Nel decennale di Oluja, Sanader, Mesic e Seks ribadiscono la legittimità dell'operazione militare ma allo stesso tempo aprono la strada al riconoscimento dei crimini commessi contro i Serbi. Le cifre dei civili uccisi e di quelli costretti all'esilio dalla Croazia nel 1995

08/08/2005 -  Drago Hedl Osijek

I vertici della Repubblica di Croazia hanno riconosciuto, nel decennale dell'operazione militare Oluja (Tempesta), celebratosi il 5 agosto scorso a Knin, che durante e dopo tale operazione la parte croata ha commesso crimini contro la popolazione serba. Sono state queste le parole pronunciate dalle tre più alte cariche dello Stato, il presidente della Repubblica Stjepan Mesic, il premier Ivo Sanader e il presidente del Parlamento Vladimir Seks, nei discorsi tenuti durante la grande parata militare. I tre hanno così risposto in modo indiretto alle dichiarazioni della leadership serba (il premier Vojislav Kostunica, il presidente Boris Tadic e il ministro degli esteri Vuk Draskovic) che, alla vigilia del decennale dell'Oluja, con dichiarazioni severe avevano accusato la Croazia di festeggiare una vittoria che rappresenta la pulizia etnica dei Serbi, e che tali celebrazioni non potevano accordarsi alla pretesa croata di entrare nell'Unione Europea.

Mesic, Sanader e Seks non hanno messo in discussione nemmeno per un attimo la legittimità dell'operazione militare che nel 1995 liberò Knin e la regione cosiddetta della Krajina, ma tutti e tre hanno detto che quella "brillante vittoria militare" ha avuto pure una sua "ombra".

"In guerra ci sono stati anche quelli che non hanno lottato per la Croazia, ma per se stessi, e che hanno distrutto anche ciò che non andava distrutto - ha detto Mesic. Chi ha violato le leggi di guerra deve essere chiamato a risponderne".

Il presidente del parlamento, Vladimir Seks, ha però aggiunto, riferendosi alle dichiarazioni fatte a Belgrado prima della celebrazione dell'anniversario che la Croazia ricorda come festa nazionale - Giorno della vittoria e del ringraziamento della patria - che "non riusciranno coloro che dichiarano Oluja un crimine organizzato con l'intento di cacciare i Serbi". Seks ha aggiunto che ciò che è accaduto dopo Oluja "per istinti criminali e vendicativi deve essere giudicato e non può trovare giustificazioni".

Di tono simile è stato anche il discorso del premier Sanader che ha dichiarato che Oluja "deve essere distinta dai tragici avvenimenti e dalle azioni criminali commesse contro i cittadini croati di nazionalità serba".

Le cifre dei Serbi uccisi durante Oluja sono differenti. Lo Stato croato non ha infatti mai dichiarato ufficialmente il numero dei civili uccisi e il numero dei profughi che lasciarono la Croazia durante l'operazione. I dati che vengono normalmente utilizzati sono quelli cui è giunto il Comitato di Helsinki per i diritti umani della Croazia. Il presidente di questa organizzazione, dott. Zarko Puhovski, ha ribadito nell'occasione del decimo anniversario di Oluja che le vittime civili furono fino a 700, mentre oltre 150.000 furono i Serbi che, per paura della propria vita, abbandonarono la Croazia. Il Comitato di Helsinki ha ricordato anche il dato di 22.000 case serbe bruciate durante l'operazione.

L'organizzazione serba "Veritas", che lavora alla raccolta dei dati sui crimini di guerra, afferma però che durante la "Tempesta" sono stati uccisi 2.000 civili, e che circa 350.000 Serbi a causa di quell'azione furono costretti a lasciare la Croazia.

Nell'atto di accusa emanato dal Tribunale dell'Aja contro il generale Ante Gotovina, incriminato per responsabilità di comando in relazione a crimini di guerra commessi durante e dopo Oluja, si fa riferimento ad un numero compreso tra le 150 e le 200 mila persone che, a causa della pulizia etnica, hanno dovuto abbandonare la Croazia. Nel documento non viene invece definito esattamente il numero di civili uccisi, ma si parla di "non meno di 150 Serbi della Krajina uccisi".

Il presidente del Comitato di Helsinki croato, il dottor Puhovski, afferma che i suoi numeri sono i più accurati, perché riportano i nomi esatti delle persone uccise, il luogo, il momento e le circostanze degli omicidi.

