Giornaliste in Montenegro, alle prese con procedimenti penali infiniti

La ventitreenne Ivana Vlaović fa la giornalista da quattro anni, Olivera Lakić da quasi tre decenni. Le due donne non hanno mai lavorato insieme, probabilmente non si sono mai nemmeno incontrate durante i loro reportage sul campo: ad accomunarle però è il tempo trascorso nelle aule dell’Alta Corte di Podgorica

24/11/2025, Danijela Lasica Podgorica
Edicola giornali Montenegro © Shutterstock

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(Originariamente pubblicato da Media Institute Montenegro, il 5 novembre 2025)

Sono ormai anni che Olivera si reca in quelle aule, in attesa che venga emessa una sentenza di condanna per il tentato omicidio di cui era stata vittima nel 2018. Da giornalista, Ivana segue questo caso da tempo. Quasi ogni volta che torna dal tribunale, entra in redazione affermando: “L’udienza è stata rinviata, ancora una volta”.

Ivana Vlaović, che è anche coordinatrice della Sezione dei giovani giornalisti del Sindacato dei media del Montenegro, spiega che il processo per l’attacco alla giornalista Olivera Lakić è uno degli esempi più evidenti della mancanza di sforzi da parte dello stato per affrontare in modo sistematico la questione della sicurezza dei giornalisti.

“Numerosi casi di ostruzionismo da parte degli imputati, ma anche l’incapacità della magistratura di fornire una risposta adeguata, hanno portato all’attuale situazione in cui vi è un rischio reale che il caso cada in prescrizione”, sostiene la giornalista.

Aggiunge che, a distanza di sette anni e mezzo dall’attacco, i moventi e i mandanti restano sconosciuti.

“Il processo è praticamente in stallo. Nove mesi dopo l’aggressione – più precisamente il 19 febbraio 2019, appena due giorni prima di una visita di Johannes Hahn, allora Commissario europeo per l’allargamento, a Podgorica – la Direzione di polizia e la procura avevano reso noto che ad organizzare l’attacco era stato Filip Bešović, che avrebbe pedinato e sparato alla giornalista. Considerando che l’atto di accusa è stato confermato solo cinque anni dopo, è chiaro che si è trattato di una messa in scena per il pubblico”, afferma la nostra interlocutrice.

Questo caso è diventato un banco di prova per lo stato di diritto in Montenegro e indica chiaramente quanto lo stato (non) sia pronto a proteggere i principi fondamentali della democrazia.

Vi è però anche un aspetto positivo, se è possibile definirlo così. Il fatto che Olivera Lakić, nonostante tutto, non abbia mai rinunciato al suo lavoro è un forte messaggio e una motivazione per una giovane giornalista come Ivana.

“La sua perseveranza dimostra che il giornalismo, nonostante i numerosi problemi, avrà un futuro finché ci saranno persone che svolgono il loro lavoro con coraggio e coscienza”, afferma Vlaović.

Pur riconoscendo alcuni progressi nel modo in cui le istituzioni competenti reagiscono agli attacchi contro i giornalisti, Vlaović sottolinea che in Montenegro i giornalisti continuano a lavorare in un ambiente pericoloso.

“Le aggressioni ai fotoreporter e ai giornalisti a Gornje Zaostro, vicino a Berane, l’attacco fisico ad Ana Raičković, come anche tutte le esperienze che Jelena Jovanović ha vissuto e continua a vivere, dimostrano che, come società, ancora non apprezziamo a sufficienza la professione giornalistica”, spiega Vlaović, citando solo alcuni dei recenti attacchi ai giornalisti.

La giornalista osserva inoltre che il calo del Montenegro nell’indice di sicurezza dei giornalisti è un altro segnale d’allarme, avvertendo che la situazione dei media deve migliorare.

“Il caso di Olivera Lakić ci invita tutti a riflettere su quanto sia importante perseverare nella lotta per la verità, ma anche quanto questa lotta sia difficile e pericolosa”.

Olivera Lakić è vittima di continui attacchi dal 2011 per il suo lavoro di inchiesta concentrato su crimini e corruzione, tra cui il contrabbando di sigarette nella fabbrica Tara, in cui erano coinvolte anche la polizia e l’Agenzia per la sicurezza nazionale (ANB). Le prime aggressioni a Olivera e alla sua famiglia risalgono al 2012: l’autore dell’attacco è stato condannato, mentre i mandanti non sono mai stati identificati. Il culmine della campagna intimidatoria contro la giornalista è stato raggiunto nel 2018, quando è stata ferita ad una gamba.

