Slovenia: se Tito perde la testa
La Slovenia fu il paese che più spinse per abbandonare la Jugoslavia di Tito, ma anche quello in cui il mito del “maresciallo” sembra resistere più a lungo. Il dibattito sull’eredità storica di quel periodo si infiamma ad ondate, alimentando uno scontro perenne tra destra e sinistra

Pivka-Slovenia, Monumento al Maresciallo Tito – © Shutterstock
Pivka-Slovenia, Monumento al Maresciallo Tito - © Shutterstock
Il 29 novembre scorso molti cittadini dell’ex Jugoslavia hanno commemorato sui loro profili social la “Giornata della Repubblica”. Alcuni hanno postato foto di quando erano bambini con il berretto blu, il fazzoletto rosso e la camicetta bianca.
All’epoca, proprio in questo giorno, gli alunni della prima elementare entravano a far parte dell’organizzazione dei pionieri. In una solenne cerimonia giuravano che avrebbero studiato con diligenza e amato la patria socialista.
Altri hanno pubblicato lo stemma della Jugoslavia con la fiaccola e le sei fiamme simbolo della federazione, oppure le foto del maresciallo Josip Broz Tito e di altri gerarchi del regime. Qualcuno ha persino messo in rete un video in cui canta con gli amici Hej Sloveni, l’inno della defunta federazione, sventolando bandiere con la stella rossa.
I Laibach, l’iconico gruppo sloveno che ha sempre mescolato musica e performance provocatorie, quest’anno sono andati a Jajce per quella che era stata annunciata come la IV sessione del Consiglio antifascista di liberazione popolare della Jugoslavia (AVNOJ).
Nel villaggio bosniaco, nel 1943, proprio durante la II sessione del Consiglio antifascista, fu fondata la Jugoslavia socialista. Il gruppo ha chiesto scusa a Tito per aver sovrapposto, durante un loro concerto a Zagabria poco dopo la sua morte, immagini pornografiche a un documentario a lui dedicato.
L’intento dichiarato della nuova performance del gruppo era quello di celebrare un atto di riconnessione con gli ideali antifascisti e con un passato di convivenza.
Molti sostengono che tutto ciò sia il segno di una nuova ricerca di una sintesi jugoslava, dopo che il grande sogno dell’integrazione europea e l’ubriacatura per l’Occidente sembrano ormai esauriti.
C’è chi guarda al passato e riconosce che la Jugoslavia sarà anche stata un paese autoritario, ma aggiunge immediatamente che, ormai, anche in Europa aumentano quelli che perseguono modelli simili e ne decantano l’efficacia.
I più critici, laconicamente, suggeriscono che questo revival jugoslavo non sia altro che nostalgia: anziani signori che ricordano un tempo in cui erano ancora giovani e belli. Una storia, ammoniscono, che non si è conclusa nel migliore dei modi, visto che l’atto finale della tanto decantata unità e fratellanza tra i popoli e le nazionalità della Jugoslavia è stato un bagno di sangue, con Srebrenica, Prijedor, Vukovar e Meja come tragici simboli.
La Slovenia, alla fine degli anni Ottanta, fu la repubblica più decisa a chiudere con la Jugoslavia. Nonostante ciò, anche qui il culto di Tito non si è mai del tutto spento. Sul monte Sabotino, sopra Gorizia, c’è chi continua a curare la scritta fatta con massi di pietra che inneggia al presidente jugoslavo.
Vicino a Capodistria, ai primi di maggio, al calare della notte si accendono torce per far brillare la scritta NAŠ TITO (“nostro Tito”). In città, la piazza principale, un gioiello dell’architettura veneta, è ancora intitolata al maresciallo. Tutti i tentativi di rinominarla si sono rivelati fallimentari. Dopo l’indipendenza, il comune ebbe perfino difficoltà a rimuovere il suo busto dal salone principale.