La Croazia non ha fatto pressoché nulla per punire i responsabili degli assassinii dei civili. Il Tribunale dell'Aja, come è noto, nell'accusa contro il generale Ante Gotovina, comandante dell'Oluja, definisce questa azione come "impresa di associazione criminale, il cui intento era di eliminare violentemente e definitivamente la popolazione serba dalla regione della Krajina". Il generale Ante Gotovina è latitante dal 2001, da quando il Tribunale dell'Aja ha emanato l'atto d'accusa contro di lui. Il suo caso pesa fortemente sulle relazioni tra Zagabria e il Tribunale internazionale, ed e è il maggior ostacolo all'apertura dei negoziati sull'accesso della Croazia nell'Unione Europea.

Il riconoscimento da parte dei vertici dello Stato che Oluja, oltre ad essere stata una "azione militare legittima" e una "brillante vittoria militare", ha lasciato dietro di sé anche crimini contro i civili, viene considerato come un cambiamento stabile nell'attuale prassi di Zagabria. Nonostante anche in precedenza, a più riprese, il presidente Mesic avesse parlato del fatto che i Croati nella Guerra patriottica hanno commesso crimini, questa è la prima volta che nella cerimonia ufficiale dell'anniversario di Oluja si parla anche del versante oscuro di questa operazione.

"Accogliamo il riconoscimento dei vertici statali croati che durante Oluja sono stati commessi crimini contro i Serbi", ha dichiarato Boro Rkman, rappresentante del Partito autonomo democratico serbo, il maggior partito dei Serbi di Croazia. "Ciò va proprio nella direzione di ciò che abbiamo richiesto, e cioè che durante le celebrazioni dell'anniversario di Oluja non si parlasse solo della vittoria militare croata, ma anche dei crimini che in quell'occasione furono commessi contro i cittadini croati di nazionalità serba. Questo è un buon segnale e adesso attendiamo ulteriori mosse da parte del governo, cioè che i crimini commessi giungano ad un epilogo".

L'organizzazione internazionale Amnesty International, in occasione dell'anniversario di Oluja, ha invitato il governo croato a "condurre alla giustizia tutti i responsabili di crimini di guerra e di crimini contro l'umanità commessi durante la guerra dal 1991 al 1995, a prescindere dall'appartenenza etnica delle vittime e degli esecutori". Nel messaggio Amnesty International afferma che i tribunali croati, a dieci anni da Oluja, hanno fatto molto poco per indagare, processare e condannare gli esecutori dei crimini contro i civili serbi nelle azioni Lampo e Tempesta".

Amnesty ha ripetuto l'invito alla Croazia ad indagare anche gli altri crimini di guerra contro i Serbi, aggiungendo: "Nonostante i tribunali croati siano stati risoluti nei procedimenti giuridici contro i Serbi di Croazia e altri accusati per crimini di guerra contro i Croati, poco hanno fatto per risolvere la questione della responsabilità per i crimini che hanno commesso i membri dell'esercito croato e della polizia contro i civili serbi in Croazia".

Gli esperti di questioni politiche in Croazia credono che il governo del premier Sanader nei prossimi mesi dovrà procedere più seriamente per fare in modo che finalmente si faccia qualcosa e che si condannino anche coloro che hanno commesso crimini contro i Serbi. Questa questione è di particolare attualità dopo la scoperta del "caso Osijek" (vedi Garage Osijek), una città in cui durante la guerra del 1991 furono uccisi non meno di 27 civili serbi. Casi simili irrisolti esistono a Sisak, Vukovar, e Zadar, e la magistratura croata fino ad ora non ha fatto nulla per risolverli.

"Sanader molto velocemente dovrà fare delle mosse decisive", afferma un alto funzionario statale che ha preferito rimanere anonimo. "Dovrà convincere la comunità internazionale del fatto che è deciso a risolvere i crimini di guerra commessi dai Croati. Aprendo il caso Osijek, i casi di Oluja e l'uccisione dei civili serbi a Sisak o a Zadar, potrà presentare alla comunità internazionale un forte argomento rispetto al fatto che la Croazia non vuole più tollerare queste cose. Se farà così, allora il caso Gotovina non sarà più così importante, perché la Croazia dimostrerà di essere pronta a giudicare da sola i propri crimini, mentre non potrebbe fare niente per Gotovina - perché il generale latitante non si troverebbe sul suo territorio".


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