Sarajevo

L'Islam dei Balcani, una complessità intollerabile nello schema dello scontro Oriente-Occidente. Un viaggio di Paolo Rumiz nella favola dello scontro di civiltà che, visto dalle terre di mezzo, fa ancora più paura. Quando la Bosnia entrerà in Europa, ci sarà ancora l'Europa?

29/07/2005 -  Anonymous User

Di Paolo RUMIZ, per la Repubblica, 21 luglio 2005

MILANO «Ma sì, liberate Milosevic. Che ha fatto di male? Ha scoperto con 15 anni di anticipo le teorie sullo scontro con l'Islam. Un genio: oggi tutti in Occidente la pensano come lui. Ha anticipato il teorema-Fallaci. L'Islam odia l'Europa, dunque fuori tutti. Pulizia etnica. Lei vede altre soluzioni?». Azra la musulmana sta seduta a una terrazza-bar sul Naviglio. Vive a Milano da dieci anni, è alta, ha 40 anni, occhi verdi, usa le parole amare come rasoiate. Dopo gli attentati di Londra, guarda la pestilenza della paura che passa di stomaco in stomaco, entra nei comportamenti e negli sguardi della gente. Vorrebbe dire tante cose, perché ha già visto tutto. Conosce la paura, le è passata per il corpo. Ma nessuno le ha mai chiesto un parere, perché viene da un Paese che non conta. La Bosnia.

Ce ne sono tanti come Azra Selimovic. Si chiamano Kenan, Ali, Mehmet. Oppure Fatma, Amra, Samira. Non sono extraeuropei, nemmeno i loro genitori lo sono. Sono musulmani d'Europa. Vivono tra i minareti da generazioni. Vengono da una terra - i Balcani - dove le foreste di conifere convivono con le moschee, formano lo stesso paesaggio. Bosniaci, macedoni, albanesi. Soprattutto i primi, venuti in Italia da poco, quindici anni al massimo, cacciati a forza da una guerra non voluta e cominciata, a ben guardare, da Paesi cristiani. Solo che, da profughi, non sono fuggiti affatto in Turchia o in Iran, come ci si aspettava, ma in Italia, la sponda dietro casa. Sono un arcipelago disperso, che non si assembra nelle moschee, non pende dalle labbra dagli imam, non si distingue in nulla dagli altri italiani.

Adnan Kémora ha 42 anni, è ingegnere civile, vive in Italia dall'inizio della guerra, è nipote di un famoso Reis-Ulèma - il papa, per capirsi - dei musulmani di Bosnia, ma non ha avuto problemi, per amore dell'Italia, a chiamare suo figlio con un nome italiano, Gianni. «Questo terrorismo - ti dice - è una trappola per stupidi, per imbecilli che si fanno imbonire da finti predicatori manovrati da poteri occulti. Vede, noi bosniaci veniamo da un Islam consolidato da secoli in Europa, e potremmo essere un formidabile fattore di mediazione per gli immigrati musulmani che vengono da più lontano. E invece niente. Vedo che si lascia tutto al caso, non si tenta nemmeno di creare una rete di rappresentanze forti e realmente riconosciute dalle nostre comunità».

A Sarajevo ci guardano, racconta Ogi Dizdarevic, 25 anni, che dal '92 ha studiato in Lombardia per evitare la guerra, e da allora passa almeno cinque mesi l'anno in Italia. Guardano al terrorismo in nome di dio, alla sindrome da guerra santa, alle frontiere che si chiudono, alle cannonate dei media. Gli pare di assistere a un film già visto. «Quando ci faranno entrare in Europa, bisognerà vedere se l'Europa esisterà ancora», scherzano i sarajevesi, che furono capaci di produrre barzellette anche sotto le granate di Mladic. «In Bosnia la religione conta poco, ma appena passiamo un confine, o arriviamo in un aeroporto, ecco che ci guardano come islamici, ecco i controlli, la paura delle armi. L'Europa non fa differenza tra Sarajevo e Peshawar. Vede i terroristi ovunque».

