Immagine tratta dal video di Tehmine Yenoqyan

Immagine tratta dal video di Tehmine Yenoqyan

In Armenia una manifestazione nella capitale contro l'ennesimo aumento del prezzo dell'elettricità fa scattare le forze dell’ordine. Pestaggi, violenze e insulti anche contro i giornalisti

26/06/2015 -  Simone Zoppellaro Yerevan

Giornalisti e operatori presi di mira, con arresti, abusi e percosse, sequestro e distruzione di materiale. È successo pochi giorni fa a Yerevan, dove i media presenti sono stati colpiti per aver coperto lo sgombero violento di via Baghramyan, in prossimità della residenza del presidente della Repubblica Serj Sargsyan. Si è tentato, peraltro inutilmente, di mettere loro un bavaglio, di impedire di raccontare le numerose violenze compiute dalla polizia nei confronti dei manifestanti. La repressione, avvenuta alle prime luci dell’alba, si è abbattuta durissima sui numerosi dimostranti impegnati in un sit-in: sono seguiti 237 arresti e decine di feriti, per molti dei quali si è reso necessario un ricovero in ospedale.

Tutto ciò non è servito tuttavia a fermare la società civile, e la protesta, nata il 19 giugno in seguito all’ennesimo aumento del prezzo dell’elettricità (il terzo negli ultimi due anni), prosegue giorno e notte fino ad oggi senza alcuna interruzione.

Sullo sfondo, un paese ridotto allo stremo, dove povertà e disoccupazione sono il pane quotidiano di moltissime persone, e soprattutto dei giovani, che sono i veri protagonisti di questa piazza pacifica e festante che è stata ribattezzata dai media Electric Yerevan. Nonostante i vari tentativi di strumentalizzare la protesta da parte anche di molta stampa estera, è chiaro che è la componente sociale ed economica a fare da padrone, rispetto ai risvolti politici nazionali e internazionali, che pur non mancando restano però in secondo piano. Ma vediamo nel dettaglio che cos’è successo lo scorso martedì mattina, quando la polizia ha fatto ricorso al pugno di ferro per cercare di porre fine alla protesta.

La testimonianza dei giornalisti

A raccontarci quanto avvenuto è Tehmine Yenoqyan, giornalista del sito di informazioni Lragir.am. Tehmine è divenuta un simbolo di Electric Yerevan grazie a un video, il più celebre della protesta, che ha avuto sino ad oggi oltre 240.000 visualizzazioni. Nel video, la giovane giornalista documenta con coraggio gli arresti e le violenze fatti dalla polizia e dagli agenti in borghese, e resiste fiera ai numerosi assalti, trovando persino la forza di opporsi e controbattere: “Il 23 giugno, verso le cinque e mezzo del mattino, la polizia ha dato il via a un’operazione speciale contro la manifestazione pacifica che aveva luogo in via Baghramyan a Yerevan, facendo ricorso a idranti, manganelli e scudi. Nessuna violenza o provocazione nei confronti della polizia ha avuto luogo in tutto questo tempo: le persone erano sedute in strada sull’asfalto in un’azione pacifica di disobbedienza civile. L’incursione brutale della polizia non è stata provocata da alcun atto illegale o violento dei manifestanti.”

Prosegue, quindi, raccontandoci quelle ore concitate: “Fin dall’inizio sono stata tormentata dagli agenti di polizia che hanno cercato di disturbare il mio lavoro, di togliermi la telecamera e tappare l’obiettivo con le mani. Mi hanno spinta e hanno anche afferrato le mie mani, ma sono riuscita a sfuggire e a tenere in funzione la mia telecamera. Ho filmato scene di arresti e brutalità, l’umiliazione e il pestaggio dei cittadini da parte della polizia. Un tassista mi ha aiutata a fuggire via e poi mi ha lasciata a casa. Non tutti i miei colleghi sono stati così fortunati: la maggioranza ha perso le proprie telecamere, rotte dalla polizia, alcuni di loro sono stati brutalmente picchiati e traumatizzati, molti di loro sono stati ricoverati in ospedale. I poliziotti non vedevano l’ora di mandare in pezzi le telecamere e distruggere le schede di memoria per cancellare ogni traccia degli eventi. I poliziotti mi hanno molestata e hanno urlato insulti osceni nei miei riguardi. Farò loro causa in tribunale, dal momento che ho registrato le parole e le facce di coloro che mi hanno aggredito.”

Oltre a Tehmine, incontriamo un’altra vittima di quella mattinata: Gevorg Ghazaryan, giornalista della TV pubblica armena che segue come fotografo freelance la protesta di Electric Yerevan. Il racconto di Gevorg, che fa ancora fatica a parlare a causa delle botte ricevute, non è meno impressionante. Siamo sempre all’alba del 23 giugno, nei momenti concitati dell’offensiva della polizia contro i manifestanti disarmati: “A un certo momento c’era una ragazza stesa per terra che implorava la polizia di non essere più picchiata. Il poliziotto la insultava usando parole come puttana. A quel punto ho detto all’agente che doveva smettere di calciarla. Nel frattempo, è arrivato un altro poliziotto, un ufficiale, che ha dato l’ordine di portarci via. Un gruppo di forze speciali è sopraggiunto e mi hanno caricato in macchina. Sono stato portato lontano da lì, dove degli agenti hanno iniziato a picchiarmi. Erano almeno cinque contro di me. Uno di questi mi ha colpito in faccia con un manganello rompendomi gli occhiali, un altro ha preso la mia macchina fotografica. Ho chiesto di ridarmela, e sono stato colpito forte allo stomaco. Poi sono stato portato in una stazione di polizia, dove mi hanno chiesto le mie generalità e sono stato trattenuto per più di un’ora, prima di essere rilasciato.”

Oltre dieci fermi tra i giornalisti

Quelle di Tehmine Yenoqyan e di Gevorg Ghazaryan non sono purtroppo le sole storie di giornalisti ad avere subito violenze e soprusi durante la mattina del 23 giugno a Yerevan: più di dieci sono stati fermati, anche se per poco tempo. Fra questi, ricordiamo Garik Harutyunian di Radio Azatutiun, Arsen Sargsyian di Armenian News, Ani Hovhannisian e Hrant Galtsian di HETQ. Ancor più numerosi i casi di ingiurie e pestaggi, fra cui si segnala come particolarmente violento quello subito da Paylak Farhadian di Gala TV, che gli ha provocato la frattura di una costola e numerosi lividi visibili anche sul viso.

Dopo il 23, non si sono più verificate violenze da parte della polizia nei confronti di manifestanti e giornalisti. Eppure, la tensione rimane alta. Sono in molti a chiedersi in queste ore per quanto le autorità armene tollereranno ancora, senza intervenire, l’occupazione di via Baghramyan. Si tratta di un’arteria centralissima di Yerevan, dove si trovano fra l’altro diverse ambasciate, il parlamento e la residenza del presidente della Repubblica. Per il momento, tuttavia, la piazza di Electric Yerevan è più che mai viva e non si scorgono segni di cedimento da parte dei dimostranti, che si dicono determinati ad andare fino in fondo.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto


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