viviamo, dopotutto, in un tempo di flebili proteste.

Nella sua lettera aperta, scritta in reazione all'iniziativa di Željka Markić, lei si è autoesclusa dalla letteratura croata, annunciando che ricorrerà a vie legali nel caso il suo nome comparisse di nuovo in qualsiasi elenco dei testi scolastici. Ma non sa che in Croazia i procedimenti giudiziari si protraggono per anni, diventando mentalmente e fisicamente estenuanti?

Ha ragione, sono stata un po' affrettata. Sapendo come funziona la giustizia croata, probabilmente avrei perso il processo. Ho comunque le mie buone ragioni per chiedere di essere esclusa da ogni curriculum: la prima riguarda la pesantezza del “materiale“, del tutto aspettata e comprensibile. Al pari di alcuni altri analisti della quotidianità post-jugoslava, anch'io ho una biografia parallela, che non scriverò mai perché ne uscirebbe un affaticante e illeggibile libro di lamentele. Questa mia biografia alternativa o “patriottica“ comprenderebbe gli insulti rivoltimi dai “connazionali“, che vanno dallo sputare volgarità su di me alle bizzarre minacce di stampo “patriottico“; la mia esclusione violenta dalla letteratura croata e l'inclusione forzata nella stessa; molestie, mobbing e cyberstalking, compresi il sabotaggio di molti eventi letterari a cui partecipo all'estero (i “connazionali“ vengono alla mia serata letteraria e si mettono a urlare) nonché gli scandali, non privi di attacchi verbali, che spesso accompagnano le mie apparizioni pubbliche. Se decidessi di rendere pubblico tutto l'odio che mi è stato sputato addosso sulla stampa, sul web e nei libri, ne uscirebbe un volume ipertossico. In questo contesto, non ho nulla contro Željka Markić: lei è una delle rare persone che credono che la letteratura possa cambiare la gente. Inoltre, con l'abbattimento del principio di professionalità, eseguito da Franjo Tuđman che premiava le persone che gli stavano intorno non per le loro competenze bensì per la lealtà dimostrata nei suoi confronti, creando così una struttura statale di stampo mafioso, e con il passaggio emancipatorio alla nuova era digitale, oggigiorno la maggior parte della gente è convinta di poter fare qualunque cosa. Così, persone senza alcuna abilità musicale ci stancano con le loro esibizioni vocali, quelle senza alcun talento letterario con i loro romanzi, i politici senza credibilità con le loro promesse, e i dottori senza dottorato con i loro “saperi“. Ma siccome anche noi – consumatori, ascoltatori, spettatori, lettori – col tempo ci siamo storditi e istupiditi, non siamo più capaci di riconoscere sfumature e differenze.

Già che abbiamo menzionato Zlatko Hasanbegović, la petizione con cui si chiede la sua rimozione dalla carica di ministro è stata sottoscritta da circa cinquecento intellettuali europei, tra cui lo scrittore, filosofo e saggista francese Alain Finkielkraut, che negli anni Novanta fu molto attivo nel promuovere l'indipendenza croata. A suscitare l'indignazione del mondo intellettuale sono state alcune dichiarazioni di Hasanbegović, noto per le sue posizioni revisioniste rispetto alla recente storia croata.

In una regione così politicamente sismica come quella balcanica non possono certo mancare i personaggi volubili. Di questo tipo di persone di vedute camaleontiche scrisse ingegnosamente Czeszlaw Milosz ne “La mente prigioniera“. Homo sovieticus, uomo con "le dita incrociate di nascosto" [ipocrita, ndt], così veniva chiamato il tipico cittadino dell'Urss. Alcuni nostri contemporanei, ovviamente generalizzando, paragonano l'uomo di oggi ai mangiatori di loto (dell'Odissea), un popolo immerso nell'auto-oblio. Come ogni giapponese sa cosa deve fare quando sente tremare la terra, così anche ogni croato sa quando riposizionarsi politicamente. È quel tipo di gente che quando parla usa sempre “sì, ma...“, riservandosi così la possibilità di prendere le distanze. Queste persone sanno bene che, nel caso non riuscissero a riposizionarsi, rimarranno fuori gioco. E rimanere fuori gioco in Croazia, paese strutturato sul modello mafioso, equivale alla pena di morte. La gente non vede nulla di vergognoso nel riposizionarsi costantemente, anzi. Si tende a dimenticare troppo in fretta, si apprezza la scaltrezza piuttosto che la saldezza morale. In questo senso, Alain Finkielkraut, autore del libro Kako se može biti Hrvat (Come si può essere croati), è davvero diventato un croato.

Come commenta la dichiarazione di Ante Nazor, direttore del Centro di documentazione sulla Guerra patriottica, in cui ha espresso perplessità circa la decisione di intitolare uno dei temi contenuti nella proposta del nuovo curriculum di storia “La Seconda guerra mondiale in Jugoslavia“, invece che “Croati e Croazia nella Seconda guerra mondiale“?