A pochi chilometri di distanza, a Isola, un’associazione cura la memoria di Tito. In questo periodo vende il solito calendario con le sue foto, un articolo che si trova persino in alcuni centri commerciali, mentre alcuni negozi hanno sugli scaffali bottiglie di Marshal, un liquore alle erbe la cui etichetta raffigura Tito in divisa da ammiraglio.
È disponibile anche in confezione regalo con due bicchieri da mettere sotto l’albero. A portarla, probabilmente, non sarà Babbo Natale, ma Nonno Inverno, che nella Jugoslavia comunista arrivava il primo dell’anno.
In Slovenia ci sono una decina di città che hanno strade e vie intitolate a quello che fu il padre-padrone della Jugoslavia. Lubiana, dopo l’indipendenza, lo cancellò immediatamente dal suo stradario e fece rimuovere la statua a lui dedicata, trasferendola nel parco del castello di Brdo.
Significativamente, nella seconda metà del 2021, durante la presidenza slovena del Consiglio dell’Unione europea, il governo di centrodestra, che proprio a Brdo aveva programmato diversi incontri, si rese conto che il monumento necessitava urgentemente di un restauro.
Far sfilare i leader europei davanti al pensoso Maresciallo in bronzo non era nelle intenzioni di Janez Janša e dei suoi ministri. Ne nacque il solito putiferio a livello nazionale.
In Slovenia le polemiche sul passato sono ancora all’ordine del giorno. Proprio per questo il sindaco di Lubiana, Zoran Janković, volle reintrodurre il nome di Tito in città, non più in una via centrale ma in una strada periferica della capitale.
La questione arrivò alla Corte costituzionale. Nel 2011 i giudici stabilirono che le vie intitolate a Tito già presenti fossero sufficienti e che non fosse opportuno dedicarne di nuove a chi simboleggiava il passato regime.
Anche a Velenje la questione Tito tiene banco da tempo. La città fu uno dei simboli dell’urbanizzazione jugoslava e della creazione di una nuova identità collettiva socialista. L’originario villaggio minerario nel dopoguerra venne rimodellato con quartieri moderni, servizi e industrie.
Nel 1977, nella piazza principale, fu collocato il più grande monumento mai costruito a Tito: una riproduzione alta sei metri della celebre statua di Antun Augustinčić, posata a Kumrovec, il villaggio natale del maresciallo, nel 1948. Una rappresentazione iconica del comandante partigiano con il mantello militare, lo sguardo abbassato e le mani dietro la schiena.
Alla sua morte, Velenje decise di ribattezzarsi Titovo Velenje. Il nome del maresciallo sparì dopo l’indipendenza, ma il monumento e la piazza a lui dedicata rimasero.
C’è chi vorrebbe cancellare anche questi simboli, e chi invece non ne vuole sapere. Quest’anno il municipio ha ricevuto formale richiesta in tal senso, e si sono tenute anche manifestazioni a supporto della proposta. Probabilmente anche sull’onda di questa polemica, giovedì scorso Tito è stato decapitato. La sua testa è stata caricata su un’auto, e un quarantanovenne del posto ha tentato di portarsela via. La polizia lo ha immediatamente fermato e le autorità cittadine hanno annunciato che il monumento sarà restaurato e restituito alla città.
Il dibattito su Tito e sull’eredità jugoslava, intanto, resta aperto. La Slovenia, negli ultimi tempi, sembra essere prigioniera della sua storia. Lubiana deve fare i conti con un passato che non passa, che torna periodicamente a infiammare il dibattito politico, culturale e sociale, alimentando un perenne scontro tra destra e sinistra.
Finché il Paese continuerà a discutere di statue, toponimi e reliquie ideologiche, sarà difficile immaginare una Slovenia pienamente rivolta al futuro. Perché qui, più che altrove, la memoria è un campo di battaglia. Parlare del passato del resto è più semplice che immaginare il futuro.
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