Sentenza Cedu: Selahattin Demirtaş deve essere scarcerato

21 novembre 2018

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Una sentenza emessa ieri dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha stabilito che Selahattin Demirtaş, ex leader del partito filo-curdo e di sinistra HDP, deve essere scarcerato.

La Corte ha anche condannato la Turchia a pagare al politico un risarcimento di 10mila euro per danni morali e altri 15mila euro di spese legali.

Demirtaş si trova in custodia cautelare nel penitenziario di Edirne, in Turchia, dal 4 novembre 2016. Il processo avviato nel 2017 è ancora in corso presso la Corte D’Assise di Ankara. L’atto di accusa a suo carico si basa su 31 report di indagine della polizia, dove sono stati indicati come incriminanti numerosi discorsi del politico. La procura ha chiesto fino a 142 anni di prigione per Demirtaş a cui sono imputati diversi reati tra cui: formare e guidare un’organizzazione terroristica armata; fare propaganda a favore dell’organizzazione terroristica e incitare a disobbedire alla legge; organizzare raduni e dimostrazioni illegali. Accuse che il politico ha sempre respinto.

Secondo la Corte di Strasburgo sono stati violati 3 articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La prima violazione - secondo l'articolo 5.3 - è rappresentata dai tempi troppo lunghi di comparsa davanti al giudice. È stato inoltre specificato che pur accettando che l’arresto sia stato effettuato in considerazione di un “ragionevole sospetto” le motivazioni presentate dai tribunali locali riguardo al prolungamento della custodia cautelare non sono “sufficienti”. Un altro diritto violato secondo la Cedu è il diritto a libere elezioni - Articolo 3 del primo protocollo - e, in connessione a questo, la violazione dei limiti all’applicazione delle restrizioni ai diritti, definito nell’Articolo 18 della Convenzione.

La Corte ha infatti spiegato che l’estensione del periodo di detenzione nel corso di due campagne elettorali cruciali - il referendum del 2017 e le presidenziali del 2018 al quale Demirtaş ha partecipato dal carcere - hanno soffocato il pluralismo e limitato la libertà del dibattito politico, che costituisce l’essenza del concetto di una società democratica. Benan Molu, tra gli avvocati della causa, ha affermato che si tratta della prima volta che la Turchia viene condannata per violazione dell’Articolo 18, l’unico non approvato all’unanimità. La violazione è stata infatti approvata con 6 voti a favore e uno contrario, dove Işıl Karakaş, la giudice che rappresenta la Turchia, si è dissociata dalla decisione.

“Questa decisione non ci vincola. Risponderemo”, è stato il primo commento del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan nell’apprendere la sentenza. Ma i giuristi ricordano che le decisioni della Corte di Strasburgo sono vincolanti per la Turchia secondo l’Articolo 90 della Costituzione turca, mentre l’ex giudice Cedu Rıza Türmen ha sottolineato che “la Turchia è firmataria della Convenzione. Il mancato rispetto della decisione comporterebbe conseguenze giuridiche e politiche”.


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