I giovani storici-militanti, quelli che hanno fatto propria la narrazione impostasi nel 1991, si sono dati il compito di procurare alla Croazia una Storia, laccatura del reale, fatta di eroismo, virilità, potenza. Percependo la cultura e la storia di un popolo come un museo militare, si sono apprestati a costruire e invadere le istituzioni. Tutto ciò non è che un logoro modello di cultura di stato, ormai privo di ogni significato, che servirà solo a succhiare soldi dalle casse statali, magari anche da quelle europee. Dopodiché, per evitare che gli investimenti si rivelino un fallimento, questi musei diventeranno meta di gite scolastiche, che verranno ricordate dagli studenti per l'orrore del sapere inutile, un freddo glaciale (conseguenza del mancato pagamento delle bollette del gas da parte del museo) e bagni sprovvisti di carta igienica. A meno che, ovviamente, i patrioti croati di mano generosa non decidano di sponsorizzare regolarmente i loro musei tramite fornitura di carta igienica.

In una occasione lei ha svelato un suo metodo, molto interessante, di analisi critica dello stato di salute della società croata. Ha ancora l'abitudine di prendere il tram su tratte lunghe per poter ascoltare cosa dice la gente?

Mi avvalgo di metodi antropologici, e l'antropologia, come ben noto, è la spia della vita. Anche le terme croate offrono la possibilità di ascoltare indisturbati le conversazioni altrui, come ho potuto recentemente accertarmi godendo dell'acqua calda di una piscina termale. I maschi, la cui maggior parte strategicamente posizionata intorno ai getti d'acqua in modo da bloccare il passaggio ad altri interessati, facevano girare le loro accese conversazioni intorno al glorioso 1991: chi di loro, a quel tempo, disse che cosa e a chi; cosa sarebbe dovuto essere fatto, ma non si fece. Tutto veniva ridotto alla constatazione che i serbi dovevano essere cacciati via più sistematicamente, giacché ci fu l'occasione. Con lo stesso entusiasmo, gli uomini chiacchieravano di cibo. Ho sentito di nuovo certe espressioni che avevo ormai dimenticato, come “Nessuna carne di pollame potrà mai competere con quella di maiale“, nonché la replica: “Vaffanculo al loro pesce con bietole! Che mi diano la pancetta, sono della Slavonia, cavolo!“. E mentre i maschi si erano focalizzati sul tema dell'allevamento di suini per la produzione della carne, oltre che sulla persecuzione dei serbi, realizzata male e a metà, le donne meditavano su temi più leggeri. “Ah, non c'è niente di più bello che mandare il cervello in vacanza“, ha detto una di loro. Quindi, piscine e tram. Raccomando questi ultimi, sono più economici. Oltre a ciò, se ne esce più facilmente.

Viviamo in tempi interessanti, per parafrasare una nota maledizione cinese. Come vede l'epilogo della crisi politica attraversata dalla Croazia?

Le rispondo con un vecchio aneddoto. Camminando nel bosco, Biancaneve incontrò tre nani. “Chi siete?“, chiese Biancaneve. “Siamo i sette nani“, risposero i nani. “Ma come sette, se siete in tre?!“, esclamò Biancaneve con stupore. “Eh, purtroppo ci manca gente!“, replicarono i nani.  

Eppure, “la gente“ non manca, solo che non vive necessariamente in Croazia. Simpatizzo molto con i giovani, ripongo tutta la fiducia nei giovani esperti. Lo scorso anno in Inghilterra, dove ero ospite di un dipartimento di storia, e quest'anno in Germania, ho avuto modo di incontrare diversi giovani laureati, o dottorandi, in materie storiche, di cui molti provenienti dalle repubbliche ex jugoslave. Penso che l'incessante produzione di menzogne e l'assenza non tanto di autorità professionali quanto di quelle morali a cui appoggiarsi – sia che si tratti di media, educatori, esperti o genitori – abbiano spinto i giovani ad attingere alle proprie forze. A loro sarà difficile vendere fumo, perché sono istruiti e non messi nella posizione di dover fare compromessi, almeno non ancora. Il comportamento compromissorio di genitori ed educatori ha innescato una forte resistenza da parte di molti giovani. Quelli che al momento suscitano più curiosità sono i giovani storici, oppositori di personaggi come Hasanbegović. Fare lo storico è diventato attraente. Il processo di defascistizzazione delle società post-jugoslave è nelle mani di persone giovani, istruite, irremovibili nei propri principi. Non ci si può aspettare dall'attuale establishment che avvii questo processo, sarebbe come aspettarsi che si castrino da soli.

Per quanto riguarda l'epilogo della crisi, sono perplessa. Ma siccome adoro gli happy endings, avanzo una modesta proposta. Propongo al governo croato di scrivere sommessamente una lettera a Warren Buffett, in cui spiegare come ha fatto a spolpare il proprio paese fino all'osso, tanto che non vi è rimasto più nulla, chiedendogli, ammettendo di essere in ginocchio, di prendere la Croazia gratis e di trasformarla in sua residenza estiva o in un resort, impiegando quattro milioni di croati come addetti ai servizi: cuochi, camerieri, maggiordomi, cameriere ai piani, dogsitter, potatori di rose, giardinieri, calliste... Non è affatto divertente, lo so, torniamo seri. La Croazia ha davvero toccato il fondo.


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