Il ministro dell’Interno albanese Fatmir Xhafaj - Giovanni Vale

La seconda puntata di un nostro approfondimento sui rapporti, in Albania, tra criminalità organizzata dedita al traffico di stupefacenti e politica

17/07/2018 -  Giovanni ValeLaetitia Moreni

“L’Albania non è più un paese produttore di marijuana”, assicura il ministro dell’Interno albanese Fatmir Xhafaj. Ma Nicola Altiero, generale di brigata della Guardia di Finanza (GdF) a Bari, risponde: “Abbiamo sequestrato 860 kg di marijuana e hashish nel 2015, 13,9 tonnellate nel 2016, 34,9 tonnellate nel 2017 e quasi 10 tonnellate nei primi quattro mesi del 2018”, aggiungendo che “i beni sequestrati sono stati prodotti non più di sei mesi prima”. Il primo capitolo di questa inchiesta a puntate si è concluso su questa evidente contraddizione.

Com’è possibile che, malgrado l’annuncio nel 2013 di una “guerra senza pietà contro la droga”, gli aerei della Guardia di Finanza italiana abbiano fotografato un boom delle piantagioni di cannabis in Albania tra il 2013 e il 2016? Com’è possibile che, malgrado la distruzione nel 2017 delle piantagioni en plein air, la marijuana albanese continui a sbarcare sulle coste pugliesi? Per l’opposizione albanese non ci sono dubbi: “il governo di Edi Rama permette la coltivazione per trarne un vantaggio politico”, lancia Lulzim Basha, il leader del Partito democratico (PD).

Ma la stessa opposizione deve fare i conti con diverse accuse di corruzione e ha un problema di credibilità. Basha, che fu ministro dell’Interno sotto Sali Berisha (2009-2011) e sindaco di Tirana (2011-2015), è percepito dall’elettorato come parte di quel sistema che lui stesso critica, al punto che appena il 28,8% degli elettori ha votato PD alle legislative del 2017 (in continuo calo dal 2005, quando era ad oltre il 44%). Senza sforzo, Rama può dunque rispedire al mittente le accuse del leader democratico. Per rispondere alle domande iniziali bisogna allora rivolgersi alla cronaca e ripercorrere gli scandali degli ultimi anni.

Il caso Saimir Tahiri, il ministro dell’Interno sotto inchiesta

La vicenda più nota - quando si parla di legami tra il mondo della droga e le autorità di Tirana - è quella di Saimir Tahiri, l’ex ministro dell’Interno del primo governo Rama (2013-2017), oggi sotto inchiesta per traffico di stupefacenti e corruzione. Colui che Rama considerava “il [suo] ministro più popolare” è infatti coinvolto a fine 2017 in un’indagine della Guardia di Finanza di Catania, l’operazione “Rosa dei venti” che smantella una rete criminale accusata di aver importato in Italia armi e tonnellate di cannabis dall’Albania per un totale di 20 milioni di euro.

Tra le persone arrestate dalle Fiamme gialle, figura anche Moisi Habilaj, considerato il capo della banda e già noto alla stampa albanese. In patria, i fratelli Habilaj sono infatti già stati accusati di traffico di droga verso l’Italia e la Grecia, a partire dalle rivelazioni di Dritan Zagani, il poliziotto albanese che per primo ha denunciato le collusioni tra politica e trafficanti e che nel 2015 ha ottenuto asilo politico in Svizzera. Moisi Habilaj è un cugino del ministro Tahiri e, nelle telefonate intercettate dalla GdF, menziona proprio il politico parlando dei debiti ancora da saldare con chi lo aiuta.

Fin dalle prime rivelazioni di Dritan Zagani, Edi Rama difende il proprio ministro. Il premier accusa Zagani di essere “un criminale” e “un collaboratore dei trafficanti di droga” e denuncia una “macchina del fango” nei confronti di Tahiri. E anche dopo l’operazione della GdF, quando un’inchiesta è aperta a Tirana contro Tahiri, il Primo ministro albanese fa quadrato attorno al suo compagno di partito, limitandosi ad espellerlo dal gruppo parlamentare del Partito socialista ma senza privarlo della sua immunità da deputato.

Soltanto a inizio maggio 2018 - sei mesi dopo lo scandalo siciliano - Saimir Tahiri dà le dimissioni per affrontare la giustizia “da comune cittadino”. E’ arrestato e assegnato ai domiciliari, ma un mese dopo è di nuovo libero. “Abbiamo ricevuto delle informazioni da parte di fonti indipendenti che parlano di gravi pressioni su questo caso, con tanto di mazzette offerte ai giudici”, avverte l’ambasciatore americano a Tirana Donald Lu alla vigilia della decisione del tribunale. Ma a fine maggio - pressioni o meno - i giudici decidono di interrompere i domiciliari per Tahiri.

Il Pablo Escobar albanese e il potere dei trafficanti

La vicenda di Saimir Tahiri - il cui epilogo resta da scrivere - può sembrare incredibile, ma non è l’unico caso. La Grecia, infatti, chiede ancora oggi a Tirana di arrestare Klement Balili, l’imprenditore albanese che la stampa regionale ha battezzato il “Pablo Escobar dei Balcani”. La storia non è nuova: nell’autunno del 2016, le autorità di Atene hanno pubblicato un rapporto di più di 10.000 pagine su Balili, accusandolo di essere alla guida di ampio cartello della droga con legami anche con l’Italia.

Ma cosa c’entra il governo Rama? Balili, proprietario di un hotel di lusso sulla costa albanese, è stato nominato nel 2014 direttore dei Trasporti della regione frontaliera di Saranda. Eppure, già nel 2006 Balili era stato arrestato per traffico internazionale di stupefacenti. Perché affidargli allora la gestione dei trasporti di una regione a ridosso della Grecia? Nel 2016, oltre a consegnare un voluminoso dossier a Tirana, Atene emette anche un mandato di arresto internazionale nei confronti di Balili. Ma due anni più tardi, il Pablo Escobar dei Balcani è ancora latitante, innervosendo gli ambasciatori esteri a Tirana.

Qual è allora il rapporto tra trafficanti e politica in Albania? Per Fabian Xhilla, un esperto del crimine organizzato albanese, “il denaro della droga è diventato il denaro della politica”. “I partiti politici hanno i propri sostegni locali, forti, che finanziano le campagne elettorali grazie ai soldi della droga”, spiega Xhilla. Il rapporto “L’evoluzione del crimine organizzato in Albania”, pubblicato nel 2017 da Open Society Albania, assicura che “il crimine organizzato, il business e la politica sono diventati interconnessi in una complicata relazione di interessi e sfruttamento comuni per un mutuo vantaggio”.

In questo contesto intricato, i partiti politici albanesi si accusano l’un l’altro di legami con il crimine. Ma al di là dei casi personali - che rimangono gravi per le implicazioni politiche che producono - per il paese sono ancora più importanti le conseguenze economiche e sociali di questa commistione tra politica e criminalità. “Attualmente, ci sono organizzazioni criminali che sono riuscite ad entrare nella politica, nel business, nei media e persino nelle attività sociali ed educative. Molte di loro controllano territori, producono investimenti notevoli e influenzano la politica albanese in modo attivo”, si legge nel rapporto di Open Society.

“L’Albania non è più un paese produttore di marijuana”, assicura il ministro Xhafaj, ma il traffico di droga continua ad avere degli effetti importanti sulla società albanese. Nella prossima (e ultima) puntata di questa inchiesta, analizzeremo proprio l’impatto dell’industria della droga sull’economia albanese e i nuovi sviluppi dei traffici.


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