Turchia, illegale per la CEDU la chiusura del partito curdo DTP nel 2009

25 gennaio 2016

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La Turchia ha infranto la libertà d'espressione, la libertà di assemblea, e il diritto a libere elezioni dei propri cittadini quando, nel 2009, ha messo al bando il partito di sinistra curdo DTP (Demokratik Toplum Partisi, Partito per una Società Democratica). 

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Lo ha riconosciuto martedì una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU), che ha anche obbligato Ankara a pagare i danni ai ricorrenti, i due ex co-presidenti del DTP, Aysel Tuğluk e Ahmet Türk.

Il partito DTP era stato fondato nel 2005, e 21 candidati indipendenti eletti alle elezioni del luglio 2007 vi si erano iscritti. La dissoluzione del partito era stata richiesta alla Corte Costituzionale dal Consigliere di Stato della Corte di Cassazione il 16 novembre 2007. L'11 dicembre 2009 la Corte Costituzionale aveva all'unanimità ordinato la dissoluzione del partito, che secondo i giudici supremi turchi condivideva gli stessi obiettivi politici del PKK, considerato un'organizzazione terrorista. I due co-presidenti del partito erano inoltre stati spogliati dello status di membri del parlamento turco, mentre altri 37 membri attivi del partiti erano stati banditi per cinque anni da ogni attività politica. Il DTP e i suoi membri avevano fatto ricorso alla CEDU nel 2010.

"La Corte ha riconosciuto in particolare che le motivazioni portate dalla Corte Costituzionale per ordinare la dissoluzione del DTP, uno dei principali attori politici a favore di una soluzione pacifica al problema curdo, non possono essere considerate come sufficienti per giustificare l'interferenza nel suo diritto alla libertà di associazione", si legge nella sentenza. I giudici di Strasburgo riconoscono inoltre che "la perdita del seggio parlamentare di Aysel Tuğluk and Ahmet Türk, co-presidenti del DTP, in ragione dei loro discorsi pubblici, non può essere considerata proporzionata ad un obiettivo legittimo, poiché tale misura era incompatibile con la stessa sostanza del loro diritto ad essere eletti e a sedere in parlamento in base all'art.3 del Primo Protocollo [CEDU], e violava il potere sovrana dell'elettorato che li aveva eletti.

La Turchia ha una lunga storia relativa alla dissoluzione forzosa di partiti politici, tanto progressisti e curdi quanto religiosi-conservatori, inclusi i predecessori del partito AKP oggi al governo. La CEDU già in passato ha riconosciuto violazioni dei diritti umani in molteplici casi simili, a partire dal bando del Partito Comunista Unito (TBKP) nel 1991, del Partito Socialista (SP, 1992), del Partito per la Libertà e la Democrazia (ÖZDEP), del Partito Popolare del Lavoro (HEP) e del Partito del Benessere (Refah), tutti nel 1993; e del Partito della Democrazia Popolare (HADEP) nel 2003.

L'articolo 11 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo, relativo alla libertà di associazione e di assemblea, prevede che tali libertà possano essere ristrette solo tramite la legge, laddove necessario in una società democratica a proteggere gli interessi di sicurezza nazionale e pubblica, per la prevenzione del disordine o del crimine, la protezione della salute e della morale, e la proteazione dei diritti e libertà altrui.

Nella sua giurisprudenza, la CEDU ha sottolineato il ruolo fondamentale giocato dai partiti nel sistema democratico, pur riconoscendo il potere delle autorità statali nel proteggere le istituzioni pubbliche da associazioni volte a sovvertirle. Secondo la Corte, "un partito politico ha diritto di promuovere il cambiamento legale o costituzionale a due condizioni: primo, i mezzi usati a tale scopo devono essere legali e democratici; secondo, il cambiamento proposto deve essere in sè stesso compatibile con i principi democratici fondamentali." (caso HEP c. Turchia, 2002, § 49) Un partito politico i cui leader incitano alla violenza o propongono politiche volte alla distruzione della democrazia e alla riduzione dei diritti umani riconosciuti secondo la Convenzione può essere quindi legalmente bandito. Ma, data l'importanza dei partiti politici per la democrazia, le restrizioni all'art. 11 vanno interpretate in maniera restrittiva, e gli stati hanno un margine d'apprezzamento ristretto nel valutare l'esistenza di una "necessità" in tal senso (caso Refah c. Turchia, 2003, § 100).

Solo nelle scorse settimane, membri di spicco del partito di maggioranza AKP avevano minacciato di chiusura il partito curdo e di sinistra HDP, se questo avesse "dato sostegno al terrorismo" del PKK nel sud-est anatolico. Nelle scorse settimane gli scontri sono aumentati: a Van, solo sabato scorso, 12 giovani tra i 18 e i 25 anni in abiti civili sono stati uccisi a sangue freddo dall'esercito turco, che li ha considerati guerriglieri del PKK. Sono oltre 160 le persone uccise negli scontri nel corso dell'ultimo mese nella regione. 


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