«Esiste un Islam europeo, è un'anomalia che disturba, nello schema dello scontro Oriente-Occidente». E' netto il giudizio dello scrittore Predrag Matvejevic da Mostar, un croato-bosniaco con cittadinanza italiana che ha strenuamente difeso i musulmani della sua terra. «Li hanno fatti fuori per questo. Sono una complessità intollerabile in un mondo fatto di bianco e nero. Oggi esiste solo l'Islam che spaventa. Dell'altro chi se ne frega. I musulmani del volto umano al massimo si compatiscono, come quelli di Srebrenica. Chi se ne importa di un popolo che si fa massacrare e poi non mette nemmeno una bomba? E invece in Bosnia c'è un Islam europeo. Laico, tollerante, che lascia le donne libere, le gonne corte, che accetta i matrimoni misti e quando c'è del buon vino anche lo beve, nema problema. Una risorsa dimenticata, che si sarebbe potuta giocare contro i fondamentalisti. La paura dell'Italia non è solo figlia delle bombe di oggi, ma anche dell'equivoco di ieri...».

Musulmani di Bosnia. Come Fatima Nejmarlija, shorts, 36 anni pieni di vita, che scende dalla moto e scuote i capelli lunghi togliendosi il casco. Ride: «La gente mi chiede se come musulmana posso farlo, io dico di sì, basta avere i soldi per comprarsi la moto». Romana d'adozione, rifiuta di accettare che il suo Paese d'origine sia guardato come una base di Al Qaeda. «Se c'è qualcuno, si nasconde, come in Occidente, a Londra o Amburgo. Ma le notizie non sono mai state provate o confermate. E soprattutto non sento mai nessuno, dico nessuno, che nel mio Paese applaude alle bombe degli assassini».

«Noi bosniaci sappiamo che la storia dello scontro nato dalle religioni è una pietosa bugia dei politici, l'abbiamo sperimentato sulla pelle». Ne è convinto Emir Voloder, dentista di Mostar, in Italia dal 1991. «L'odio è stato importato dall'esterno, le guerre si fanno per altri interessi. Ed è vero il contrario: è semmai la guerra che spinge la gente verso la religione in senso fondamentalista, come ultimo baluardo di identità».

Ed Enisa Bukvic, assistente universitaria: «Eravamo un modello di convivenza unico in Europa. Oggi ho l'impressione che il mondo voglia andare contro i luoghi della convivenza. Contro chiunque sta in mezzo».
Con gli albanesi, specie se di fede musulmana, scatta una sindrome diversa: il mimetismo. Vincenzo Romania, albanese che insegna sociologia a Padova, ha lavorato a una ricerca dal titolo «Farsi passare per italiani», dove racconta come i suoi conterranei immigrati in Italia cerchino di confinare la fede alla sfera intimista della vita, senza mai ostentarla con la fierezza - per esempio - dei maghrebini. Dietro alla scelta, mezzo secolo di ateismo di Stato e, ora, la grande paura del terrorismo di matrice islamica. Ma è lo stesso Islam ad aver lasciato in Albania un'impronta molto labile, causa il secolare antagonismo nazionale tra il mondo pastorale balcanico e la dominazione turca. Tradizione laica forte, dunque, con una forte impronta filo-americana.

Ai balcanici non gliela dai da bere con la storia dello scontro di civiltà. Sanno benissimo come sono andate le cose in Bosnia, Kosovo e dintorni. E poi, cosa sono davvero gli albanesi? Un Paese che deriva verso l'Islam o un Paese legato a Washington? E se fosse entrambe le cose insieme? «Forse gli stessi albanesi non sanno come vedere se stessi» sorride Roland Seyko, responsabile del giornale degli immigrati in Italia. «L'Europa ha paura dell'Islam - conferma Niku Gjoni, 20 anni, studente di scienze politiche a Bologna - ma il pericolo non è nelle fedi. E' nelle reti criminali. Guai a criminalizzare una religione, si finisce per togliere spazio a chi cerca il dialogo».

Vai alla serie di interventi pubblicati da OB sull'Islam nei Balcani: L'Islam nei Balcani. Conversazione con Nathalie Clayer


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