La Turchia è il vincitore economico in Iraq

20 marzo 2013

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Il 20 marzo del 2003 iniziava la guerra in Iraq. A dieci anni di distanza, secondo un'analisi del Washington Post, sembra che la Turchia sia tra i principali beneficiari della battaglia per il mercato iracheno.

Anche se le relazioni della Turchia con Baghdad sono tese, le sue esportazioni verso l'Iraq negli ultimi dieci anni sono aumentate del 25% l'anno, raggiungendo nel 2012 la cifra di 10,8 miliardi dollari l'anno. Per la Turchia ora l'Iraq è il secondo più importante mercato di esportazione dopo la Germania.

Numerosi sono i progetti di costruzione che nello scorso anno hanno coinvolto appaltatori turchi per circa 3,5 miliardi di dollari. Anche i maggiori progetti nel settore energetico, i due impianti a turbine a gas nelle regioni del Mosul e della Karbala, hanno visto il coinvolgimento di società turche come la Calik Energy

E' soprattutto il nord del Paese, controllato da un governo regionale curdo, a costituire la parte preponderante delle attività della Turchia verso l'Iraq: assorbe circa il 70% delle esportazioni turche. I prodotti turchi dominano il capoluogo della regione di Irbil, dal vecchio souk alle vetrine dei quartieri residenziali. 

Rimane, ricorda il Washington Post , il problema dei rapporti politici difficili tra Ankara e Baghdad, fortemente deteriorati dopo il ritiro degli Stati Uniti dall'Iraq nel dicembre 2011 quando i funzionari iracheni definirono la Turchia "stato ostile" per la sua interferenza nelle questioni irachene e la Turchia accusò la controparte irachena di soffiare sul fuoco delle tensioni tra sciiti, sunniti e curdi. 

Come rappresaglia il governo di Baghdad si è mosso per impedire alle imprese turche di stringere ulteriori contratti con le autorità irachene. Tra gli altri ne ha fatto le spese la Tpao, compagnia petrolifera di Stato turca, che l'anno scorso è stata espulsa dall'Iraq dove stava conducendo una missione esplorativa. 

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa


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