Slovenia, bocciato il fine vita
Respinta con un referendum domenica 23 novembre la legge sul fine vita in Slovenia. 53% per i no e 46% per i sì, oltre il 40% di affluenza, su un minimo di 20% per validare il referendum. L’anima cattolica e conservatrice della Slovenia ha prevalso su quella liberale

Slovenia, persone al voto © Matej Kastelic/Shutterstock
Slovenia, persone al voto © Matej Kastelic/Shutterstock
Ha vinto il paese delle mille chiesette costruite su pittoresche colline immerse nel verde. L’anima cattolica e conservatrice della Slovenia ha prevalso su quella liberale. La spinta dell’onda che aveva spazzato via il centrodestra quattro anni fa sembra esaurita e adesso il riflusso appare sempre più potente.
I cittadini chiamati a decidere sul fine vita hanno sonoramente bocciato la legge voluta dal governo. Per cassare la normativa c’era bisogno di ottenere la maggioranza di no, ma anche che a volerlo fosse almeno il 20% degli aventi diritto. I due obiettivi sono stati facilmente raggiunti.
Adesso la partita è chiusa e per riaprire il dibattito dovranno passare anni e forse decenni. La questione aveva tenuto banco negli ultimi tempi nel paese. I sondaggi dicevano che i cittadini avrebbero voluto regole che consentissero loro di scegliere quando non c’era più nulla da fare e quando non se ne poteva più delle sofferenze. Una questione di civiltà e di libera scelta, che – si era detto a più riprese – non toglieva niente a nessuno.
Con la vittoria del centrosinistra alle scorse elezioni sembrava aperta la via per ottenere una regolamentazione di stampo liberale, ma il paese è noto per la sua endemica capacità di decidere di non decidere. La storia del diritto alla dolce morte in questo senso è paradigmatica.
Quando si è capito che il governo, navigando tra etica cristiana e tendenze liberali, non avrebbe mai avuto il coraggio di muoversi, ci ha pensato l’associazione “Filo d’argento”. In un battibaleno ha raccolto le firme necessarie per mettere in dibattito una legge di iniziativa popolare.
Subito si è alzato un fitto fuoco di sbarramento, capeggiato dai partiti di destra, dalle associazioni pro-vita, dalle comunità religiose e dalle potenti organizzazioni dei medici. La tesi era che si volesse promuovere la cultura della morte per liberarsi dei vecchi e dei malati e che il sistema sanitario non avrebbe potuto e dovuto fornire questo tipo di servizi ai cittadini.
La legge, però, ormai era arrivata in parlamento. Su di essa si erano abbattute le critiche di parte degli ambienti governativi. Il premier Robert Golob prima ha cincischiato e poi ha deciso di bocciare il provvedimento, annunciando che avrebbero chiesto ai cittadini. In concomitanza con le elezioni europee dello scorso anno gli sloveni sono stati chiamati a esprimersi anche sul fine vita. Non per una legge specifica, ma per un concetto generico. I detrattori di Golob all’epoca dissero che il premier aveva usato questo stratagemma e una serie di altri quesiti referendari – tra cui quello sulla liberalizzazione della cannabis – per portare a votare alle europee quella parte liberale del paese che già all’epoca era stufa di lui e della sua inconsistenza.
Pochi avrebbero scommesso che Golob e i suoi ministri avrebbero veramente proposto e approvato una legge sul fine vita. Niente eutanasia, ma suicidio assistito, dove il malato stesso avrebbe dovuto somministrarsi autonomamente la sostanza letale. Per farlo avrebbe dovuto sottostare a una farraginosa procedura, che avrebbe coinvolto medici di base, psichiatri, commissioni etiche e strutture del sistema sanitario.
Per molti un vero e proprio pasticcio, per altri meglio di niente. Ovviamente subito è insorto il centrodestra e anche i movimenti pro-vita. Non hanno avuto difficoltà a raccogliere le firme necessarie per indire nuovamente un altro referendum sullo stesso tema. È stato spiegato che lo scorso anno si era votato un principio, adesso si trattava di esprimersi su una legge specifica (sic!). Un tema ghiottissimo, un ottimo preludio della campagna elettorale per le prossime parlamentari, in programma a marzo.
Gli oppositori della legge hanno avuto il pregio di fare quadrato, unire le fila e presentarsi come un fronte compatto che aveva a cuore la vita. I partiti di centrodestra hanno potuto contare sull’appoggio dei massimi rappresentanti di cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei e musulmani, che hanno invitato i fedeli a votare no. A essi si sono uniti anche i medici e le loro associazioni, che a più riprese hanno sottolineato che simili pratiche andavano contro il giuramento di Ippocrate.
Sul fronte del governo nulla di simile si è visto. A pronunciarsi a favore della legge i soliti grandi vecchi della sinistra, con in testa l’ex presidente Milan Kučan. I partiti di coalizione, forti dei sondaggi che davano per certa la vittoria del sì, non si sono preoccupati più di tanto di organizzare una efficiente campagna elettorale e nemmeno di mobilitare i loro elettori. Sabato sera, alla vigilia del voto, nei salotti della Lubiana bene si respirava aria di sconforto. Eminenti opinion leader liberali profetizzavano la sconfitta, spiegando che in tutta la campagna elettorale non avevano sentito altro che appelli al no e argomentazioni di esperti che si scagliavano contro quella che era presentata come una vera e propria aberrazione.
Una catastrofe per il centrosinistra, che così ha perso in rapida successione il suo secondo referendum. Alcuni mesi fa il governo si era visto bocciare in maniera perentoria la legge sulle pensioni per meriti speciali. Il provvedimento, che avrebbe dovuto regolare le integrazioni previdenziali di artisti di chiara fama, era stato respinto. Golob e i suoi uomini, con poca sagacia, avevano invitato all’astensione e il centrodestra non ha avuto difficoltà a superare il quorum.
Il centrodestra, intanto, canta vittoria e invita Golob e la sua coalizione a prendere atto della sconfitta e ad andarsene al più presto. Il governo, messo alle corde, minimizza e cerca di far finta di nulla. Di sconfitta in sconfitta è difficile costruire la vittoria alle politiche.
Intanto nulla, nella sostanza, cambia per i cittadini. Quelli benestanti, se malati e sofferenti, potranno scegliere: se ne avranno abbastanza di vivere potranno ricorrere al suicidio assistito in Svizzera o in altri paesi che consentono l’eutanasia, naturalmente pagando; gli altri invece continueranno a morire a stento, gratis, a casa propria.
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