Alla fine del 2023, la Procura speciale del Montenegro (SDT) ha sollevato un atto di accusa contro quattordici persone sospettate di aver aggredito Olivera Lakić e di aver ucciso Miodrag Kruščić. La giornalista è stata ferita a colpi di pistola davanti alla sua abitazione a Podgorica l’8 maggio del 2018. Tredici giorni dopo, il 21 maggio, Miodrag Kruščić è stato ucciso mentre era seduto in un bar al vecchio aeroporto di Podgorica.

Alla fine del 2020, la Procura speciale ha reso noto che un gruppo di detenuti nel carcere di Spuž aveva pianificato di uccidere Olivera Lakić. Tra i membri di questo gruppo c’erano alcuni esponenti di spicco del clan di Kavač che successivamente, durante l’esame dell’atto di accusa, nell’aprile del 2024, hanno negato ogni colpevolezza.

Oltre ad uno scambio di messaggi con l’applicazione Sky, a corroborare le prove addotte dalla procura è stata anche la testimonianza di Bajram Pista, che avrebbe riferito ai procuratori che gli imputati gli avevano offerto duecentomila euro per uccidere la giornalista.

Nonostante i legali di Olivera Lakić abbiano più volte chiesto che i due casi venissero separati – anche perché l’omicidio di Kruščić non può cadere in prescrizione, a differenza dell’aggressione a Olivera Lakić – il giudice non lo ha consentito, continuando a rinviare il processo. La nuova udienza è prevista per il 24 novembre.

Secondo i documenti della magistratura, di cui il Sindacato dei media del Montenegro ha preso visione, dal 2012 al 2014, presso il Tribunale di primo grado di Podgorica si sono svolti cinque procedimenti penali per attacchi alla giornalista Olivera Lakić. Dei cinque processi – avviati sulla base delle denunce sporte dalla giornalista perché la sua sicurezza era stata messa in pericolo – due si sono conclusi con sentenze di condanna e tre con sentenze di assoluzione.

Lo stesso anno in cui ha iniziato a scrivere sulla fabbrica Tara, Lakić ha ricevuto minacce da Slavko Musić, un dipendente della fabbrica di sigarette Mojkovac. Musić, accusato di aver messo a repentaglio la sicurezza della giornalista, è stato condannato a quattro mesi di reclusione.

Nell’ambito del procedimento penale concentrato sulle minacce a cui è stata esposta Olivera Lakić è stato processato anche Milan Grgurović, che ha incolpato se stesso di aver minacciato la giornalista pur non avvendolo fatto. Grgurović è stato assolto, però non è mai stato accertato quali fossero i moventi di autocalunnia.

Nonostante la contnuità degli attacchi e le indagini della polizia e della procura, i tribunali hanno continuato a emettere sentenze di assoluzione. Così, Milenko Rabrenović, vicino all’ex capo della polizia Veselin Veljović, è stato assolto dall’accusa di aver minacciato la giornalista, sua figlia e un’amica di quest’ultima. Anche Siniša Stojković, capo della polizia criminale dell’unità di Budva, sospettato di aver influenzato il procedimento contro Rabrenović, è stato assolto dall’accusa.

Due anni dopo, nel 2014, alcune persone vicine all’autore dell’attacco del 2012 hanno cercato di intimidire la giornalista. Nel procedimento penale avviato in questo caso, Dejan Čurović e Ivan Siništaj sono stati assolti e, come nel precedente attacco, non si è mai indagato su chi avesse ordinato le minacce e gli attacchi.

Torniamo all’inizio della storia. Il 24 novembre Ivana Vlaović ritornerà in tribunale in via Njegoševa a Podgorica solo per constatare che nei casi di attacchi ai giornalisti, nonostante le numerose minacce e aggressioni fisiche, i tribunali tendono ad assolvere gli imputati, mentre i mandanti restano ignoti.

Nel frattempo, Olivera Lakić, in attesa del verdetto, continua a vivere sotto scorta.

 

Questa pubblicazione è il risultato delle attività svolte nell’ambito del Media Freedom Rapid Response cofinanziato dall'UE e nell’ambito di ATLIB – Transnational Advocacy for Freedom of Information in the Western Balkans, un progetto cofinanziato dal Ministero italiano degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Tutte le opinioni espresse rappresentano le opinioni dell’autore e non quelle delle istituzioni cofinanziatrici.

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